L’inidoneità permanente rileva quale impossibilità della prestazione lavorativa anche se accertata senza ricorso alla C.T.U
Il fatto. Un lavoratore del settore sanitario privato, lamentava l’ingiustizia del licenziamento inflittogli per g.m.o. giustificato motivo oggettivo , concernente l’impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da una forma di permanente inidoneità psico-fisica del lavoratore stesso e pertanto impugnava in via giudiziale il recesso datoriale aspirando ad una delibazione di inefficacia dello stesso con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e condanna del datore alla corresponsione delle retribuzioni scadute con decorrenza sin dalla data del licenziamento. I giudici della fase di merito, però, in entrambi i gradi di giudizio rigettavano la domanda di giustizia introitata dal lavoratore sul presupposto del regolare scioglimento del contratto di lavoro, quale conseguenza del radicale mutamento delle condizioni di salute del lavoratore, che nel contesto sinallagmatico dello schema negoziale del lavoro subordinato rendevano effettivamente inutilizzabile da parte del datore del lavoro la residuale capacità lavorativa esprimibile dal lavoratore, poiché non più corrispondente al profilo professionale precedentemente dal medesimo ricoperto nell’organigramma aziendale. Il lavoratore ricorreva in sede di legittimità innanzi alla Suprema Corte di Cassazione avverso la sentenza del gravame come detto, confermativa della sentenza resa in primo grado dal Tribunale in composizione monocratica in funzione di giudice del lavoro, affidando il pedissequo ricorso a due soli motivi, vertenti entrambi sulla violazione e/o falsa applicazione di norme di legge e di contrattazione collettiva ex articolo 360, co. 3, c.p.c Sinteticamente gli aspetti della sentenza di appello censurati dal lavoratore convergono, il primo sul modus operandi adottato dai giudici di merito per ricostruire il c.d. stato di inidoneità permanente dello stesso con riferimento alle rispettive mansioni professionali assegnategli in costanza di rapporto che, a dire del lavoratore trova un limite nella circostanza di non aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio, peraltro precipuamente e tempestivamente formulata come richiesta istruttoria sin dal giudizio di primo grado ma di fatto completamente ignorata dal giudice di prime cure in quanto non seguita da una espressa e motivata negazione mentre, il secondo con riferimento al valore probatorio assegnato sempre dai giudici di merito alle annotazioni sul libro matricola formato e detenuto dal datore di lavoro, ritenute utilmente idonee a confermare l’adempimento dell’obbligo datoriale in materia di repechage obbligo del datore di lavoro, di dimostrare in caso di licenziamento per g.m.o. l’impossibilità di reinserire il lavoratore perdente posto a mansioni diverse purchè di natura equipollenti . La Cassazione, nel trattare congiuntamente i motivi di ricorso anzidetti perché funzionalmente collegati, li ha rigettati entrambi, offrendo nel contempo un’importante chiosa sia in materia di natura giuridica della consulenza tecnica d’ufficio e sia, altresì, sull’argomento oggi, attualissimo dell’obbligo di repechage con particolare riferimento alla valenza probatoria del libro matricola, le cui risultanze e/o annotazioni sono rimesse comunque al principio del libero convincimento del giudice. La richiesta di C.T.U Circa, l’esigenza di ricostruire il fatto storico sostanziale attraverso il ricorso alla c.d. consulenza tecnica d’ufficio, il Supremo Consesso, a conferma peraltro di un suo orientamento già consolidato, statuisce che laddove la questione controversa non appartenga a materie per le quali il ricorso a tale strumento ausiliario dell’attività istruttoria del giudice sia previsto direttamente dalla legge, lo stesso, è rimesso al principio dispositivo in misura c.d. sollecitatoria e soprattutto al potere officioso del giudice, che si traduce in concreto nel potere-dovere di nominare un soggetto munito di particolari e specifiche competenze di natura tecnica cui affidare la soluzione di circostanze contestualizzate in quel precipuo ambito disciplinare, dalle cui risultanze è possibile successivamente rintracciare