«La formula assolutoria fondata sulla rilevata carenza dell’elemento soggettivo non limita l’accertamento della responsabilità aquiliana». I Giudici di legittimità ritengono legittima, e accolgono, l’impugnazione della vincitrice “confusa”, in qualità di parte civile, la quale pensando di aver vinto una somma meno rilevante lascia nella mani del contitolare del biglietto il “gratta e vinci” vincente.
Sul tema la Cassazione con sentenza numero 36930/18, depositata il 31 luglio. Il fatto. La Corte d’Appello di Roma, riformando la decisione di prime cure, aveva assolto gli imputati dal reato di appropriazione indebita con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. In particolare agli imputati si contestava di essersi appropriati della quota di vincita al gioco “gratta e vinci” spettante alla parte offesa. Avverso la sentenza di merito il difensore della parte civile ha proposto ricorso per cassazione lamentando la contraddittorietà della motivazione della Corte territoriale in quanto da una parte i Giudici avevano rilevato la contitolarità del possesso del biglietto vincente, ma dall’atra aveva ritenuto la mancanza dell’elemento soggettivo del reato sostenendo che la parte civile aveva lasciato il biglietto agli imputati perché convinta che si trattasse una vincita di soli 500 euro e non di 500.000 euro. L’interesse ad impugnare della vincitrice confusa. Prima di entrare nel merito della controversia la Cassazione ha riconosciuto l’interesse ad impugnare della persona offesa, ribadendo i principi che affermano la sussistenza dell’interesse della parte civile ad impugnare anche la sentenza di assoluzione con la formula “perché il fato non costituisce reato”. Ritiene il Supremo Collegio che deve darsi continuazione al principio secondo il quale con la costituzione di parte civile la persona offesa manifesta la sua volontà di collegare l’azione risarcitoria all’accertamento del fatto in sede penale. Da cui consegue un diritto di impugnazione, svincolato dall’esercizio dell’omologo potere del PM, che «non subisce alcuna limitazione in relazione alla formula di assoluzione», posto che l’esercizio dei propri diritti in sede penale implica «il diritto di percorrere l’intero percorso processuale». Rispetto a quanto detto, continua la Cassazione, non rilevano le limitazioni di efficacia del giudicato poste dall’articolo 652 c.p.p. in quanto «la formula assolutoria fondata sulla rilevata carenza dell’elemento soggettivo non limita l’accertamento della responsabilità aquiliana, che è integrata anche se si rileva un atteggiamento soggettivo di mera colpa». Quindi l’indipendenza della responsabilità aquiliana non è ostativa dell’esercizio dei poteri di impugnazione della parte civile nel processo penale. Motivazione sull’accertamento dell’elemento soggettivo illogica. Riconosciuto l’interesse ad impugnare gli Ermelli, analizzando nel merito la controversia, hanno rilevato l’illogicità della motivazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’appropriazione indebita. Infatti il Giudice di primo grado aveva ritenuto accertata la volontà delle parti di fare a metà della vincita e diversamente il Giudice d’appello rilevava, invece, come acquisizione del denaro non fosse illecita in quanto la vittima non aveva chiesto la quota a lei spettante immediatamente ma solo quale ora dopo l’effettiva riscossione. Secondo la Cassazione dopo il riconoscimento della contitolarità del biglietto la condotta appropriativa doveva essere identificata non nell’atto di riscossione ma nella mancata corresponsione successiva della quota alla parte civile che chiedeva la restituzione. Per questi motivi la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile per valore in grado d’appello.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 4 – 31 luglio 2018, numero 36930 Presidente Gallo – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma riformando radicalmente la sentenza di primo grado assolveva gli imputati dal reato di appropriazione indebita. Si contestava agli stessi di essersi appropriati della quota della vincita al gioco gratta e vinci spettante alla N. Teresa che aveva acquistato il biglietto insieme alla A. . 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore della parte civile che deduceva 2.1. violazione di legge e vizio di motivazione si deduceva che la sentenza impugnata non si sarebbe confrontata con gli argomenti della prima sentenza si deduceva inoltre la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui da un lato si rilevava la contitolarità del possesso del biglietto vincente e dall’altro si rilevava la carenza di elemento soggettivo inducendolo dal fatto che della N. aveva lasciato il biglietto vincente alla A. ed ai suoi genitori nella errata convinzione che si trattasse di una vincita di soli 500 Euro, e non di 500.000. 