compete al giudice del merito la valutazione dell'eventuale conformità dell'amministrazione di sostegno alle esigenze del destinatario
In materia di misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, prima di pronunciare l'interdizione - istituto di carattere residuale - occorre preliminarmente valutare la conformità dell'amministrazione di sostegno alle esigenze del destinatario, alla stregua della peculiare flessibilità del nuovo istituto, della maggiore agilità della relativa procedura applicativa, nonché della complessiva condizione psico-fisica del soggetto e di tutte le circostanze che caratterizzano il caso di specie. Persona affetta da grave sindrome di Down amministrazione di sostegno o interdizione? Con la sentenza numero 22332/2011 depositata il 26 ottobre, i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno avuto modo di pronunciarsi sul caso di un uomo affetto da una grave sindrome di down, che presentava una persistente difficoltà di svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua età e la conseguente necessità di essere assistito nel compimento di taluni atti e sostituito in quelli di straordinaria amministrazione. Pervenuta istanza, da parte del fratello convivente, al giudice tutelare di Biella - affinché fosse aperta l'amministrazione di sostegno dell'uomo - questi respingeva la domanda, ritenendo che occorreva trasmettere gli atti al pubblico ministero per valutare se piuttosto, nella fattispecie, ricorressero i presupposti per poter aprire una procedura di interdizione. Avverso la pronuncia della Corte di Appello di Torino - che aveva confermato il provvedimento di rigetto del giudice tutelare - veniva proposto ricorso per Cassazione da parte del fratello convivente dell'infermo. Il nuovo strumento dell'amministrazione di sostegno. Il legislatore italiano con la legge 9 gennaio 2004, numero 6 ha provveduto ad introdurre nel codice civile un nuovo istituto, denominato amministrazione di sostegno , volto alla tutela di una persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, senza però che ne siano annullati i diritti e la dignità, come avviene nel diverso istituto dell'interdizione e, in misura minore, nell'inabilitazione. La finalità delle nuove norme codicistiche è, dunque, quella di tutelare con la minore limitazione possibile della capacità d'agire le persone prive in tutto o in parte di autonomia, mentre la diversa misura dell'interdizione risulta più idonea quando il caso concreto sia tale che gli interessi dell'incapace non possano essere adeguatamente tutelati con lo strumento di cui si tratta. Dovere del giudice di graduare le misure di protezione. I giudici della Suprema Corte - nell'accogliere i motivi di doglianza avanzati dal ricorrente, e nel rinviare alla Corte d'Appello torinese in diversa composizione - si richiamano alla giurisprudenza costituzionale Corte cost. numero 404/2005 che evidenzia il dovere del giudicante di graduare le misure di protezione, preferendo l'istituto che limita il meno possibile la capacità del soggetto. Soltanto nell'ipotesi in cui non si ravvisino interventi di sostegno adeguati a rispondere alle esigenze di protezione il giudice potrà ricorrere alle più invasive misure dell'inabilitazione ovvero dell'interdizione, alla quale si ricorre come extrema ratio. Ne consegue che compete al giudice del merito, prima di addivenire ad una pronuncia di interdizione, la valutazione dell'eventuale conformità dell'amministrazione di sostegno alle esigenze del destinatario, alla stregua della peculiare flessibilità del nuovo istituto, della maggiore agilità della relativa procedura applicativa, nonché della complessiva condizione psico-fisica del soggetto e di tutte le circostanze caratterizzanti il caso di specie.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 luglio - 26 ottobre 2011, numero 22332 Presidente Vitrone - Relatore Salmè Svolgimento del processo Con ricorso del 15 luglio 2008 G A. ha chiesto al giudice tutelare di Biella l'apertura dell'amministrazione di sostegno del fratello con lui convivente P A., nato il omissis , affetto da sindrome di Down con persistente difficoltà di svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua età e conseguente necessità di essere assistito nel compimento di taluni atti e di essere sostituito in quelli di straordinaria amministrazione. Con decreto del 25 novembre 2008 il giudice tutelare ha respinto la domanda disponendo la trasmissione degli atti al p.m. per la valutazione della possibilità di promuovere procedura di interdizione. La corte d'appello di Torino con decreto dell'8 settembre 2009 ha confermato il provvedimento affermando di condividere solo in parte l'orientamento di questa Corte in merito all'individuazione del diverso ambito di applicazione degli istituti dell'interdizione e inabilitazione rispetto a quello dell'amministrazione di sostegno. Premesso che, secondo la sentenza della corte costituzionale numero 440 del 2005 in nessun caso i poteri dell'amministratore possono coincidere integralmente con quelli del tutore o del curatore , la corte territoriale ritiene che dalla disciplina legale emerge un parallelismo tra incisività crescente del tipo di tutela e il bisogno di tutela che il legislatore vi riconnette in ragione della gravità della compromissione della capacità di provvedere ai propri interessi. Ciò risulterebbe dalla diversità della formulazione usata degli articoli 414 e 415 c.c. per