Avvocati e Gestione Separata: un matrimonio che non funziona

Per escludere l'operatività della Gestione Separata è sufficiente il fatto che l'attività di lavoro autonomo appartenga all'ambito di competenza di un'altra gestione previdenziale, rimettendosi poi alle regole di quest'ultima la sussistenza e l'entità degli obblighi contributivi e delle prestazioni previdenziali.

L'iscrizione alla Gestione separata non è scontata. Il Tribunale di Brindisi, con sentenza numero 528/18 del 24 aprile, si è pronunciato circa l'obbligo di iscrizione alla Gestione Separata per coloro che hanno svolto attività il cui esercizio era subordinato all’iscrizione all’Albo degli avvocati e abbiano versato alla Cassa Forense, vista l’entità dei propri ricavi, il solo contributo integrativo. La disposizione di cui all' articolo 2, comma 26, l. numero 335/1995 chiarisce che l'iscrizione alla Gestione Separata ha carattere residuale essendo obbligatoria solo per i lavoratori autonomi che esercitano una professione per la quale non sia prevista l’iscrizione ad appositi albi, o per chi svolge un’attività non soggetta a versamento contributivo agli enti di previdenza. Nel caso in esame l'INPS ha fatto proprio l'orientamento per il quale l'iscrizione all’albo professionale non sarebbe sufficiente ad escludere l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata, essendo altresì necessario che ciò determini il coinvolgimento di uno degli «enti previdenziali di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, numero 509 e 10 febbraio 1996, numero 103», tra cui vi è la Cassa Forense. L'obbligazione contributiva soggiace solamente alle regole dell'ente previdenziale, indipendentemente dall'effettività della contribuzione. L'assoggettamento alla cassa privata prescinde dall'effettività dei versamenti svolti. Il Tribunale di Brindisi, disattendendo l'orientamento imposto dall’INPS, ha precisato che in ogni caso l'obbligazione contributiva segue le regole della gestione previdenziale interessata. In pratica il professionista soggetto all'obbligo di iscrizione presso casse private soggiace alle regole delle stesse indipendentemente dal fatto che abbia versato o meno contributi all'ente previdenziale privato l'ente titolare della contribuzione resta comunque la cassa privata, coerentemente alle regole di gestione previdenziale della stessa. E' pertanto esclusa l’operatività della Gestione Separata se l’attività di lavoro autonomo del contribuente appartiene all’ambito di competenza di un’altra gestione previdenziale, rimettendosi quindi alle regole di quest’ultima la definizione della sussistenza e dell'entità degli obblighi contributivi e delle prestazioni previdenziali. Anche la legge 247/2012 conferma l'obbligazione contributiva dell'avvocato in favore della sola Cassa Forense. E' pacifico che l'iscrizione presso la Gestione Separata debba escludersi anche se la Cassa di Previdenza privata concede la facoltà di non versare alcun contributo se il reddito professionale non supera un certo limite di reddito. D'altronde, per quanto riguarda gli avvocati, lo stesso articolo 21, comma 10, della legge numero 247/2012 statuisce che «non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense». In poche parole il fatto che nei confronti dell'avvocato non operi in concreto l'obbligazione contributiva verso la Cassa Privata non autorizza l'INPS ad attuarne l'iscrizione coattiva nella Gestione Separata, essendo tale operazione in palese contrasto con la legge numero 247/2012. L'avvocato è soggetto esclusivamente all'obbligazione contributiva in favore della Cassa Forense. Per concludere il Tribunale di Brindisi ha ripreso e approfondito l'interpretazione resa dalla Cassazione numero 30345/17, per la quale la legge numero 335/98 istitutiva della Gestione Separata si applica solo a coloro che svolgono attività di lavoro autonomo per professione abituale ancorché non esclusiva. Tale requisito soggettivo non sussiste in capo agli avvocati dal momento che il professionista avvocato percepisce redditi nell’esercizio abituale e continuativo della sola professione per cui è prevista l’iscrizione all’albo.

