Riduzione degli alimenti: la dichiarazione dei redditi ha valore indiziario

di Ivan Meo

di Ivan Meo *La dichiarazione dei redditi presentata dall'ex-coniuge, obbligato a corrispondere l'assegno di divorzio, è un mero indizio. Il giudice, può, quindi, disattendere quanto viene dichiarato dal modello Unico. Si è così espressa la Corte di Cassazione, che - con la sentenza numero 3095 depositata il 17 febbraio 2011 -, pur ribadendo principi sempre espressi dalla S.C., offre alcuni spunti di interesse, con riferimento ai riflessi che l'attuale normativa in materia di divorzio determina sull'istituto della revisione dell'assegno divorzile.Il fatto. Un imprenditore chiedeva una riduzione dell'assegno di divorzio in favore della moglie e quello di mantenimento in favore della prima figlia. L'ex marito era stato condannato, precedentemente, a versare oltre duemila euro al mese. In primo grado il Tribunale di Roma aveva ridotto, di poco, l'entità dell'assegno ma in secondo grado, su ricorso della ex moglie, la Corte di appello aveva ripristinato la misura iniziale dell'assegno.Si arriva in Cassazione ove, la prima sezione civile, ha bocciato tutti i motivi elaborati dalla difesa, la quale aveva prodotto in giudizio, la dichiarazione dei redditi dell'ex coniuge, sostenendo che, la medesima, si era fortemente ridotta rispetto agli anni precedenti per tali motivi vi si chiedeva la riduzione dell'assegno di mantenimento. La natura giuridica e le fasi per la determinazione dell'assegno divorzile. Prima di entrare nel merito della motivazione che ha spinto la Cassazione ad emettere la decisione che si commenta, pare opportuno se pur brevemente, analizzare la natura giuridica dell'assegno di divorzio. Partiamo da un dato incontestabile l'assegno di divorzio ha una fondamento solidaristico. Cfr. tra i tanti BIANCA, articolo 5, l. numero 898/1970, in Commentario Cian, Oppo e Trabucchi, vol. VI, 1, Cedam, Padova, 1993, pp. 336 ss. . Infatti, come previsto dal dettato legislativo, l'assegno di divorzio spetta al coniuge che non ha mezzi adeguati e che non può procurarseli per ragioni oggettive, dove i parametri presi in considerazione dell'articolo 5, legge sul divorzio condizioni e reddito dei coniugi, ragioni della decisione, contributo alla formazione del patrimonio e durata del matrimonio sono destinati unicamente ad incidere sul quantum dell'assegno divorzile. Pertanto il coniuge, che a seguito della cessazione del matrimonio, si trova in condizioni economiche svantaggiate, avrebbe comunque il diritto a godere di un tenore di vita libero e dignitoso e per tali motivi la legge gli riconosce tale assegno.La giurisprudenza afferma che l'assegno di divorzio risponde all'esigenza di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio Cass., 24 marzo 2010, numero 7145 . Inoltre afferma che, al fine di accertare il diritto all'assegno di divorzio, si deve compiere un'operazione suddivisibile in due momenti - accertamento dell'an che si concretizza nella valutazione dell'esistenza del diritto a percepire l'assegno divorzile, in riferimento alla inadeguatezza dei mezzi ed alla impossibilità oggettiva di procurarseli per permettere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. - determinazione del quantum il giudice procede alla quantificazione economica dell'assegno basandosi sulla valutazione dei restanti parametri indicati nell'articolo 5, 6° comma, legge sul divorzio. Cass., 25 giugno 2004, numero 11863 . All'interno di questa fase possiamo individuare ulteriori elementi a cui il giudice deve ricorre per una corretta individuazione del quantum a rispondenza alle sostanze dell'obbligato deve considerarsi non solo la situazione economica al momento della proposizione della domanda giudiziale, ma anche in relazione alla sua capacità economica nelle varie epoche anteriori alla decorrenza dell'assegno, con specifico riguardo alla sua attività lavorativa Cass., 22 agosto 2006, numero 18241 . La determinazione del reddito può aversi per via deduttiva, attraverso l'esame della dichiarazione dei redditi, sia attraverso l'accertamento compiuto dagli ufficiali fiscali, sia attraverso la considerazione che il coniuge pur non risultando avere beni propri o una propria fonte di guadagno, è tuttavia in grado di condurre una vita agiata b condizioni economiche del beneficiario