la sussistenza e/o la verità dei fatti allegati dalle parti. Cos’è la C.T.U.? In sostanza, la Cassazione ribadisce ancora una volta come la consulenza tecnica d’ufficio non vada annoverata tra i mezzi istruttori, risolvendosi invece, in un mezzo c.d. di ricerca della prova attraverso la decifrazione a cura del consulente di dati non direttamente percepibili ed apprezzabili dal giudice-giurista. Per quanto riguarda poi, il dovere-potere del giudice di motivare l’eventuale intendimento di non avvalersi di tale strumento di ricerca della prova, laddove lo stesso sia stata sollecitato attraverso la richiesta della parte, ebbene, il responso al riguardo non si ritiene debba essere espresso e/o esplicito potendosi infatti manifestare anche in maniera implicita e di fatto. La formulazione della prima censura sollevata dal lavoratore, inoltre a parere sempre della Suprema Corte è solo apparentemente riconducibile al vizio di violazione e/o falsa applicazione della norma di legge, in quanto nella sostanza si traduce in una censura sulle modalità di valutazione delle risultanze istruttorie da parte del giudice di merito, aspetto questo che, se connotato da critiche esposte sotto il profilo di contraddizioni e/o insufficienze sul piano motivazionale offerto dal giudice stesso nella sentenza oggetto di impugnazione, può essere anche valutato in sede di legittimità ma con riferimento non al vizio di legittimità ma, alla censura conosciuta come vizio di motivazione quando, invece, la censura in discorso tende semplicemente a criticare il “modus operandi” del giudice sulla libera valutazione di alcune prove a discapito di altre, ebbene, in questo caso l’indagine rimette la questione al merito ovvero alla ricostruzione del fatto sostanziale, che come ripetutamente detto, non compete al giudice nomofilattico. Violazione e/o falsa applicazione di norma di legge e funzione nomofilattica. La sentenza in commento ne affronta in maniera esaustiva, portata e ampiezza di significato. Invero, si parla di violazione e/o falsa applicazione di norma di legge, allorchè la norma intesa come il risultato dell’attività ermeneutica dell’esegeta, non sia stata in astratto correttamente individuata dal giudice di merito sul parametro della funzione nomofilattica intesa come la potestà di interpretare la legge in modo costante ed uniforme sull’intero territorio nazionale, che è propria della Suprema Corte di Cassazione oppure, altro caso di violazione di legge nel senso in discorso si può verificare, allorchè la predetta norma, nonostante sia stata in astratto correttamente individuata dal giudice di merito, venga poi, successivamente applicata ad un caso concreto non riconducibile propriamente allo schema astratto della norma stessa. Obbligo di repechage e libro matricola. Passando, infine all’obbligo di repechage che in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo impone al datore di lavoro di dimostrare l’impossibilità del reinserimento del lavoratore medesimo in altro ambito del rispettivo organigramma aziendale nel rispetto sempre dell’equipollenza delle mansioni, vi è da dire che sotto l’egida della normativa previgente che annoverava il c.d. libro matricola tra i registri obbligatori, come tali assoggettati a rigorosi adempimenti formali in merito rispettivamente alla formazione e tenuta, con l’avvento del registro unico del lavoro, la garanzia formale dell’odierno libro matricola è venuta meno, in quanto lo stesso è oggi un documento proveniente direttamente ed unilateralmente dal datore di lavoro, pertanto la valenza probatoria non può essere piena ma secondo quanto sostiene il lavoratore ricorrente nel giudizio deciso dalla sentenza in commento, dovrebbe spiegare una valenza per lo più indiziaria. In realtà la Cassazione, ha stabilito che il regime legale in termini di prova del predetto registro matricola, è rimasto inalterato nonostante siano venuti meno gli obblighi formalistici però, l’apprezzamento sull’idoneità a costituire prova a favore il datore e contro il lavoratore è rimesso al giudice di merito che deve valutare di volta in volta l’esatta cronologia delle annotazioni ivi apposte con riferimento al rispetto, da parte del datore di lavoro, del criterio di regolarità