Tribunale di Brindisi, sentenza 24 aprile 2018, numero 528 Giudice del Lavoro Coppola Motivi della decisione Con ricorso depositato in data 01/02/2017 il ricorrente chiedeva l’accertamento dell’infondatezza delle pretese avanzata dall’Inps nei suoi confronti in merito al versamento dei contributi alla Gestione Separata in relazione al reddito dalla medesima percepito nel 2009, nell’esercizio dell’attività di avvocato, chiedendo l’annullamento dell’avviso di addebito e di ogni altro atto collegato e connesso, contestando altresì l’iscrizione d’ufficio alla Gestione Separata operata dall’Inps. L’Istituto convenuto si è costituito in giudizio, sostenendo la legittimità della sua pretesa di iscrivere il ricorrente alla Gestione Separata in considerazione del fatto che nell’anno in questione, in concreto, la parte ricorrente non aveva effettuato versamenti contributivi per i redditi derivanti dall’attività libero professionale, nonché la legittimità dell’avviso bonario. La questione che ha dato origine alla presente controversia verte sull’interpretazione dell’articolo 18 Co. 12 D.L. 98/11, il quale, interpretando autenticamente l’articolo 2 co. 26 L. 335/95, ha delimitato l’ambito dei soggetti tenuti all’iscrizione alla Gestione separata dell’INPS. In particolare, occorre stabilire se debbano iscriversi a detta gestione coloro i quali abbiano svolto, nel periodo oggetto di causa, attività il cui esercizio era subordinato all’iscrizione all’Albo professionale degli avvocati e abbiano versato alla Cassa forense, attesa l’entità dei relativi proventi, il solo contributo integrativo. Il quadro normativo è costituito dalle seguenti disposizioni di legge. L’articolo 2 comma 25 della legge 08 agosto 1995 numero 335 recita “il Governo della Repubblica è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, norme volte ad assicurare, a decorrere dal 1 gennaio 1996, la tutela previdenziale in favore dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è subordinato all'iscrizione ad appositi albi o elenchi, in conformità ai seguenti principi e criteri direttivi a previsione, avuto riguardo all'entità numerica degli interessati, della costituzione di forme autonome di previdenza obbligatoria, con riferimento al modello delineato dal decreto legislativo 30 giugno 1994, numero 509, e successive modificazioni ed integrazioni b definizione del regime previdenziale in analogia a quelli degli enti per i liberi professionisti di cui al predetto decreto legislativo, sentito l'Ordine o l'Albo, con determinazione del sistema di calcolo delle prestazioni secondo il sistema contributivo ovvero l'inclusione, previa delibera dei competenti enti, in forme obbligatorie di previdenza già esistenti per categorie similari c previsione, comunque, di meccanismi di finanziamento idonei a garantire l'equilibrio gestionale, anche con la partecipazione dei soggetti che si avvalgono delle predette attività d assicurazione dei soggetti appartenenti a categorie per i quali non sia possibile procedere ai sensi della lettera a alla gestione di cui ai commi 26 e seguenti”. L’articolo 2 comma 26, della legge 8 agosto 1995 numero 335 prevede “a decorrere dal 1 gennaio 1996, sono tenuti all'iscrizione presso una apposita Gestione separata, presso l'INPS, e finalizzata all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell'articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, numero 917, e successive modificazioni ed integrazioni ”. L’articolo 18 comma 12 del D.L. 98/11, conv. in Legge 111/2011 ha fornito l’interpretazione autentica dell’articolo 2 comma 26, sopra citato, nei seguenti termini “l'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, numero 335, si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all'iscrizione presso l'apposita gestione separata INPS sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti, con esclusione dei soggetti di cui al comma 11. Resta ferma la disposizione di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d , del decreto legislativo 10 febbraio 1996, numero 103. Sono fatti salvi i versamenti già effettuati ai sensi del citato articolo 2, comma 26, della legge numero 335 del 1995”. In tale disposizione risulta chiarito che l’iscrizione alla