il bisogno del coniuge può essere sia totale che parziale, cioè dato dalla differenza tra il reddito di lavoro o patrimoniale del coniuge che deve essere mantenuto e quello di colui che è tenuto al mantenimento Cass., 28 aprile 2006, numero 9876 .Accertamento del diritto all'assegno di divorzio e rilevanza delle dichiarazioni dei redditi. Nella sentenza numero 3905/2011, la Corte di Cassazione ha stabilito che la dichiarazione dei redditi presenta dall'ex marito attesa la sua funzione tipicamente fiscale, non ha valore vincolante, potendo piuttosto essere valutata discrezionalmente e quindi disattesa alla luce della altre risultanze probatorie al fine della determinazione della riduzione dell'assegno di mantenimento. Per tali motivi il ricorso è stato respinto anche sul fronte del mantenimento alla primogenita perché in questo caso, il Supremo Collegio ha sancito che esiste l'esigenza di accertare la capacità economica dei genitori con riguardo a tutte le componenti patrimoniale e reddituali nel caso di specie la dichiarazione presenta era più bassa di quella presentata dalla sua ex moglie, ma il suo ex comunque era intestatario di diversi immobili e quote societarie .In merito alla natura e alla funzione che la dichiarazione dei redditi assume in relazione alla determinazione e/o riduzione dell'assegno di mantenimento la Cassazione ha avuto modo già di esprimersi in maniera del tutto conforme rispetto alla fattispecie analizzata. Infatti, ha rilevato che le dichiarazioni dei redditi, svolgono una funzione tipicamente fiscale, e pertanto non rivestono un valore vincolante per il giudice, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può disattenderle, fondando il suo convincimento su altre risultanze probatorie Cass., 28 aprile 2006, numero 9876 12 giugno 2006, numero 13592 19 giugno 2003, numero 9806 . Inoltre, il Giudice deve tener conto anche delle potenzialità dell'attività di impresa esercitata dal coniuge obbligato e dell'entità oggettiva degli immobili di cui quest'ultimo risulti proprietario, prescindendo dalle risultanze delle dichiarazioni dei redditi Cass., 22 agosto 2006, numero 18241 .Da ciò si desume che il tenore di vita basso può non incidere, automaticamente, sull'ammontare dell'assegno di divorzio perché va rapportato al giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente l'assegno di divorzio, è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi - ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e delle loro disponibilità patrimoniali - e non già quello tollerato, o subìto, od anche concordato Cassazione, numero 10210 del 16 maggio 2005 .Alla luce di quanto esposto risulta chiaro ed evidente che, nell'ambito dell'accertamento di cui sopra, il ruolo delle dichiarazioni dei redditi può essere, allo stato, soltanto residuale. Appare quindi assolutamente pacifica, nell'attuale panorama giurisprudenziale, la possibilità per il Giudice di fondare il suo convincimento su altre risultanze probatorie idonee a superare, con elementi gravi precisi e concordanti, le emergenze fiscali come desumibili dalle dichiarazioni dei redditi, determinando in via presuntiva ed induttiva l'entità dei redditi effettivi, valorizzando gli elementi di fatto come fonti di prova, sempre che la motivazione adottata al riguardo sia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni Cassazione 14 maggio 2005 numero 10135 .* Consulente giuridico

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 14 dicembre 2010 - 17 febbraio 2011, numero 3905Presidente Luccioli - Relatore CultreraSvolgimento del processoCon ricorso del 14.11.2001 notificato il 17 dicembre 2001 S.R. ha chiesto al Tribunale di Roma di dichiarare cessati gli effetti civili del matrimonio contratto il OMISSIS con D.R.S.M.C. , da cui era separato consensualmente, e di disporre la riduzione dell'assegno di mantenimento a favore della figlia M.I. determinato nelle condizioni di separazione in L. 1.500.000 mensili, in quanto sproporzionato al reddito percepito ed alle accresciute responsabilità familiari, essendo divenuto padre di un altro figlio nato dalla convivenza con altra compagna.Comparso in udienza il solo ricorrente, il Presidente del Tribunale, riservatasi la decisione sui provvedimenti di sua competenza, con ordinanza 4 - 5 febbraio 2002 ha respinto la richiesta