Il nesso di causa è una costruzione logica, non un fatto materiale pertanto l'affermazione dell'esistenza di quel nesso tra una condotta illecita ed un danno costituisce oggetto di un ragionamento logico-deduttivo, non di un accertamento fattuale.
Così la Terza Sezione Civile della Cassazione nella ordinanza numero 4024/18, depositata il 20 febbraio 2018. Il fatto. I proprietari di due immobili che avevano appaltato ad un'impresa l'incarico di realizzarne la pavimentazione, avendo riscontrato un'esecuzione imperfetta dei lavori avevano agito contro l'impresa per ottenere il risarcimento dei danni. Era stata chiamata in causa la ditta produttrice del materiale utilizzato, che a proprio volta aveva chiamato in causa l'assicuratore. Il giudizio di primo grado si era concluso con l'accoglimento della domanda nei confronti della convenuta, ma con il rigetto della domanda di garanzia, in considerazione del fatto che non sarebbe stato possibile stabilire con certezza la causa del danno. Svoltosi il giudizio d'appello, la conclusione cui era giunto il Collegio era stata che a fronte delle mere ipotesi formulate dai consulenti tecnici non poteva essere accolta la domanda nei confronti del produttore in considerazione del fatto che per l'accertamento della sussistenza del nesso causale non sarebbero sufficienti mere presunzioni semplici. Veniva quindi proposto ricorso per cassazione, in particolare relativamente ai due seguenti temi 1 l'erroneo convincimento della Corte d'Appello che la prova del nesso di causa non si possa dare con presunzioni semplici 2 l'erronea affermazione dei Giudici dell'Appello secondo cui “causa” in senso giuridico dell'evento dovrebbe ritenersi, nel caso di più possibili antecedenti, solo quella “certa” e non quella più probabile. Il nesso di causa è un giudizio, basato sui fatti. La Terza Sezione ha accolto entrambi i motivi di ricorso, rinviando quindi alla Corte Territoriale. Relativamente al nesso di causa gli Ermellini hanno anzitutto chiarito come lo stesso non sia un fatto materiale, bensì costituisca un giudizio. Da ciò ne consegue che il nesso di causa in quanto tale non è provabile, trattandosi invece di un ragionamento deduttivo, che deve basarsi, evidentemente, su taluni fatti materiali. Ciò che deve essere provato, per l'appunto, sono questi fatti, che possono essere oggetto di qualunque mezzo di prova, ivi incluso le presunzioni semplici «dal momento che la legge non pone alcuna limitazione al riguardo». Il principio peraltro non è nuovo, essendo stato affermato in numerosi precedenti della stessa Corte di Cassazione e in diversi ambiti. La “causa” in senso giuridico. Anche per quanto concerne il concetto di “causa” in senso giuridico dell'evento, la Cassazione ha ribadito il proprio orientamento costante a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite numero 576/2008. Vale a dire il concetto secondo cui «il nesso di causa tra una condotta illecita e un danno può essere affermato non solo quando il secondo sia stato una conseguenza certa della prima, ma anche quando ne sia stato una conseguenza ragionevolmente probabile». Peraltro la ragionevole probabilità va intesa non in senso meramente statistico, bensì in base alle circostanze del caso concreto. Così facendo, per esempio, una causa statisticamente improbabile potrebbe comunque essere ritenuta sufficiente a fondare il nesso causale in una determinata ipotesi, laddove tutte le altre possibili cause risultassero ancora più improbabili. Nel caso in cui, poi, si fosse in presenza di più possibili e diverse concause di un medesimo fatto, e nessuna appaia del tutto inverosimile o, viceversa, decisiva, sarà compito del giudice valutare quale di esse appaia «più probabile che non» rispetto alle altre. Non potrà invece, come fatto erroneamente dalla Corte d'Appello, negare l'esistenza del nesso causale per il sol fatto che il danno sia teoricamente ascrivibile a varie, alternative, ipotesi.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 18 dicembre 2017 – 20 febbraio 2018, numero 4024 Presidente Travaglino – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. V.G. , B.I. , V.C. e V.D. nel 2008 convennero dinanzi al Tribunale di Trento G.R. e la società G. s.r.l., esponendo che - avevano appaltato a G.R. imprenditore individuale, il quale in seguito conferirà la propria impresa individuale nel capitale sociale della G.R. s.r.l. l’incarico di realizzare la pavimentazione di due immobili di loro proprietà, siti nel comune di Cavalese - l’opera non era stata eseguita a regola d’arte, in quanto l’intera pavimentazione realizzata dal convenuto aveva manifestato col tempo deformazioni e rotture. Chiesero pertanto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, ai sensi dell’articolo 1669 c.comma 2. Ambedue i convenuti si costituirono e, oltre a chiedere il rigetto della domanda attorea, chiamarono in causa la ditta produttrice del materiale utilizzato per la realizzazione del massetto su cui vennero posati i pavimenti, ovvero la società T. Materiali s.p.a Anche quest’ultima si costituì e, oltre a chiedere il rigetto della domanda attorea, chiese in subordine di essere tenuta indenne dal proprio assicuratore della responsabilità civile, ovvero la ITAS Mutua Assicurazioni, che venne perciò chiamata in causa. Anche la società assicuratrice si costituì chiedendo il rigetto delle domande contro di essa proposte. 