Gestione Separata ha carattere residuale essendo prevista esclusivamente per i lavoratori autonomi che esercitano una professione per la quale non sia obbligatoria l’iscrizione ad appositi albi, oppure per coloro che svolgano un’attività non soggetta a versamento contributivo agli enti di previdenza. Per conseguenza non è sufficiente ad escludere l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata la mera iscrizione all’albo professionale, essendo altresì necessario che ciò determini il coinvolgimento di uno degli “enti di cui al comma 11” ovvero “gli enti previdenziali di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, numero 509 e 10 febbraio 1996, numero 103”, tra cui vi è la Cassa Forense. Soltanto una interpretazione di tal natura rispetta la ratio della Gestione Separata costituita dalla volontà del Legislatore del 1995 di introdurre una tutela previdenziale residuale per tutte quelle attività che fino a quel momento ne erano prive, la quale esige che l’esonero dall’iscrizione alla Gestione Separata sia limitato a quelle attività per le quali l’iscrizione all’albo comporta anche la riconducibilità ad una gestione previdenziale. Per contra risulta controverso se possa ritenersi sufficiente l’esistenza di tale copertura previdenziale oppure sia necessario che la stessa risulti completamente operativa, comportando il concreto versamento di contributi destinati a creare una posizione previdenziale suscettibile di provocare l’erogazione di prestazioni previdenziali. Il tenore letterale dell’articolo 18, però, depone a favore della prima interpretazione. Se è vero, infatti, che la norma menziona espressamente il “versamento contributivo agli enti di cui al comma 11”, lo è altrettanto il fatto che il riferimento è presente soltanto in termini di mero assoggettamento del reddito corrispondente, né tantomeno di esistenza effettiva del medesimo. Inoltre è accompagnato dall’espressione “in base ai rispettivi statuti e ordinamenti”, che costituisce un inequivocabile rinvio alle regole della gestione previdenziale interessata. Peraltro il riferimento al “versamento contributivo agli enti di cui al comma 11” non può essere interpretato nel senso di esprimere la volontà di escludere il versamento alla Gestione Separata soltanto in presenza di una contribuzione alternativa concreta ed effettiva, ma piuttosto per richiedere una potenzialità contributiva la cui concretizzazione è rimessa alle specifiche regole della gestione previdenziale corrispondente. Ciò che la norma rappresenta è la decisione di ritenere sufficiente per escludere l’operatività della Gestione Separata il fatto in sé che l’attività di lavoro autonomo appartenga all’ambito di competenza di un’altra gestione previdenziale, rimettendosi poi alle regole di quest’ultima per quanto riguarda sussistenza ed entità degli obblighi contributivi e delle prestazioni previdenziali. Quando ricorre tale presupposto, dunque, l’iscrizione alla Gestione Separata è comunque esclusa, a prescindere dal fatto che la Cassa di Previdenza corrispondente possa in concreto escludere il versamento di contributi di tipo pensionistico, allorquando il reddito non supera un certo limite richiedendo solo quello integrativo. Invero la legge non pone alcuna distinzione in merito alla tipologia di contribuzione cui l’attività del libero professionista è assoggettata, essenziale essendo solo che la stessa non “sfugga” ad una forma obbligatoria di contribuzione. Orbene, nel caso del ricorrente la situazione è analoga. Deve ritenersi pacifico che l’attività svolta dalla parte ricorrente e produttiva di reddito è quella di avvocato, attività che richiede l’iscrizione nell’apposito albo professionale. La stessa risulta inserita nell’ambito di operatività del sistema previdenziale che fa capo alla Cassa Forense, e dunque assoggettata alle regole contributive di tale ente. Risulta altresì pacifico che il ricorrente ha versato regolarmente alla Cassa il contributo integrativo. Ne consegue che, nel caso di specie non ricorre alcuno dei presupposti tassativi previsti ai fini dell’iscrizione presso la Gestione Separata e, quindi, insuscettibili di interpretazione estensiva o applicazione analogica elencati dall’articolo 18, comma 