di riduzione dell'assegno e, nominato nella propria persona il giudice istruttore, ha fissato l'udienza di comparizione nel 19 febbraio, successiva di soli 14 giorni al deposito dell'ordinanza. La D.R. si è costituita con comparsa del 9 febbraio ed ha chiesto in riconvenzionale l'attribuzione di assegno di divorzio per sé, e l'aumento del contributo per la figlia.Il Tribunale, con sentenza non definitiva del 17 maggio - 5 giugno 2002, ha dichiarato cessati gli effetti civili del matrimonio quindi, con sentenza numero 20124/2003, ha dichiarato l'obbligo dello S. di corrispondere alla D.R. assegno divorzile in L. 1.000,00 mensili ed ha determinato il contributo per la bambina in Euro 770,00 mensili.La decisione è stata impugnata in via principale dalla D.R. ed in via incidentale dallo S. innanzi alla Corte d'appello di Roma che, con sentenza numero 2309 depositata il 17 maggio 2006, ne ha disposto parziale riforma. Ha determinato in Euro 516,46 al mese l'assegno di divorzio dovuto dallo S. alla D.R. ed in Euro 1.549,37 l'assegno dovuto dal predetto per la figlia I.M. , oltre al concorso del padre nella misura del 50% delle spese mediche straordinarie, preventivamente concordate con la moglie. Ha infine condannato lo S. al pagamento delle spese del giudizio d'appello.Avverso questa decisione R S. ha proposto il presente ricorso per cassazione affidandolo a tre mezzi. D.R.S.M.C. ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale articolato a sua volta in unico mezzo cui ha resistito il ricorrente principale con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva ai sensi dell'articolo 378 c.p.c Motivi della decisionePreliminarmente i ricorsi vengono riuniti ai sensi dell'articolo 335 c.p.c. in quanto sono stati proposti avverso la medesima decisione.Col primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione degli articolo 166 e 167 c.p.c. e dell'articolo 4 della legge numero 898/1970 nella formulazione previgente alle modifiche introdotte dall'articolo 2 comma 3 bis del d.l. numero 35/2005, nonché degli articolo 157 e 184 bis c.p.c. Pone la questione di diritto se sia ammissibile la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta nonostante la riscontrata violazione del termine previsto per la sua costituzione, stabilito ex lege in venti giorni liberi prima dell'udienza di comparizione innanzi al giudice istruttore. Ascrive alla Corte territoriale errore di diritto per aver dato rilievo alla circostanza che tra la data di deposito dell'ordinanza presidenziale e l'udienza di comparizione fosse intercorso un termine inferiore a quello legale, pur in presenza di preclusione operante ope legis. Sostiene che la decadenza in cui era incorsa la convenuta sarebbe stata superabile solo con richiesta di rimessione in termini ai sensi dell'articolo 184 bis c.p.c. che non venne tuttavia formulata.Chiede con conclusivo quesito di diritto se nel giudizio di divorzio è inammissibile la domanda riconvenzionale formulata nella comparsa di risposta depositata entro un termine inferiore a quello di venti giorni precedenti l'udienza di comparizione innanzi al giudice istruttore e se, nel caso in cui il termine assegnato dal Presidente del Tribunale sia insufficiente, la parte che intende costituirsi debba chiedere la rimessione in termini. La resistente replica al motivo deducendone l'infondatezza. L'insussistenza del termine a comparire non può determinare violazione del termine per la regolare costituzione in giudizio. Diversamente opinando, si negherebbe il diritto del convenuto alla proposizione di domanda riconvenzionale con conseguente violazione del principio del contraddittorio. Il motivo è infondato.È pacifico in punto di fatto che il Presidente del Tribunale, con l'ordinanza pronunciata il 31 gennaio 2002, depositata il 5 febbraio e comunicata al solo S. il 4-5 febbraio successivo, nel fissare nel giorno 19 febbraio l'udienza di comparizione innanzi al giudice istruttore non tenne conto del necessario intervallo di venti giorni liberi che avrebbe dovuto precedere detta udienza secondo quanto disposto dall'articolo 4 comma 6 della legge numero 898/1970, modificata dalla legge numero 74/1987. È incontroverso in jure per giurisprudenza consolidata che, in forza delle modifiche apportate all'articolo 4 della legge numero 898/1970 dall'articolo 