logica attraverso cui sono scandite le annotazioni riportanti la successione delle assunzioni precedenti e successive al periodo di lavoro oggetto di contestazione ed ai fini della idoneità di tale registro a corroborare l’adempimento dell’obbligo datoriale dell’obbligo di repechage innanzi spiegato, anche il lavoratore è tenuto potendosene valere, a dimostrare che nel contesto dell’organigramma presente in azienda al momento del licenziamento o nell’immediatezza di successive assunzioni, il datore di lavoro, ben avrebbe potuto provvedere ad un reinserimento della capacità lavorativa espressa da esso lavoratore, ingiustamente licenziato e sostituito.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 febbraio – 26 aprile 2012, numero 6501 Presidente Lamorgese – Relatore Tria Svolgimento del processo 1.- La sentenza attualmente impugnata rigetta l'appello di E.C. avverso la sentenza del Tribunale di Tivoli del 25 giugno 2007, la quale a sua volta ha rigettato la domanda dell'E. volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia del licenziamento per giustificato motivo oggettivo - intimatogli dalla Italian Hospital Group s.p.a. d'ora in poi IHG il 16 marzo 2004 - con la conseguente condanna della suddetta società a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e a corrispondergli l'importo delle retribuzioni dalla data del licenziamento fino all'effettiva reintegrazione, oltre agli accessori di legge. La Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che a il lavoratore lamenta l'errata valutazione del proprio stato di salute da parte del giudice di primo grado, in quanto questi ha considerato l'E. inidoneo al lavoro in modo permanente, mentre in nessun documento agli atti del giudizio è presente simile qualificazione della propria incapacità lavorativa b tale censura è infondata perché dal complesso della motivazione della sentenza di primo grado si desume chiaramente che il Tribunale non ha effettuato la suddetta qualificazione avendo, anzi, evidenziato l'esistenza - in astratto - di mansioni compatibili con lo stato di salute del lavoratore, sull'evidente presupposto - non esplicitato, ma univoco - di una residua capacità lavorativa del ricorrente c l'E. sostiene, poi, che il Tribunale ha omesso di pronunciarsi sulla propria istanza di nomina di c.t.u., ritualmente avanzata nel corso del giudizio di primo grado d in effetti, nella sentenza di primo grado, non vi è espressa menzione di tale richiesta, però, dal complesso della motivazione si ricava in modo univoco un implicito rigetto della stessa da confermare in questa sede perché l'accertamento della sussistenza di una residua capacità lavorativa del ricorrente sarebbe comunque irrilevante, per le ragioni di seguito precisate e del pari infondate sono la censure relative alla asseritamente errata valutazione delle prescrizioni mediche della ASL Roma X del gennaio 2004 e del medico di fiducia della società dell'ottobre 2002 nonché delle risultanze istruttorie in ordine all'obbligo di c.d. repechage f quanto alle prescrizioni mediche, infatti, il lavoratore non considera nel dovuto modo il fatto che tra i due accertamenti medici si è verificato l'episodio dell'ictus cerebrale avvenuto nel OMISSIS che lo ha colpito e che giustifica un valutazione datoriale più prudente rispetto al passato in merito alla compatibilità delle mansioni con lo stato di salute del dipendente, in armonia con l'articolo 32 Cost. e l'articolo 2087 cod. civ. g peraltro le due suddette prescrizioni non hanno contenuto identico nella prima del 2002 il lavoratore è considerato idoneo con prescrizioni, esclusi lavori e turni gravosi , nella seconda del 2004 vi è l'espressa prescrizione di evitare turni stressanti, stress psico-sociali e attività gravose e vi è la specifica indicazione di assegnare comunque al lavoratore compiti sedentari h quanto al c.d. repechage, bene ha fatto il Tribunale a considerare assolto il relativo obbligo datoriale, visto che, da un lato, la prova testimoniale ha dimostrato l'inesistenza di posti scoperti in organico comportanti lo svolgimento di compiti equivalenti o inferiori a quelli propri della qualifica di appartenenza dell'E. , compatibili con l'adibizione a mansioni sedentarie, non stressanti e senza turni di lavoro notturni, come prescritto dalla ASL e dall'altro lato, dal libro matricola è emerso che le nuove assunzioni richiamate dall'E. compresa quella di C P. - riguardano settori e mansioni non compatibili con lo stato di inidoneità fisica del ricorrente e con il profilo professionale da questi posseduto in quanto sia il P. , sia il D.M. e il C. sono stati assunti come impiegati addetti all'ufficio contabilità e bilancio . 