3. Il difensore degli imputati depositava memoria con la quale rilevava la genericità delle censure e la loro direzione ad ottenere una valutazione alternativa delle prove si deduceva altresì che non era stata considerata la motivazione con la quale la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta di approfondimento dibattimentale ex articolo 507 cod. proc. penumero . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 1.1. In via preliminare il collegio in ordine al riconoscimento dell’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non costituisce reato la giurisprudenza non si presenta univoca. Secondo un primo orientamento tale interesse non sussiste, con conseguente inammissibilità del ricorso, dato che l’accertamento contenuto nella sentenza impugnata, tenuto conto della lettera dell’articolo 652 cod. proc. penumero non ha efficacia di giudicato nell’eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno Cass. Sez. 3, numero 24589 del 15/03/2017 - dep. 18/05/2017, P.C. in proc. Saporito, Rv. 270053 . Si tratta di interpretazione che il collegio non condivide ritenendo necessario dare continuità alla scelta ermeneutica secondo cui la parte civile ha interesse ad impugnare la sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato , che non abbia effetto preclusivo, al fine di ottenere l’affermazione di responsabilità per il fatto illecito perché chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della sua controparte si giova di tale accertamento e si trova in una posizione migliore di chi deve cominciare dall’inizio cfr. Sez. III, 15 aprile 1999, numero 6581, Lamanuzzi, m. 213840 Sez. VI, 6 febbraio 2003, numero 13621, Valle, m. 227194 Sez. V, 23 febbraio 2005, numero 15245, Nalesso, m. 232157 . È questa la ragione per la quale può solitamente riconoscersi alla parte civile interesse ad impugnare la sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato autorevolmente Cass. Sez. U, numero 40049 del 29/05/2008 - dep. 28/10/2008, P.C. in proc. Guerra, Rv. 240814 . Non può invece condividersi la giurisprudenza che, pur riconoscendo l’interesse ad impugnare la sentenza assolutoria che rileva la mancanza dell’elemento soggettivo, pone alla base della scelta ermeneutica il riconoscimento del presupposto della unitarietà della giurisdizione e, l’assunto non confortato dalla dell’articolo 652 cod. proc. penumero che l’azione civile per il risarcimento del danno da fatto illecito sarebbe preclusa anche quando l’imputato è stato assolto perché il fatto non costituisce reato, attesa l’identità di natura e di intensità dell’elemento psicologico rilevante ai fini penali ed a quelli civili, ritenendo che un’eventuale pronuncia del giudice civile, che dovesse affermare l’esistenza di tale elemento, escluso o messo in dubbio dalla sentenza penale irrevocabile, si porrebbe in contrasto con il principio dell’ unità della funzione giurisdizionale Sez. IV, 5 dicembre 2000, numero 9795/01, Burgaretta, m. 218283 Sez. V, 19 gennaio 2005, numero 3416, Casini, m. 231419 . Tale tesi si fonda sull’interpretazione estensiva o, meglio, sull’applicazione analogica che, secondo dottrina e giurisprudenza, doveva essere data all’articolo 25 dell’abrogato codice di rito che è pressoché identico all’articolo 652 del codice vigente , nel senso che, sempre che l’illecito civile sia costruito dal punto di vista dell’elemento psicologico in maniera identica all’illecito penale non quindi nei casi in cui tale elemento si atteggia in modo diverso, come ad esempio nell’articolo 2054 cod. civ. , non potrebbe ammettersi - perché ciò sarebbe in contrasto con il principio della unità della funzione giurisdizionale - che, se il giudice penale ha escluso o dichiarato dubbia la sussistenza dell’elemento psicologico, il giudice civile possa ritenere invece esistente quello stesso elemento, quanto meno ai fini della ordinaria responsabilità ex articolo 2043 cod. civ Secondo le Sezioni unite questa tesi non può essere condivisa in primo luogo, perché essa è contraddetta dalla concorde giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte, alle quali, in definitiva, spetta il compito di fornire la corretta interpretazione delle disposizioni che regolano gli effetti nei giudizi civili delle decisioni adottate in altre sedi, compresa