8 della legge numero 74/1987, l'udienza di prima comparizione rilevante ai sensi dell'articolo 180 c.p.c. e degli articolo 166 e 167 c.p.c. è quella fissata innanzi al giudice istruttore designato all'esito della fase presidenziale - Cass. nnumero 4903/2004 e 2625/2006 -. La regolarità della costituzione della parte convenuta deve essere perciò verificata in relazione a questa udienza, mediante scrutinio che deve essere condotto alla stregua delle regole del codice di rito. Il convenuto che non dispone del termine libero di venti giorni precedenti questa udienza prescritto per il deposito della sua comparsa di costituzione contenente anche eventuale domanda riconvenzionale è perciò facultato ma non certo tenuto a chiedere al giudice istruttore la fissazione del termine a difesa, che, se richiesto, deve essergli concesso, in quanto non gli è preclusa la possibilità di optare per la rinuncia al termine se intende comunque accettare il contraddittorio difendendosi nel merito. In quest'ultima ipotesi non è legittimato a dedurre preclusioni o decadenze la parte che ha introdotto il giudizio, che dalla violazione di quel termine non ha tratto pregiudizio alcuno, restando fermi per essa i termini ordinari per formulare la sua replica. È jus reception - Cass. numero 3335/2002 e 12129/2004, 13128/2010, 7536/2009 - che l'assegnazione di termine inferiore a quello prescritto dall'articolo 163 bis c.p.c. inficia l'atto introduttivo del giudizio procurandone la nullità, che resta però sanata, e con effetto ex tunc, se il convenuto costituendosi opti per una delle indicate alternative, ovvero se il giudice che rilevi il vizio assegni d'ufficio all'attore termine per la rinnovazione dell'atto introduttivo ai sensi dell'articolo 291 c.p.c. Questo assetto regola anche il giudizio in esame in cui il rispetto del termine a comparire è affidato non già alla parte che ha introdotto il giudizio ma al Presidente del Tribunale che, celebrata l'udienza di comparizione innanzi a sé, fissa quella di comparizione innanzi al giudice istruttore. Non osta alla sua applicazione l'impossibilità giuridica di ascrivere vizio di nullità all'ordinanza presidenziale, che induce l'odierno ricorrente a prospettare suggestivamente ma non ragionevolmente l'ipotesi di decadenza della convenuta dalla facoltà di costituirsi e spiegare domanda riconvenzionale. Non sussiste decadenza se la parte tenuta ad una determinata attività processuale entro un certo limite temporale non dispone del termine utile previsto ex lege per il suo compimento per ragioni ad essa non ascrivibili, ma semplicemente perché quel termine non le è stato neppure concesso. La funzione dell'arco temporale di cui si discute è correlata alla tutela del contraddittorio, e dunque il convenuto che da quella violazione riceve pregiudizio è la sola parte legittimata a dolersene chiedendo al giudice di fissare nuovo termine conforme a quello di legge, ovvero a rinunciarvi se ritiene di essere comunque in grado di spiegare adeguatamente le proprie ragioni di difesa.La decisione impugnata si colloca nel solco di questa ricostruzione esegetica. È perciò immune da critica. Al quesito di diritto formulato nel motivo deve pertanto rispondersi affermando che non incorre in decadenza il convenuto che, nel giudizio di divorzio, si costituisce entro un termine inferiore a quello di venti giorni precedenti l'udienza di comparizione innanzi al giudice istruttore se l'intervallo temporale tra la data di deposito dell'ordinanza presidenziale di fissazione di questa udienza e la data dell'udienza stessa sia inferiore al suddetto termine dilatorio. In quanto unica parte pregiudicata da quella violazione, il solo convenuto è legittimato a dolersene ovvero a rinunciare al termine se ritiene di essere comunque in grado di spiegare adeguatamente le proprie ragioni di difesa.2.