2 - Il ricorso di C E. domanda la cassazione della sentenza per due motivi resiste, con controricorso, IHG. Motivi della decisione 1 - Sintesi dei motivi di ricorso. 1.— Con il primo motivo di ricorso si denunciano violazione e falsa applicazione degli articolo 1463, 1464 e 2110 cod. civ., nonché dell'articolo 15 del c.c.numero l. per il personale non medico dell'area privata, in relazione all'articolo 2110 cod. civ Si contesta la affermazione della Corte d'appello secondo cui l'asserita impossibilità temporanea dell'E. allo svolgimento delle specifiche mansioni assegnategli è stata qualificata come inidoneità permanente . Si sostiene che a tale erronea conclusione il Giudice del merito è pervenuto a causa della omessa ammissione della richiesta c.t.u. nonché della insufficiente e distorta valutazione delle risultanze processuali e, in particolare, delle testimonianze rese in primo grado e del libro matricola della società. Si sottolinea che il lavoratore, sin dall'atto introduttivo del giudizio, ha chiesto che venisse stabilito se l'accertata inidoneità a svolgere le proprie mansioni avesse carattere permanente ovvero temporaneo , in quanto nel secondo caso non avrebbe potuto trovare applicazione l'articolo 15 del menzionato c.c.numero l., per mancanza di una idonea causale di risoluzione del rapporto. Al suindicato fine il lavoratore ha chiesto reiteratamente l'ammissione di una c.t.u., tanto più che le risultanze delle prove testimoniali in particolare dei medici con i quali l'E. aveva lavorato non erano coerenti con quanto emergeva dalle prove documentali, a loro volta di contenuto contrastante, come dimostrato dal confronto tra il referto medico dell'azienda che aveva affermato l'inidoneità del lavoratore e il referto della ASL di Tivoli che, invece, aveva accertato l'idoneità, seppure con prescrizioni aggiuntive e con l'esclusione di turni stressanti e notturni. La Corte d'appello, pur dando atto della omessa pronuncia del Tribunale sulla suddetta richiesta, ha contraddittoriamente desunto il rigetto implicito della stessa dalle complessive motivazioni della sentenza di primo grado. In questo modo la Corte territoriale ha omesso di effettuare la verifica considerata essenziale dalla giurisprudenza di legittimità - della effettiva sussistenza della sopravvenuta incapacità parziale allo svolgimento della prestazione lavorativa qualificabile come inidoneità permanente . Ciò si è tradotto in un errore dell’iter logico della motivazione, dato il carattere essenziale della suddetta verifica ai fini dell'esatta qualificazione della fattispecie sub judice. 2.- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione ed errata applicazione dell'articolo 15 del c.c.numero l. per il personale non medico dell'area privata e degli articolo 1463 e 1464 cod. civ., nell'ipotesi di cui all'articolo 360, n, 5, cod. proc. civ., in riferimento alla scorretta valutazione del libro matricola della società resistente. Si sottolinea, in particolare, come la Corte d'appello abbia ritenuto provato l'assolvimento del c.d. obbligo di repechage da parte della società datrice di lavoro in base all'esame del libro matricola di IHG, ma senza effettuare un'indagine comparativa tra le mansioni che l'E. , nonostante la ridotta capacità lavorativa, avrebbe potuto svolgere e quelle concretamente svolte dal nuovo personale assunto nell'imminenza e successivamente al licenziamento del ricorrente, con particolare riguardo a C P. - formalmente inquadrato nel libro matricola come contabile qualifica presupponente delle competenze non in possesso dell'E. in realtà adibito al servizio reception e, quindi, allo svolgimento di compiti di portiere , come tali del tutto compatibili con lo stato di salute dell'E. . 2 - Esame delle censure. 3.