3. Con sentenza 6 febbraio 2013 numero 109 il Tribunale di Trento accolse la domanda principale, ma respinse la domanda di garanzia proposta dai convenuti nei confronti della T. , sul presupposto che non fosse possibile stabilire con certezza la causa del danno. La sentenza venne appellata in via principale da G.R. e dalla G. s.r.l., ed in via incidentale dalla T. . Con sentenza 27 agosto 2014 numero 254 la Corte d’appello di Trento rigettò il gravame principale ed accolse quello incidentale. Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che a le consulenze tecniche svolte sia prima del giudizio nel corso di un accertamento tecnico preventivo che durante il giudizio avevano formulato soltanto delle mere ipotesi circa la causa del danno b in particolare, i consulenti avevano espresso l’opinione che il danno potesse essere stato causato sia dalla composizione del materiale, sia da fattori tecnologici ed ambientali intervenuti durante la messa in opera c per l’accertamento della sussistenza del nesso causale non sono sufficienti mere presunzioni semplici d in ogni caso l’appaltatore non aveva dimostrato di avere rispettato le prescrizioni che la stessa Corte d’appello definisce vaghe contenute nel depliant illustrativo del prodotto usato per la realizzazione del massetto. 4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da G.R. e dalla G. con ricorso fondato su sette motivi ha resistito con controricorso la T. . Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. 1.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, numero 3, c.p.c È denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 2727 c.c Deducono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso che la prova del nesso di causa potesse darsi con presunzioni semplici. 1.2. Il motivo è fondato. La Corte d’appello ha rigettato il motivo di gravame col quale G.R. e la G.R. si dolevano della ritenuta insussistenza del nesso di causa tra prodotto difettoso e danno in base a due rationes decidendi da un lato ha ritenuto che circa l’esistenza di tale nesso fossero possibili solo ipotesi, ma non sussistesse alcuna certezza dall’altro ha affermato che l’accertamento del nesso di causa non può avvenire sulla base di mere presunzioni semplici così la sentenza d’appello, p. 15 . Quest’ultima statuizione non è giuridicamente corretta. Non v’è dubbio che quel che comunemente è chiamato nesso di causa non sia un fatto materiale, ma un giudizio. La causalità in quanto tale è una relazione stabilita dall’uomo a posteriori tra due fatti, e non una categoria a priori, oggettivamente accertabile. Ne consegue che l’espressione prova del nesso causale , largamente diffusa nel lessico giudiziario e forense, costituisce in realtà una metonimia il nesso di causa in quanto tale non è provabile, perchè costituisce l’oggetto d’un ragionamento deduttivo, non un fatto materiale. D’una motivazione che accertasse o negasse il nesso di causa potrebbe discutersi se sia logica, non se sia provata così già Sez. 3, Sentenza numero 178 del 24/01/1972 più di recente, nello stesso senso si veda Sez. 3, Sentenza numero 21255 del 17/09/2013 . Quando dunque si discorre di prova del nesso di causa si usa una espressione ellittica per designare la prova dei fatti materiali, sui quali fondare il ragionamento non rileva qui se logico-deduttivo, analitico-induttivo, inferenziale, probabilistico ricostruttivo del nesso o della sua inesistenza. Ma i fatti materiali sui quali si fonda il sillogismo sull’esistenza o l’inesistenza del nesso di causa possono essere oggetto di qualsiasi mezzo di prova, non ponendo la legge alcuna limitazione al riguardo e dunque potranno provarsi con documenti, testimoni, giuramento, confessione e presunzioni semplici. 