quella penale. Il giudice penale, quindi, deve quanto meno tendere ad una interpretazione uniforme, che tenga conto del diritto vivente applicato dai giudici civili, e che eviti contrasti di giurisprudenza, tanto più gravi in quanto non è prevista una sede deputata alla loro composizione. In secondo luogo, e soprattutto, perché la tesi è comunque errata in quanto porta ad una interpretazione dell’articolo 652 cod. proc. penumero che, contrasta con la lettera e la ratio della disposizione oltre che con i principi generali e con la volontà del legislatore. È sufficiente qui ricordare che la tesi stessa espressamente si basa sull’assunto che dovrebbe continuare a seguirsi l’interpretazione che era stata data all’articolo 25 dell’abrogato codice di rito e ciò perché sarebbe rimasto invariato il presupposto su cui quella interpretazione si basava, e cioè il principio dell’unitarietà della funzione giurisdizionale. Sennonché è proprio questo presupposto che è venuto meno, non essendo più vigente tale principio nell’attuale ordinamento processuale. Venuto meno il principio, non possono quindi più seguirsi interpretazioni estensive o applicazioni analogiche che si fondavano sostanzialmente sul principio stesso Cass. Sez. U, numero 40049 del 29/05/2008 - dep. 28/10/2008, P.C. in proc. Guerra, Rv. 240814 . 1.2. Si ritiene pertanto che con la costituzione di parte civile la persona offesa ha manifestato la sua volontà di collegare l’azione risarcitoria all’accertamento del fatto effettuato in sede penale, ed assorbe lo statuto processuale previsto dal codice di procedura penale che, all’articolo 576 cod. proc. penumero prevede un generale diritto di impugnazione della parte civile svincolato dall’esercizio dell’omologo potere del pubblico ministero. Tale diritto non patisce alcuna limitazione in relazione alla formula di assoluzione, dato che la scelta di esercitare i propri diritti in sede penale implica che la parte abbia diritto di percorrere l’intero percorso processuale, nulla rilevando le limitazioni all’efficacia del giudicato previste dall’articolo 652 cod. proc. penumero , che non incidono sulla estensione del diritto alla impugnazione, ma operano sul piano dell’efficacia del giudicato penale nel processo civile, chiarendo che la formula assolutoria fondata sulla rilevata carenza dell’elemento soggettivo non limita l’accertamento della responsabilità aquiliana, che è integrata anche se si rileva un atteggiamento soggettivo di mera colpa Cass. Sez. 3, Sentenza numero 956 del 05/02/1996, Rv. 495742 - 01 . Diversamente opinando si costringerebbe la parte civile, che intende impugnare la sentenza assolutoria perché il fatto non costituisce reato, a rinunciare agli esiti dell’accertamento compiuto nel processo penale ed a riavviare ab initio l’accertamento in sede civile il che contravviene espressamente alle esigenze di contenimento dei tempi dell’accertamento giurisdizionale. La indipendenza della responsabilità aquiliana dall’accertamento del dolo non può, quindi, in assenza di una espressa limitazione del potere di impugnazione essere interpretata come ostativa all’esercizio dei poteri di impugnazione riconosciuti alla parte civile nel processo penale. 1.3. Riconosciuto l’interesse ad impugnare, il collegio rileva l’illogicità della motivazione in ordine alla valutazione della assenza del riconoscimento dell’elemento soggettivo dell’appropriazione indebita. Il giudice di primo grado riteneva infatti accertata la volontà degli imputati di non volere corrispondere la metà della vincita in tale prima decisione il fulcro della condotta appropriativa non era stato individuato nella riscossione della vincita, ma nella successiva mancata corresponsione della somma pretesa dalla N. . Diversamente il giudice d’appello rilevava come la percezione del denaro non potesse considerarsi illecito in quanto la vittima ritenendo erroneamente che la vincita ammontasse a 500 Euro piuttosto che a 500.000 Euro non aveva chiesto la sua quota immediatamente, ma solo qualche ora dopo la sua effettiva riscossione. Riconosciuta la contitolarità del biglietto, la condotta appropriativa doveva essere identificata non nell’atto della riscossione della somma, che si assume essere stata effettuata in buona fede, ma nella successiva mancata corresponsione della somma della quale la N. , contitolare del biglietto, chiedeva la restituzione. 1.4. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello. Spese al definitivo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado d’appello. Spese al definitivo.