- I motivi - da trattare congiuntamente, data la loro intima connessione non sono da accogliere, per le ragioni di seguito precisate. In linea generale, va detto che tutte le doglianze si risolvono in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni del materiale probatorio e dei convincimenti del Giudice del merito, e perciò in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. 3.1.-Nel primo motivo la suddetta inammissibile richiesta è oltretutto formulata attraverso la prospettazione di vizi di violazione di legge e di norme della contrattazione collettiva, pur consistendo sostanzialmente nella contestazione della valutazione delle risultanze processuali operata dalla Corte d'appello, sull'assunto che una insufficiente e distorta disamina della prove testimoniali rese in primo grado e del libro matricola della società avrebbe indotto la Corte stessa a non ammettere la richiesta di c.t.u. dell'E. . Tale tipo di censura si pone, di per sé, in contrasto con il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa Cass. SU 5 maggio 2006, numero 10313 Cass. 22 febbraio 2007, numero 4178 Cass. 26 marzo 2010, numero 7394 Cass. 16 luglio 2010, numero 16698 Cass. 21 settembre 201 l,numero 19234 . 3.2.- Peraltro, anche nel secondo motivo - ove il richiamo alla violazione di norme di legge e della contrattazione collettiva, contenuto nella relativa intestazione, appare del tutto formale, dato il tenore della esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che è l'elemento che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura Cass. 30 marzo 2007, numero 7981 Cass. 18 ottobre 2011, numero 21484 - tutte le lagnanze, benché prospettate come vizi di motivazione, risultano in realtà dirette a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, si risolvono nel proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti. Sicché, anche in questo caso si tratta di doglianze non accoglibili, atteso che i suddetti aspetti del giudizio, interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell'articolo 360, numero 5, cod. proc. civ. vedi, per tutte Cass. 26 marzo 2010, numero 7394 Cass. 6 marzo 2008, numero 6064 . 3.3.- Nella specie, peraltro, le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello - effettuate in conformità con i principi affermati da questa Corte in materia - sono congruamente motivate e l'iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione. Va, in particolare, ricordato che, in linea generale, secondo un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, in tema di prova spetta in via esclusiva al Giudice del merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni vedi per tutte Cass. 15 luglio 2009, numero 16499 e Cass. 21 settembre 2011, numero 19234 cit. . La suddetta regola non subisce eccezioni nel rito del lavoro e vale, mutatis mutandis, anche con riguardo alla nomina del consulente tecnico d'ufficio. Infatti, come sottolineato anche dalla Corte costituzionale, nell'ordinanza numero 124 del 1995, dichiarativa della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 201 cod. proc. civ., per la parte in cui autorizza la nomina dei consulenti tecnici di parte solo nel caso di nomina del consulente tecnico d'ufficio a le consulenze tecniche sia d'ufficio sia di parte non costituiscono mezzi di prova perché non sono preordinate ad accertare fatti rilevanti ai fini della decisione, bensì ad acquisire elementi di valutazione ovvero a ricostruire circostanze attraverso una specifica preparazione, a scopo di controllo sugli elementi di prova acquisiti al processo e nel caso della c.t.u. in funzione ausiliaria del giudice b esse tuttavia ineriscono all'istruzione probatoria c comunque, la norma dell'articolo 201 cod. proc. civ. lascia sempre salva la possibilità per la parte di produrre in causa perizie stragiudiziali, integranti anch'esse semplici mezzi di difesa come le deduzioni e argomentazioni dell'avvocato, soggette al libero apprezzamento del giudice. Alle suesposte considerazioni va aggiunto che, in base ad una altrettanto consolidata giurisprudenza di questa Corte 1 quando la nomina di un consulente tecnico non sia imposta dalla legge in considerazione della particolare natura della controversia, il giudice ha solo una facoltà di