- Col secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 5 della legge numero 898/1970, dell'articolo 2697 c.c. e dell'articolo 115 c.p.c. e vizio d'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo, rappresentato dal riconoscimento del diritto della D.R. all'assegno divorzile.L'errore di diritto denunciato si anniderebbe nell'apprezzamento, ai fini del riconoscimento dell'assegno di divorzio, del tenore di vita della coppia riferito alle condizioni economiche esistenti all'epoca del matrimonio e non al momento della pronuncia di divorzio. Tale errata impostazione avrebbe indotto la Corte territoriale ad arretrare la sua indagine ricostruttiva, cristallizzandola peraltro all'anno 1993, il solo in cui il reddito percepito da esso ricorrente, unico sostegno della famiglia, registrò incremento, senza prendere in considerazione i periodi successivi in cui subì notevole contrazione, pacifica nonché documentalmente provata, fino a ridursi negli ultimi due anni di matrimonio - 1994 - 1995 - ai rispettivi importi indicati, ed ulteriormente peggiorando dopo la separazione. Il vizio di motivazione risiederebbe nell'affermazione assiomatica della notevole capacità reddituale del ricorrente, in contrasto con i dati probatori acquisiti, non bilanciata dalle partecipazioni societarie cui il giudice del gravame ha attribuito significativo rilievo probatorio. L'attribuzione dell'assegno divorzile in favore della D.R. non sarebbe insomma sostenuta dalla verifica dell'effettiva condizione economica dei coniugi, rimasta priva della prova, incombente sulla predetta convenuta, surrogata con illegittimo ricorso al notorio acquisito alla comune esperienza.La motivazione della Corte d'appello si fonderebbe sull'inversione dell'onere della prova in palese contrasto con il dato normativo, che subordina l'obbligo di pagamento dell'assegno divorzile in favore del coniuge più debole alla carenza in capo allo stesso di mezzi sufficienti a garantirgli il medesimo tenore di vita goduto in pendenza di matrimonio, e comunque all'impossibilità del coniuge richiedente di procurarsi tali mezzi. La D.R. non ha provato d'essersi adoperata per cercare un lavoro, e la Corte territoriale avrebbe asserito in senso tautologico l'impossibilità di procurarselo in modo confacente alle sue condizioni socio-economiche, prescindendo dalla necessaria verifica delle concrete possibilità di inserimento in adeguato ambito lavorativo, ritenendo aprioristicamente sottopagato il lavoro di interprete e traduttrice che ella, secondo il suo livello culturale, avrebbe potuto espletare. Ha disatteso, nonostante la sua rilevanza, la dichiarazione di autosufficienza, resa dalla D.R. in sede di separazione, ritenendo, seppur in assenza di prova, il peggioramento delle sue condizioni economiche. Ha affermato, senza suffragio probatorio, che il reddito percepito da esso ricorrente era superiore a quello dichiarato, in quanto godeva di discreto patrimonio immobiliare di cui era tuttavia rimasta indimostrata la redditività. Ha ignorato il proprio impegno a trasferire alla moglie l'usufrutto di un appartamento in XXXX da cui è ricavabile un reddito mensile di Euro 2.300,00.Il complesso conclusivo quesito di diritto chiede se 1 - l'insorgenza del diritto ad assegno divorzile debba essere valutata senza tener conto del peggioramento, in costanza del matrimonio e dopo la separazione, delle condizioni economiche del coniuge a carico del quale è posto 2.- se grava sul coniuge richiedente l'onere della prova del tenore di vita in costanza di matrimonio e delle capacità reddituali dell'altro coniuge 3.- se l'incapacità del coniuge richiedente a procurarsi mezzi adeguati a mantenere il tenore di vita debba essere valutata in concreto 4.- se precluda l'assegno di divorzio il trasferimento di usufrutto di un immobile con conseguente rinuncia all'assegno di mantenimento concordati in sede di separazione 5.- se il valore economico del detto diritto reale e la dichiarazione di autosufficienza resa in sede di separazione incidano sul quantum debeatur.In ordine al vizio di motivazione il fatto controverso è indicato nelle dichiarazioni dei redditi successive all'anno 1994 e nel rilievo probatorio attribuito alle partecipazioni societarie.La resistente deduce infondatezza anche di questo motivo rilevando la correttezza in astratto del percorso logico che sorregge la decisione impugnata, nonché l'esaustività del suo tessuto argomentativo laddove espone i dati concreti fatti oggetto di apprezzamento, e la sintesi che la Corte territoriale ne ha tratto. Il motivo non può essere accolto.In serrata consecuzione logica, premessa l'esigenza di verificare la sussistenza di entrambi i presupposti per il riconoscimento del diritto della D.R. all'assegno di divorzio, vale a dire mancanza di mezzi