12, D.L. 98/2011 cit., in quanto non risulta integrata né la prima ipotesi attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali , essendo l’esercizio dell’attività di avvocato certamente subordinato all’iscrizione all’albo professionale, né tantomeno la seconda attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11 , avendo la Cassa Forense imposto il versamento del contributo integrativo. E’ indubbio che i redditi percepiti dalla parte ricorrente nel 2010 non erano assoggettati a contribuzione di tipo pensionistico, ma lo è anche il fatto che a ciò consegue la preclusione per la parte ricorrente della possibilità di poter godere un giorno di un trattamento previdenziale e, comunque, si tratta di una precisa scelta legislativa nell’ambito del sistema previdenziale competente, né tantomeno può essere disattesa di fatto con assoggettamento alla contribuzione verso la Gestione Separata. La soluzione appare, peraltro, coerente con la ratio di quest’ultima, pacificamente costituita dall’intento di eliminare ambiti lavorativi che fossero completamente privi di copertura previdenziale. All’inoperatività in concreto del sistema previdenziale che fa capo alla Cassa Forense, infatti, corrisponde comunque la titolarità in capo alla parte ricorrente di una posizione assicurativa che impedisce di ravvisare nei suoi confronti detta situazione di mancanza completa di tutela previdenziale. Tale interpretazione è coerente con il disposto dell’articolo 21, comma 10, L. 247/2012 certamente non applicabile alla fattispecie, ratione temporis, ma utilizzabile come riscontro di coerenza della tesi sostenuta dalla parte ricorrente , secondo cui “non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense”. E l’INPS che obbliga l’avvocato al versamento di contributi previdenziali alla Gestione Separata come nella fattispecie in esame, si pone in contrasto con tale disposizione. E comunque, non può in questa sede sottacersi una amplissima e granitica tendenza giurisprudenziale condivisa dall’odierno giudicante della quale si riportano gli estremi di alcune delle pronunce più rilevanti Corte di Appello di Genova numero 364/2017, Corte di Appello di Torino numero 726/2017, Tribunale di Lecce numero 3425/2017, Tribunale di Napoli Nord del 04/07/2017, Tribunale di Chieti numero 190/2017, Tribunale di Macerata numero 279/2017, Corte di Appello di Genova numero 262/2017, 364/2017, 178/2017, 224/2017, Tribunale di Udine, numero 228/2017, Tribunale di Roma numero 9606/2017, Tribunale di Roma numero 9607/2017, Tribunale di Lecce numero 4360/2017, Tribunale di Termini Imerese numero 1003/2017, Tribunale di Pescara numero 855/2017, Tribunale di Bari numero 5150/2017, Tribunale di Napoli Nord del 07/11/2017, Tribunale di Bari numero 5227/2017, Corte di Appello di Milano numero 1888/2017, Corte di Appello di Lecce numero 2618/2016, Corte di Appello di Roma numero 2765/2017, Tribunale di Brescia numero 754/2017, Corte di Appello di Milano numero 1362/2017, numero 1363/2017, 780/2017, Corte di Appello di Milano numero 1376/2017, Tribunale di Monza numero 156/2016, Tribunale di Bolzano numero 166/2017, Tribunale di Napoli Nord numero 1470/2017, Tribunale di Avellino numero 490/2017, Tribunale di Taranto numero 2217/2017, Tribunale di Foggia numero 4507/2017, Tribunale di Lecce numero 1943/2017, Tribunale di Catanzaro numero 1110/2016, Tribunale di Frosinone numero 1328/2016, Tribunale di Roma numero 10769/2016, Tribunale di Napoli numero 9103/2016, Tribunale di Avezzano numero 266/2016, Corte di Appello di Napoli numero 584/2016, Corte di Appello di Lecce numero 2618/2016, Corte di Appello di Milano numero 1351/2016 . Infine, in ragione delle motivazioni espresse, merita una doverosa menzione anche la recentissima sentenza numero 30345/2017 della Cassazione che parrebbe porsi in contrasto con le decisioni prese precedentemente dalla medesima Corte, in particolare con la sentenza numero 13218/2008 la quale precisava che la Gestione Separata costituisce “gestione residuale”, destinata a coprire sotto il profilo previdenziale, attività per le quali non sia prevista l’iscrizione in appositi albi né alcuna forma di previdenza mentre “per i professionisti iscritti all’albo il soggetto