Il venditore sostiene che nella propria quietanza sull’acconto da 73mln di lire versato dall’acquirente fossero ricomprese 18 cambiali da 1mln di lire ciascuna è stato infine accertato che l’acconto fosse stato interamente versato e che le cambiali si riferissero agli ulteriori 37mln dovuti per la conclusione del contratto definitivo, che non è avvenuta a causa della pretesa di saldo sproporzionato del venditore.
Con la sentenza numero 7964, depositata il 29 marzo 2013, la Corte di Cassazione ha messo la parola «fine» ad una vicenda cominciata 25 anni fa. La promessa di vendita, con quietanza, nel 1988. Il 28 novembre 1988 il proprietario di un immobile lo promette in vendita ad una coppia, riconoscendo con quietanza il versamento di un acconto. Quattro anni dopo, il 3 dicembre 1992, li cita in giudizio per morosità rispetto al pagamento del saldo del prezzo, chiedendo la risoluzione del contratto, i danni e la restituzione dell’immobile. La donna si dichiara estranea al giudizio, l’uomo chiede di poter pagare il saldo per conseguire il trasferimento. Il Tribunale, dopo aver disposto sequestro conservativo, nel 2001 riconosce che le cambiali rilasciate dal compratore sono di epoca successiva alla quietanza, che quindi non può ricomprendere tali titoli. Quindi l’acconto di 73mln di lire è da considerarsi interamente versato, il contratto non è stato concluso perché il venditore ha chiesto troppo rispetto al dovuto come saldo per la vendita. La quietanza non può riferirsi a cambiali successive. La sentenza viene confermata in secondo grado, in cui una testimonianza addotta dal venditore, che voleva dimostrare che le cambiali fossero contemporanee alla quietanza, si rivolge contro il venditore stesso, poiché dalla dichiarazione che «le cambiali da me predisposte sono state senz’altro redatte il giorno corrispondente alla data di emissione riportata nelle medesime», emerge che una quietanza rilasciata sette mesi prima non possa attestare un fatto accaduto dopo. Pertanto la somma dovuta a saldo è di 37mln di lire, ma a questa il venditore vi ha erroneamente aggiunto 18mln di lire, imputando tale cifra a 18 cambiali da 1mln di lire ciascuna, mentre tali titoli si riferivano alla somma ancora da versare, non andando computati tra i 73mln già versati in acconto. Ricorso senza censure specifiche. Con ricorso in Cassazione il venditore propone «una mera manifestazione di dissenso rispetto alle logiche conclusioni ed al sostanziale accertamento in fatto» spettante al giudice di merito, censurabili in sede di legittimità «soltanto per violazione di precisi canoni legali, oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi». Il ricorrente non indica in alcun modo le norme che sarebbero state violate né quali siano le argomentazioni illogiche del giudice di merito. Pertanto il ricorso deve essere rigettato, poiché la critica al convincimento del giudice non può essere operata «mediante la mera e apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla sentenza impugnata».
Corte di Cassazione, sez . II Civile, sentenza 27 febbraio – 29 marzo 2013, numero 7964 Presidente Piccialli – Relatore Correnti Svolgimento del processo Con citazione del 3.12.1992 M.F. , denunziando la morosità dei coniugi P.S. e M.M. nel pagamento del saldo del prezzo dell'appartamento al 4 piano dell'edificio in omissis da lui promesso in vendita con scrittura 28.11.1988, li conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Trani per la risoluzione, la restituzione dell'immobile ed i danni. La M. eccepiva l'estraneità mentre il P. svolgeva riconvenzionale per conseguire il trasferimento previo pagamento del saldo, da accertare in corso di causa. L'attore otteneva sequestro conservativo e con sentenza 15.5.2001 la sezione stralcio dichiarava il difetto di legittimazione passiva della M. , dava atto del rilascio di effetti cambiari in epoca successiva alla quietanza 28.11.1988, disattendeva l'assunto dell'attore che la quietanza ricomprendesse anche l'importo dei titoli e riteneva provata l'esistenza dell'acconto di lire 73.000.000 come prospettato dal convenuto, addebitando al M. la mancata conclusione del definitivo anche per la pretesa di saldo sproporzionato rispetto al dovuto. Questa decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Bari, con sentenza 146/06, che evidenziava come la testimonianza addotta dall'appellante per suffragare la sua tesi in ordine alla quietanza ed alle cambiali, conducesse, invece, a smentirne l'assunto, posto che la teste aveva dichiarato che le cambiali da me predisposte sono state senz' altro redatte il giorno corrispondente alla data di emissione riportata nelle medesime e non poteva una quietanza rilasciata sette mesi prima attestare un fatto accaduto dopo. Ricorre M.F. con due motivi, resistono le controparti. Motivi della decisione Col primo motivo si denunzia violazione dell'articolo 1218 cc perché la parte acquirente ha offerto 27 milioni a saldo del corrispettivo, l'odierno ricorrente ha preteso una somma maggiore ed il giudice ha ritenuto dovuta contrattualmente la somma di lire 37.000.000 e non si intuisce perché il GOA non abbia condannato il convenuto alle spese. In appello il convenuto non ha reiterato l'offerta per cui è inadempiente. Col secondo motivo si denunzia apparente e/o contraddittoria motivazione sotto il profilo della mancata compensazione anche parziale delle spese. La prima censura, che sembrerebbe diretta più alla sentenza di primo grado che non a quella di appello, non intacca la ratio decidendi, che sul presupposto di un motivo di appello sul malgoverno delle risultanze processuali da parte del Tribunale, con la conclusione che la quietanza 28.11.1988 relativa al versamento di lire 55.000.000 non comprendesse anche le diciotto cambiali da lire 1.000.000, ha concluso per la inverosimiglianza dell'assunto dell'appellante, addebitandogli la pretesa di un saldo maggiore e ravvisando la costante disponibilità dell'appellato a concludere il definitivo col saldo in contanti. Il motivo si traduce in una mera manifestazione di dissenso rispetto alle logiche conclusioni ed al sostanziale accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione di precisi canoni legali, oltre che per vizi di motivazione nell'applicazione di essi pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di conseguenza, ai fini dell'ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea - anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente - la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d'una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d'argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità e pluribus, Cass. 9.8.04 numero 15381, 23.7.04 numero 13839, 21.7.04 numero 13579, 16.3.04 numero 5359, 19.1.04 numero 753 . Il secondo motivo è infondato, attesa la soccombenza. In definitiva il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna alle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese liquidate in Euro 2700, di cui 2500 per compensi, oltre accessori.