adeguati ed impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, che ruotano intorno alla nozione di tenore di vita goduto in costanza di matrimonio desunto dalle rispettive potenzialità, ovverosia dall'ammontare delle risorse tratte dai rispettivi redditi e disponibilità patrimoniali, il giudice del gravame ha apprezzato nel merito i dati probatori rilevanti al fine di accertare la capacità economica dei coniugi. Ha verificato che lo S. , ingegnere ben inserito nel mondo lavorativo, percepì nel '93 un reddito annuo di L. 134.959.000 e gode di numerose partecipazioni a società cooperative edilizie quasi tutte presiedute dal padre Avv. C S. , proprietario di immobili prestigiosi la D.R. è invece priva di reddito proprio e perciò non è in grado di mantenere il precedente tenore di vita, assicurato dalle sole risorse patrimoniali del marito. Le sue possibilità lavorative si collocano nella sfera dell'attività d'interprete o traduttrice, consona al suo livello culturale ma scarsamente remunerativa. Prive di rilievo, in questo quadro fattuale, sono la rinuncia all'assegno di mantenimento da parte della donna in sede di separazione e le altre pattuizioni intervenute in tale sede. La censura indirizzata avverso questo articolato percorso argomentativo è infondata laddove prospetta errore di diritto.Il riconoscimento del diritto all'assegno da parte della D.R. , quanto all'an debeatur, si basa sulla verifica dell'adeguatezza dei mezzi della stessa alla conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e dell'impossibilità di procurarseli, fondata su valutazione comparativa della situazione reddituale e patrimoniale della famiglia tra la condizione attuale e quella in cui il nucleo versava durante il matrimonio. Il tenore di vita, fulcro dell'indagine, doveva essere ed è stato correttamente considerato quale quello che poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base delle aspettative maturate nel corso del rapporto, secondo quanto affermato da costante orientamento di questa Corte. Nell'ottica della finalità assistenziale tipica dell'istituto dell'assegno in argomento, di evitare l'alterazione di quel tenore di vita per il solo effetto del divorzio, la Corte territoriale ha ponderato le reciproche condizioni economiche dei coniugi valutando la condizione familiare precedente alla luce delle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dell'ammontare complessivo dei loro redditi e delle disponibilità patrimoniali - per tutte Cass. numero 4764/2007, numero 15610/2007 -, considerandole correttamente in senso oggettivo nelle componenti reddituale e patrimoniale, giungendo alla conclusione che quel tenore di vita dipendeva dalla sola condizione economica e patrimoniale complessiva dello S. , data l'assoluta carenza di proprie personali risorse della richiedente. Ne ha tratto il convincimento che quest'ultima fosse più debole ed avesse perciò diritto all'assegno divorzile, senza omettere di considerarne, necessariamente in astratto data l'assenza di effettivi dati fattuali di riscontro, le potenzialità lavorative che evidentemente hanno inciso sulla misura dell'assegno divorzile in senso riduttivo, sì che risultano inammissibili le doglianze del ricorrente che non ha interesse a dolersene, né ha peraltro dimostrato, come era suo onere, il rifiuto da parte della richiedente di concrete ed effettive opportunità di lavoro migliori rispetto a quelle ritenute ipotizzabili da parte del giudice del gravame cfr. Cass. numero 27775/ 2008 . Quanto all'entità del contributo ritenuto adeguato al tenore di vita goduto durante la convivenza coniugale e alle capacità economiche dello S. , la decisione impugnata risulta parimenti corretta. L'anzidetta condizione non prescindeva da altre componenti idonee a formarne un quadro sinottico completo ed in tale prospettiva la Corte territoriale ha dunque giustamente preso in considerazione il tipo d'attività e di qualificazione professionale del predetto, la sua collocazione sociale e familiare, le potenzialità connesse all'esercizio di quell'attività, a l'entità oggettiva degli immobili di cui egli risultava proprietario, nonché le sue numerose partecipazioni societarie, elementi tutti valutabili in aggiunta alle risultanze delle dichiarazioni dei redditi prodotte che, attesa la loro funzione tipicamente