1.3. Questi principi sono stati ripetutamente affermati da questa Corte, nelle materie più diverse. Il ricorso alla prova presuntiva è stato ammesso per dimostrare i fatti, dai quali desumere il nesso di causa, in materia di - danni da emotrasfusione con sangue infetto Sez. U, Sentenza numero 582 del 11/01/2008, Sez. 3, Sentenza numero 5961 del 25/03/2016 - danni al consumatore derivanti da un’intesa anticoncorrenziale tra imprese Sez. 3, Sentenza numero 7039 del 09/05/2012 - danni al paziente derivanti dall’opera del medico, nel caso di cartella clinica incompleta Sez. 3, Sentenza numero 10060 del 27/04/2010 - danni da demansionamento Sez. L, Sentenza numero 26666 del 06/12/2005 - danni da malattie professionali Sez. L, Sentenza numero 14403 del 27/09/2003, Sez. L, Sentenza numero 1488 del 06/03/1986 , ovvero da infortuni sul lavoro principio, quest’ultimo, pacifico la sentenza capostipite risale addirittura a Sez. 2, Sentenza numero 1543 del 19/06/1962 - danni da attività pericolosa Sez. 1, Sentenza numero 1666 del 09/06/1973 - danni da seduzione con promessa di matrimonio Sez. 1, Sentenza numero 2661 del 23/07/1968 Sez. 1, Sentenza numero 963 del 11/05/1967 . Allo stesso modo, e converso, questa Corte ha ripetutamente affermato che attraverso la prova presuntiva può giungersi anche all’affermazione dell’esclusione del nesso di causa Sez. L, Sentenza numero 15080 del 26/06/2009, in tema di danno da malattie professionali . 1.4. Alla luce di questi princìpi può tornarsi ora ad esaminare la sentenza impugnata. L’espressione usata dalla Corte d’appello, secondo cui attraverso le presunzioni semplici si potrebbe dimostrare la difettosità del prodotto, ma non anche il nesso causale tra quest’ultima e il danno , potrebbe teoricamente essere intesa in due diversi sensi ma sarebbe in ogni caso giuridicamente erronea. Se con quell’espressione la Corte volle intendere che attraverso il ragionamento deduttivo non possa pervenirsi all’affermazione del nesso di causa, l’affermazione è ovviamente erronea per l’epistemologia, prima che per il diritto, dal momento che per quanto detto il nesso di causa in altro non consiste se non in un ragionamento, sicchè bene è stato osservato che in natura non esisterebbero nè cause nè effetti, se non vi fosse un essere umano a ravvisare le prime e predicare i secondi. Se, invece, con quell’espressione la Corte d’appello volle intendere che la prova dei fatti materiali sui quali costruire il giudizio di causalità non può essere data per presunzioni, l’affermazione sarebbe altrettanto insostenibile, dal momento che la legge non pone a tal riguardo alcun limite alla prova presuntiva come si desume dall’articolo 2729, comma secondo, c.c. . 1.5. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata con rinvio su questo punto, in applicazione del seguente principio di diritto Il nesso di causa è una costruzione logica, non un fatto materiale pertanto l’affermazione dell’esistenza di quel nesso tra una condotta illecita ed un danno costituisce oggetto di un ragionamento logico-deduttivo, non di un accertamento fattuale. Ne consegue che, mentre rispetto a tale ragionamento non sono concepibili questioni di prova, ma solo di coerenza logica, debbono essere debitamente provati i fatti materiali sui quali il suddetto ragionamento si fonda. La prova di tali fatti può essere data con ogni mezzo, ivi comprese le presunzioni semplici, dal momento che la legge non pone alcuna limitazione al riguardo . 2. Il secondo motivo di ricorso. 2.1. Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, numero 3, c.p.c È denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 2043 c.c Deducono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente affermato che causa in senso giuridico dell’evento deve ritenersi, tra più possibili antecedenti, quella certa , e non quella più probabile. 2.2. Il motivo è fondato. Questa Corte, ormai da dieci anni, viene costantemente ripetendo in tema di nesso causale i seguenti principi a il nesso di causa tra una condotta illecita e un danno può essere affermato non solo quando il secondo sia stato una conseguenza certa della prima, ma anche quando ne sia stato una conseguenza ragionevolmente probabile b la ragionevole probabilità che quella causa abbia provocato quel danno va intesa non in senso statistico, ma logico cioè non in base a regole astratte, ma in base alle circostanze del caso concreto c ciò vuol dire che anche in una causa statisticamente improbabile può ravvisarsi la genesi del danno, se tutte le altre possibili cause fossero ancor più improbabili, e non siano concepibili altre possibili cause. Così, ad esempio, se il crollo d’un immobile potesse astrattamente essere ascritto solo a sette possibili cause, tra loro alternative, una delle quali probabile al 40%, e le altre sei al 10%, la prima dovrebbe ritenersi causa del crollo, a nulla rilevando che le sue probabilità statistiche di avveramento fossero inferiori al 50%, e quindi improbabili per la sola statistica. Questi principi sono stati, come accennato, ripetutamente affermati da questa Corte innanzitutto dalle Sezioni Unite Sez. U, Sentenza numero 576 del 11/01/2008 Sez. U, Sentenza numero 581 del 11/01/2008 Sez. U, Sentenza numero 582 del 