deputato alla gestione della tutela previdenziale obbligatoria viene scelto dall’organo professionale competente e non è certo la gestione separata presso l’INPS di cui alla legge numero 335 del 1995 articolo 2 comma 26 da cui i professionisti iscritti negli albi sono esclusi”. Peraltro, la sentenza richiamata sembra porsi in contrasto anche con la recente sentenza della stessa Cassazione numero 11161/2017 in cui respingendo il ricorso proposto da un ingegnere volto ad accertare l’insussistenza dell’obbligo contributivo nei confronti dell’Inarcassa riteneva determinanti le conoscenze e le competenze intellettuali del professionista ai fini dell’individuazione dell’obbligo contributivo nei confronti dell’Inarcassa. Dalla sentenza numero 30345/2017 della Suprema Corte si è posto il quesito intorno alla possibile analogia con la fattispecie degli avvocati, con un esito negativo a parere del presente ufficio. In primo luogo, la decisione numero 30345/2017, infatti, riguarda un caso particolare che non ha alcuna analogia con quello contestato agli avvocati in quanto verte su un divieto di iscrizione alla Cassa di Previdenza Privata Inarcassa previsto dal Regolamento stesso a causa in una incompatibilità professionale determinata dal fatto che il ricorrente parallelamente all’attività autonoma di architetto svolgeva anche attività ulteriore come dipendente pubblico. Ora, tali incompatibilità in presenza di attività di lavoro subordinato sono previste dai Regolamenti di quasi tutte le Casse di Previdenza Provate, compreso quella forense articolo 3 Regio Decreto Legge numero 1578/1933 nonché articolo 22 Legge numero 576/80 , a tutela della dignità e dell’autonomia degli iscritti che in tal caso hanno il divieto espresso di iscriversi alla Cassa. Pertanto il disposto della suddetta sentenza sarebbe applicabile direttamente al caso di un avvocato che parallelamente all’attività legale svolgesse anche un’attività di lavoro subordinato o svolgesse la sua professione nell’ambito di un rapporto di impiego. La reale motivazione della decisione va individuata nell’intenzione di porre rimedio ad una situazione di ingiustizia sostanziale o di iniquità di trattamento nei confronti degli iscritti ai medesimi ordini professionali. Infatti, con questo escamotage, chi esercitasse una attività professionale per cui è prevista l’iscrizione ad un ordine, ove svolgesse contemporaneamente un impiego privato o pubblico, potrebbe esercitare tranquillamente la sua professione senza pagare i contributi determinando una situazione di concorrenza sleale nei confronti di tutti gli altri iscritti che invece versano regolarmente i contributi alla loro Cassa di appartenenza. Per ovviare a ciò la Cassazione è stata costretta ad interpretare il disposto dell’art, 18, comma 12, d.l. 90/2011 conv. con l. numero 111/2011 , come già accertato, il quale, nell’interpretare autenticamente la disposizione di cui all’articolo 2, comma 26, l. numero 335/1995, aveva precisato che “erano tenuti all’iscrizione alla gestione separata Inps soggetti che svolgono attività per professione abituale il cui esercizio non sia soggetto all’iscrizione ad un apposito albo professionale ovvero non soggette al versamento contributivo agli enti di cui all’articolo 11” – scindendo le due proposizioni prima e dopo la parola “ovvero” in due concetti distinti in cui il secondo ricomprende il primo. Ossia anche coloro che esercitano attività subordinate all’iscrizione ad un albo sono tenuti alla iscrizione alla gestione separata. Per conseguenza le attività “non soggette a contribuzione alle Casse Previdenziali Private” devono ritenersi esclusivamente quelle per cui la Cassa Privata avrebbe astrattamente competenza, ma è previsto al Regolamento della Cassa stessa un espresso divieto di iscrizione che realizza di fatto un diniego di competenza. L’espressione “attività non soggette all’iscrizione/versamento” seppure simile a quella “soggetti non tenuti all’iscrizione” non deve esserne ritenuta sinonimo dovendosi intendere con la prima solo le attività non soggette alla competenza, mentre la seconda attiene alla libera facoltà dell’iscritto all’albo in presenza di determinate condizioni espressamente individuate dal regolamento