fare ricorso, anche di ufficio, al parere di un suo perito per le valutazioni che richiedono specifiche conoscenze tecniche vedi per tutte Cass. 14 febbraio 2006, numero 3187 2 in materia di procedimento civile, la consulenza tecnica d'ufficio non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all'acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze. La nomina del consulente rientra quindi nel potere discrezionale del giudice, che può provvedervi anche senza alcuna richiesta delle parti, sicché ove la parte ne faccia richiesta non si tratta di un'istanza istruttoria in senso tecnico ma di una mera sollecitazione rivolta al giudice affinché questi, avvalendosi dei suoi poteri discrezionali, provveda al riguardo tra le molte Cass. 21 aprile 2010, numero 9461 . Né va omesso di considerare che, in linea generale, il rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo derivante dall'articolo 111, secondo comma, Cost. e dagli articolo 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali impone al giudice di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso e si traducano in un inutile dispendio di energie processuali e in formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti Cass. SU 3 novembre 2008, numero 26373 Cass. 8 febbraio 2010, numero 2723 Cass. 23 febbraio 2010, numero 4342 Cass. 18 febbraio 2010, numero 3830 Cass. 18 dicembre 2009, numero 26773 Cass. 6 agosto 2010, numero 18375 . 3.4.- La Corte romana, con riferimento alla valutazione dello stato di salute dell'Errani, ha confermato la statuizione di rigetto dell'istanza della c.t.u. implicita nella sentenza di primo grado sul rilievo della inutilità della effettuazione dell'esame, desunta dal materiale probatorio già acquisito. Tale statuizione risulta supportata da idonea motivazione in quanto la Corte territoriale ha considerato che, dalle risultanze probatorie in atti, emergeva con chiarezza che a le condizioni di salute del lavoratore che aveva la qualifica di infermiere erano tali per cui egli avrebbe potuto svolgere solo mansioni aventi determinate caratteristiche cioè di tipo sedentario, non stressanti e che non comportassero turni di notte b la società datrice di lavoro aveva dimostrato l'impossibilità di reimpiegare l'E. in mansioni equivalenti a quelle di appartenenza o anche inferiori, ma compatibili con il suo stato di salute, nell'ambito dell'organizzazione aziendale dedicata al ricovero e cura di malati psichiatrici . In questa situazione la richiesta c.t.u. sarebbe stata una formalità superflua , visto che a prescindere da questioni terminologiche, nella realtà la consulenza sarebbe stata finalizzata ad accertare dati che già emergevano con evidenza dalle risultanze istruttorie, in quanto non era in discussione l'esistenza di una generica residua capacità lavorativa dell'E. elemento che, in ipotesi, la c.t.u. avrebbe potuto confermare , visto che anche l'azienda non la contestava. Però era altrettanto provato che tale residua capacità lavorativa non avrebbe potuto essere più esplicata nell'ambito dell'azienda, avendo il datore di lavoro assolto adeguatamente l'obbligo del repechage posto a suo carico dimostrando, con la prova testimoniale e l'esibizione del libro matricola, che non esistevano posti scoperti in organico comportanti lo svolgimento di compiti equivalenti o inferiori a quelli propri della qualifica di appartenenza dell'E. compatibili con le prescrizioni della ASL e che le nuove assunzioni richiamate dall'E. - compresa quella di C P. - riguardavano settori e mansioni non compatibili con lo stato di inidoneità fisica del ricorrente e con il profilo professionale posseduto in quanto sia il P. , sia il D.M. e il C. sono stati assunti come impiegati addetti all'ufficio contabilità e bilancio . 3.5.