11/01/2008 Sez. U, Sentenza numero 584 del 11/01/2008 ed in seguito ribaditi e precisati da altre numerose decisioni si vedano Sez. 3, Sentenza numero 11789 del 09/06/2016, per l’affermazione del principio secondo cui il nesso può dirsi sussistente in mancanza di altre meno improbabili cause Sez. 3, Sentenza numero 3390 del 20/02/2015, per l’affermazione del principio della probabilità relativa , ovvero da apprezzare con riferimento alla specificità del caso e soprattutto Sez. 3, Sentenza numero 15991 del 21/07/2011, per l’affermazione del principio secondo cui in tema di nesso di causa rileva la c.d. probabilità relativa , non la probabilità statistica . Il corollario di quanto precede è che in presenza di più possibili e diverse concause di un medesimo fatto, nessuna delle quali appaia nè del tutto inverosimile, nè risulti con evidenza avere avuto efficacia esclusiva rispetto all’evento, è compito del giudice valutare quale di esse appaia più probabile che non rispetto alle altre nella determinazione dell’evento, e non già negare l’esistenza della prova del nesso causale, per il solo fatto che il danno sia teoricamente ascrivibile a varie alternative ipotesi così già Sez. 3, Sentenza numero 23933 del 22/10/2013 . 2.3. Nel caso di specie i suddetti principi non sembrano essere stati rispettati dalla sentenza impugnata. La Corte d’appello ha rilevato in fatto come, secondo l’ausiliario del c.t.u. , le fessurazioni e le rotture del massetto realizzato con il materiale prodotto dalla società T. erano dovute ad un eccesso di espansione, a sua volta dovuto alla formazione di ettringite. Questo fenomeno, riferisce la sentenza impugnata, poteva a sua volta teoricamente essere ascritto a tre cause alternative o contemporanee - a una concertazione di anidride solforosa superiore all’1% nel clinker ovvero il componente base del materiale b l’esistenza di microfessure dovute ad escursioni geotermiche ovvero, pare doversi ritenere, della temperatura del suolo c l’esposizione ad umidità. Accertato ciò in fatto, la Corte ha concluso che sulla causa del danno fossero formulabili solo delle mere ipotesi, e che di conseguenza la prova del nesso non fosse stata raggiunta. 2.4. Così giudicando, tuttavia, la Corte d’appello è incorsa in tre errori, che costituiscono altrettante false applicazioni dell’articolo 2043 c.c Il primo errore è consistito nel ritenere che una mera ipotesi non sia sufficiente a fondare un giudizio di causalità. Per quanto detto, infatti, anche un evento improbabile può, in concreto e nella singola, specifica vicenda processuale, ritenersi causa d’un evento, se tutte le altre possibili cause siano ancor meno probabili. Il secondo errore è consistito nel ritenere non provato il nesso eziologico tra materiale e danno per il solo fatto di essersi trovata dinanzi a più cause possibili ed alternative. Per quanto detto, infatti, dinanzi a plurime e possibili cause alternative del danno il giudice non può sottrarsi al compito di stabilire quale tra esse debba ritenersi quella più probabile in concreto ed in relazione alle altre, e non già in astratto ed in assoluto. Il terzo errore è consistito nell’avere affermato che le varie ipotesi causali potevano essere anche concorrenti p. 17, primo capoverso , e non averne poi tenuto conto nell’accertamento della causa più probabile. Per quanto detto, infatti, nel concorso tra cause umane nella specie, l’ipotizzato difetto di fabbricazione e cause naturali le escursioni geotermiche o l’umidità la responsabilità civile non viene meno nè si attenua, sul piano della causalità materiale altro e diverso discorso afferendo al diverso piano della causalità giuridica , come già stabilito più volte da questa Corte Sez. 3, Sentenza numero 15991 del 21/07/2011 . 2.5. La sentenza impugnata va dunque cassata anche sotto questo aspetto. Il giudice di rinvio, nel valutare l’esistenza del nesso di causa, si atterrà al seguente principio di diritto quando un evento dannoso sia teoricamente ascrivibile a più cause, solo alcune delle quali implicanti una responsabilità civile, il giudice non può rigettare la domanda di risarcimento per il solo fatto che le possibili cause siano più d’una, ma deve accertare in concreto quale, tra le varie possibili cause, appaia la più probabile. Tale giudizio va compiuto non in astratto ed in assoluto, ma in concreto e in relazione alla probabilità relativa che ciascuna ipotetica causa può avere rispetto alle altre . 3. I motivi di ricorso dal terzo al settimo. 3.1. I restanti motivi di ricorso restano assorbiti dall’accoglimento dei primi due. 4. Le spese. Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. La Corte di cassazione - accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso dichiara assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.