della Cassa di appartenenza nel pieno esercizio della sua autonomia “la quale rimane sempre l’unica titolare della competenza previdenziale dell’iscritto all’albo” come prevedevano la Legge numero 6/52 e la Legge numero 576/80 in cui si stabiliva che non fossero tenuti ad iscriversi alla Cassa Forense gli avvocati con un reddito inferiore a una soglia minima . Determinando una differenza sostanziale per la fattispecie in esame. Nel caso specifico degli avvocati non si tratta pertanto di attività non soggette, con esclusione del caso dell’avvocato che eserciti la sua professione pur esercitando allo stesso tempo ulteriore attività come dipendente oppure svolga la sua professione nell’ambito di un rapporto di impiego Ex art 22 L. 576/80 essendo una facoltà concessa dalla stessa Cassa Forense prima della riforma operata dalla Legge numero 247/12 che ha reso obbligatoria l’iscrizione alla Cassa Forense per tutti al fine di agevolare i giovani avvocati iscritti all’albo che non esercitavano la professione di avvocato in modo abituale. In secondo luogo, la Cassazione ribadisce comunque un punto fermo ovvero che la Legge numero 335/98 istitutiva della Gestione Separata si applica solo a coloro che svolgono attività di lavoro autonomo per professione abituale ancorché non esclusiva. Ora, è evidente che il caso contestato dall’INPS agli avvocati non rientri in questa fattispecie dal momento riguarda redditi percepiti nell’esercizio non abituale né continuativo di una professione per cui è prevista l’iscrizione all’albo. Che tale sia la situazione si ricava dai Regolamenti e dalla normativa prima citata ove la non obbligatorietà dell’iscrizione era prevista proprio in assenza di esercizio continuativo e abituale della professione stabilendo che fosse compito del Comitato dei Delegati della Cassa determinare i criteri per l’accertamento dell’esercizio continuativo della professione da adeguarsi periodicamente. Tali criteri sono stati individuati sino alla riforma del 2012 dal medesimo Comitato dei Delegati in due soglie reddituali minime, una ai fini Irpef l’altra ai fini Iva, determinate di anno in anno al superamento delle quali scattava l’obbligo di iscrizione. In conclusione, anche la recentissima sentenza della Suprema Corte che sembrerebbe contrastare la tendenza giurisprudenziale richiamata non può trovare applicazione nella fattispecie in esame. Per tutto quanto finora esposto la pretesa dell’Istituto resistente di iscrivere la parte ricorrente alla Gestione Separata e ricevere la corrispondente contribuzione appare infondata, con conseguente accoglimento della domanda di parte ricorrente di accertamento negativo sia dell’avviso bonario che dell’iscrizione alla Gestione Separata. Quanto alle spese di lite, esse seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo alla luce dei parametri di cui al D.M. 55/2014, in considerazione della natura delle questioni trattate sia in fatto che in diritto e dell’istruttoria svolta, limitata alla sola produzione documentale, avuto riguardo alle somme rivendicate con gli avvisi bonari e, dunque, facendo riferimento allo scaglione di valore compreso tra € 1.101,00 e € 5.200,00. P.Q.M. Il Tribunale di Brindisi, in persona del Giudice avv. Simone Coppola, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto con atto depositato il 01.02.2017 dall’Avv. omissis nei confronti dell’INPS, così provvede “a Accoglie il ricorso e per l’effetto dichiara l’insussistenza dell’obbligo del ricorrente di iscrizione alla Gestione Separata disposta dall’Inps con decorrenza dal 1 gennaio 2009 e, conseguentemente, insussistente l’obbligo di versamento dei contributi e relative sanzioni richieste dall’Inps, nonché l’annullamento dell’avviso di addebito numero 324 2016 00025542 06 000 ricevuto dal ricorrente in data 16.01.2017 per conseguenza, b ordina all’Inps la cancellazione dell’iscrizione d’ufficio dell’avv. omissis alla gestione separata disposta illegittimamente per le ragioni espresse in sentenza c condanna l’INPS a rifondere all’avv. Omissis le spese di lite, che liquida in complessivi € 1.543,00, di cui € 43,00 per contributo unificato, oltre rimborso spese generali forfettarie nella misura del 15%, CNA ed IVA come per Legge”.