- Le suddette statuizioni risultano conformi ai consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte secondo cui a nel caso in cui per la sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa, venga intimato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per stabilire se la suddetta motivazione del recesso sia autentica, è necessario effettuare un accertamento congruo delle condizioni di salute del lavoratore, in quanto il licenziamento si può giustificare soltanto come soluzione estrema arg. ex Cass. 20 maggio 2009, numero 11720 Cass. 27 marzo 2010, numero 7381 b la sopravvenuta inidoneità fisica e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa, quale giustificato motivo di recesso, non possono essere ravvisate nella sola ineseguibilità dell'attività attualmente svolta dal prestatore e restano escluse dalla possibilità di svolgere un'altra attività riconducibile alle mansioni assegnate o ad altre equivalenti ovvero, qualora ciò non sia possibile, a mansioni inferiori, sempre che questa attività sia utilizzabile all'interno dell'impresa, senza alterazioni dell'organigramma aziendale Cass. 18 aprile 2011, numero 8832 Cass. 6 novembre 2002, numero 15593 Cass. 13 ottobre 2009, numero 21710 c è a carico del datore di lavoro l'onere di provare, con riferimento alla organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento e anche attraverso fatti positivi, tali da determinare presunzioni semplici come il fatto che dopo il licenziamento e per un congruo periodo non vi siano state nuove assunzioni nella stessa qualifica del lavoratore licenziato , l'impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva Cass. 20 maggio 2009, numero 11720 Cass. 27 marzo 2010, numero 7381 d il datore di lavoro ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell'accertamento di un possibile repechage, mediante l'allegazione dell'esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l'onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti Cass. 8 febbraio 2011, numero 3040 e inoltre, può concorrere a provare la mancata effettuazione di altre assunzioni nel periodo seguente il licenziamento per le medesime mansioni già assegnate al lavoratore licenziato anche l'esibizione da parte del datore di lavoro del libro matricola, se completo e tenuto in conformità con la legge arg. ex Cass. 8 marzo 2011, numero 5512 Cass. 26 gennaio 1984, numero 624 . 3.6.- A tale ultimo riguardo, deve essere precisato che i libri contabili che il datore di lavoro privato è obbligato a tenere cioè il libro paga e il libro matricola previsti dagli articolo 20 e 21 del d.P.R. 30 giugno 1965, n, 1124, sostituiti, con decorrenza 10 febbraio 2012, dal libro unico del lavoro, di cui all'articolo 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, numero 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, numero 133 sono formati dallo stesso datore di lavoro. Ciò implica che i dati in essi contenuti hanno una diversa efficacia probatoria a seconda del contesto in cui si utilizzano, cioè in particolare se a favore o contro il datore di lavoro. Se la loro utilizzazione avviene in favore del datore di lavoro, non solo la tenuta dei libri deve risultare regolare e completa, ma le registrazioni in essi contenute di cui, ad esempio, si voglia giovare il datore di lavoro per dimostrare il numero complessivo e la qualifica dei dipendenti occupati possono essere validamente contestate dalla controparte, con eventuali contrari mezzi di difesa o semplicemente con specifiche deduzioni e argomentazioni dell'avvocato, che ne dimostrino l'inesattezza e la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice arg. ex Cass. 18 luglio 1985, numero 4243 Cass. 29 maggio 1998, numero 5361 Cass. 1 ottobre 2003, numero 14658 . Nel libro matricola, in particolare, devono essere “iscritti, nell'ordine cronologico della loro assunzione in servizio e prima dell'ammissione al lavoro, tutti i prestatori d'opera” vedi articolo 20 del d.P.R. numero 1124 del 1965 cit. . Nella specie, il ricorrente non riferisce di aver contestato in modo efficace le risultanze del libro matricola esibito dalla società IHG, ma sostiene apoditticamente e senza supportare adeguatamente il suo assunto in questa sede, con il rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione - che le mansioni in concreto svolte da uno dei neoassunti il P. sarebbero state diverse da quelle indicate nel libro matricola stesso. Ne consegue che, per questo profilo, la censura è inammissibile. 4 – Conclusioni. 4.- In sintesi, per le suesposte ragioni, il ricorso deve essere rigettato. La natura delle questioni trattate e la qualità delle parti giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.