fiscale, non avevano valore vincolante potendo piuttosto essere valutate discrezionalmente, e quindi disattese alla luce delle altre risultanze probatorie - Cass. numero 9876/2006, numero 18241/2006 -. Su di essa non incidevano gli accordi di separazione nel loro complesso, segnatamente la rinuncia della donna all'assegno di mantenimento - Cass. numero 21245/2010. La verifica, ai fini dell'assegno divorzile, doveva infatti arrestarsi alle attuali condizioni economiche delle parti ed al pregresso tenore di vita coniugale alla luce dell'articolo 5 della legge numero 898 del 1970 e successive modifiche, in relazione al quale l'assetto economico concordato in sede di separazione funge da utile elemento di apprezzamento solo nella misura in cui appaia idoneo a fornire elementi di valutazione relativi al tenore di vita goduto durante il matrimonio e alle condizioni economiche dei coniugi - Cass. numero 1758/2008 - e numero 22500/2006 -. All'esito, senza dover necessariamente dare giustificazione di tutti i parametri di riferimento indicati dall'articolo 5 citato, era in potere del giudice del merito dare prevalenza, secondo il suo prudente apprezzamento, a quello basato sulle condizioni economiche delle parti, valorizzando, sulla base del principio di acquisizione, tutti i dati del compendio probatorio allegati dallo S. per sottrarsi all'obbligo del pagamento, e dalla D.R. per ottemperare all'onere su di essa incombente di dedurre e dimostrare, in ordine all'an debeatur il tenore di vita ed il deterioramento conseguito per effetto del divorzio, ed in ordine al quantum le circostanze suscettibili di essere valutate dal giudice alla luce dei criteri dettati JO dall'articolo 5 della legge numero 898/1970.La determinazione della misura dell'assegno sintetizza il risultato di questa complessa ed articolata indagine, rappresentando tendenzialmente quanto, a giudizio della Corte di merito, è apparso idoneo ad assicurare alla richiedente il tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Tale scelta decisionale, impostata sulla corretta applicazione della disposizione che regola la materia, è immune da errore di diritto ed in tale prospettiva il motivo è infondato.La censura in esso espressa è invece inammissibile laddove prospetta il vizio di motivazione, siccome mira ad una rivisitazione di questa scelta e delle ragioni che l'hanno giustificata nel merito che palesemente sorretta da puntuale e logico tessuto motivazionale, si sottrae al chiesto sindacato.3.- Col terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 6 legge numero 898/1970 modificato dalla legge numero 74/1987 ed ancora vizio di motivazione.L'errore di diritto della Corte di merito, relativo alla maggiorazione dell'importo del contributo di mantenimento della figlia I. consiste nell'aver accolto la domanda non suffragata da prova, di cui era onerata la D.R. , circa le capacità patrimoniali della suddetta richiedente ed il tenore di vita che la minore avrebbe goduto in costanza del matrimonio dei genitori.Il vizio di motivazione si annida nell'affermata inattendibilità delle dichiarazioni dei redditi negli anni più recenti e nell'irrilevanza della nascita dei due figli nati da relazione con altra donna.La resistente deduce infondatezza anche di questo motivo.Il motivo espone censura in parte infondata. in parte inammissibile.La decisione impugnata presta espressa adesione ad insegnamento giurisprudenziale che, in relazione alla questione controversa, pone l'esigenza d'accertare in sede giurisdizionale la capacità economica dei genitori con riguardo a tutte le componenti patrimoniali e reddituali - Cass. numero - 6872/1999 - attribuendo valore solo indiziario e non esaustivo alle risultanze delle dichiarazioni fiscali - Cass. nnumero 4067/1997, 9806/2003, 12183/1992 -. In questo solco la Corte territoriale, ritenendo di non poter desumere con certezza dalle denunce dei, redditi prodotte dal padre della minore la sua reale situazione patrimoniale per le specifiche ragioni indicate quanto all'anno 2004 egli aveva dichiarato un reddito inferiore a quello dichiarato dalla ex moglie, percettrice del solo assegno di divorzio, tentando quindi di spiegare il paradosso dichiarando d'aver ricavato la somma di Euro 110.000,00 dalla vendita di un cespite di cui era comproprietario , l'ha ritenuta accertata aliunde, valorizzando le stesse circostanze già esaminate ai fini, dell'attribuzione e quantificazione dell'assegno di divorzio, vieppiù sviscerate in dettaglio, tenuto conto anche del cessare dell'obbligo assunto dal nonno della bambina di contribuire al suo mantenimento con assegno mensile di L. 1.500.000, di cui si era tenuto conto in sede di determinazione del contributo.Il motivo è infondato laddove denuncia l'errore di diritto in quanto, secondo esegesi dell'articolo 6, comma 9 legge numero 898/1970 letto in combinato disposto con l'articolo 155 comma 6 c.c., che si condivide e s'intende ribadire senza necessità di rivisitazione, in deroga alla rigida ripartizione dell'onus probandi, il giudice dispone di ampio potere istruttorio, giustificato dalla finalità pubblicistica dell'istituto, che gli consente di ancorare le sue determinazioni ad adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli prescindendo dalla prova addotta dalla parte istante, ed attingendo, sulla base del già richiamato principio di acquisizione, a tutti i dati comunque facenti parte del bagaglio istruttorio - Cass. nnumero 15065/2000, 27391/2005, 18627/2006 -.L'enunciato ha trovato nella decisione impugnata effettiva e corretta applicazione. Ancora infondata è la censura di omessa considerazione della costituzione da parte del ricorrente di un nuovo nucleo familiare allietato dalla nascita di altri due figli. Tale condizione non può escludere il diritto della figlia I. al mantenimento che le garantisca il tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della sua famiglia analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza.La sua incidenza sulla misura del contributo è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, che non è sindacabile in questa sede.Nel resto il motivo indirizza critica nel merito alla determinazione dell'assegno di mantenimento sollecitando scrutinio sulla valutazione dei fatti esaminati dalla Corte territoriale ed è perciò inammissibile. Alla luce di quanto premesso, il ricorso deve perciò essere respinto.Il ricorso incidentale della D.R. denuncia violazione dell'articolo 5 della legge numero 898/1970 e successiva modifica. Lamenta errata riduzione dell'assegno divorzile, giustificata in contraddizione con l'affermato elevato tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, e valorizzando astratte e non concrete potenzialità lavorative di essa istante.Il conclusivo quesito di diritto chiede quale sia la corretta interpretazione della norma in rubrica, e se nel determinare l'assegno in questione si debba tener conto della concreta capacità del richiedente di procurarsi un livello di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.Il ricorrente deduce inammissibilità e comunque infondatezza del motivo.Il motivo è inammissibile. Il quesito di diritto risulta privo di specificità. Non assolve infatti alla funzione sua propria di far comprendere sulla base della sua sola lettura, intesa come sintesi logico-giuridica della questione controversa, l'errore di diritto che si ascrive al giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione della ricorrente, la regola da applicare. È in conclusione solo apparente e non risponde all'esigenza di cooperazione all'espletamento della suddetta funzione nomofilattica della S.C., posta con chiarezza dalla prescrizione di cui al citato articolo 366 bis c.p.c. , risolvendosi nella sola istanza d'accertamento della denunciata violazione di legge, che non consente di individuare il principio di diritto diverso da quello posto a fondamento della sentenza impugnata, la cui auspicata adozione da parte di questa C.S. sarebbe idonea a determinare una decisione di segno diverso sulla base di regula iuris alternativamente individuata - Cass. numero 4044/2009 e numero 8463/2009.Le spese del presente giudizio, in ragione della reciproca soccombenza delle parti, vengono compensate per la metà, con condanna del ricorrente principale al pagamento del residuo,liquidato come da dispositivo.P.Q.M.La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l'incidentale. Compensa per la metà le spese del presente giudizio e condanna il ricorrente principale al pagamento del residuo liquidato in misura già ridotta in Euro 1.500,00 oltre Euro 100,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.