individuare il presupposto dell'interdizione e inabilitazione abituale infermità di mente che rende incapaci di provvedere ai propri interessi rispetto a quella dell'articolo 404 infermità ovvero menomazione fisica o psichica che provochi l' impossibilità, anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi . Inoltre, mentre l'interdizione e l'inabilitazione comportano una pronuncia che incide sullo status all'esito di un procedimenti davanti al tribunale, l'amministrazione di sostegno non richiede una previa pronuncia che sancisca l'incapacità, ma può essere disposta direttamente al giudice tutelare. Non può condividersi neppure una scelta interpretativa che fa dipendere la scelta dell'istituto da applicare non dalla condizione personale del soggetto, ma da fattori contingenti e variabili non valutabili oggettivamente. Somministrare una tutela attenuata quando le condizioni della persona richiederebbero una tutela piena significherebbe non dare una protezione adeguata, e quindi, quando è necessaria una tutela totalizzante, anche riguardo ai profili personali, si esulerebbe dall'ipotesi dell'amministrazione di sostegno. Quando la persona è molto compromessa la nomina di un amministratore di sostegno esporrebbe al rischio del compimento di atti che, esulando dall'ambito del provvedimento del giudice tutelare, sarebbero solo annullabili per incapacità naturale e, comunque, priverebbe l'assistito della garanzia delle autorizzazioni richieste invece per il compimento degli atti da parte del tutore. In realtà l'intera disciplina dell'amministrazione di sostegno muoverebbe dal presupposto della conservazione di una capacità legale, come risulta sia dalla dizione letterale dell'istituto che dalla disciplina di cui agli articoli 409 che prevede la conservazione della capacità d'agire per gli atti non compresi nel decreto ex articolo 405 c.c. e, in ogni caso, per il compimento degli atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana e 410 che impone all'amministratore l'obbligo di tenere conto delle aspirazioni dell'amministrato e di informare lo stesso sugli atti da compiere . Nella specie P A., in quanto affetto da sindrome di Down grave, che gli rende difficile anche esprimersi dall'audizione effettuata in fase di reclamo risulta che non è in grado di riferire le proprie generalità e di comprendere il significato della domanda circa il luogo ove abita , richiederebbe una sostituzione sia nel compimento degli atti di straordinaria amministrazione che di quelli di ordinaria amministrazione, con attribuzione all'amministratore degli stessi poteri, peraltro collegati anche a doveri, che la legge attribuisce al tutore e pertanto la misura di protezione adeguata sarebbe quella dell'interdizione. Ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi G A Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, deducendo la falsa applicazione dell'articolo 404 c.c. il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere male interpretato la sentenza della corte costituzionale numero 440 del 2005, attribuendo a tale pronuncia la tesi secondo la quale l'impossibilità totale di provvedere ai propri interessi precluderebbe il ricorso all'amministrazione di sostegno, mentre la Corte costituzionale si è limitata ad affermare l'impossibilità di attribuire all'amministratore di sostegno gli stessi poteri del tutore dell'interdetto. Inoltre, secondo l'orientamento di questa Corte, ai fini della scelta tra le varie misure di protezione sarebbe rilevante non la diversa gravità dell'infermità o dell'impossibilità di curare i propri interessi, ma il diverso tipo di attività che deve essere compiuta in sostituzione del beneficiato. D'altra parte, se la situazione del beneficiato è mutevole e contingente è più idonea una misura più flessibile come l'amministrazione di sostegno. Con il secondo motivo si deduce la falsa applicazione dell'articolo 410 c.c. censurando la decisione della corte territoriale per avere attribuito rilievo decisivo al fatto che, in presenza di una totale e abituale compromissione delle facoltà mentali non sia possa procedere alla concertazione sul compimento dei singoli atti prevista dalla norma indicata. Con ciò la corte territoriale non solo non avrebbe tenuto conto della possibilità effettiva che nel caso di specie il beneficiato, se non in grado di esprimere una compiuta volontà, sarebbe comunque in grado di manifestare fervori volitivi, ma avrebbe anche omesso di considerare che la cosiddetta concertazione non è un effetto necessario dell'apertura dell'amministrazione di sostegno, ma si riferisce alle sole ipotesi in cui un dialogo sia concretamente possibile per le condizioni psicofisiche del beneficiario. Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo la falsa applicazione dell'articolo 411 c.c. lamenta che la corte d'appello abbia affermato che la nomina di un amministratore di sostegno farebbe mancare le maggiori garanzie costituite dalle autorizzazioni del tribunale per il compimento di determinati atti dell'amministratore, trascurando di considerare che anche in caso di nomina di un amministratore di sostegno sono previste autorizzazioni del giudice tutelare per il compimento di singoli atti. 2. I motivi, investendo diversi profili argomentativi della pronuncia di rigetto dell'istanza di apertura dell'amministrazione di sostegno, sono strettamente connessi e possono essere congiuntamente esaminati e debbono essere accolti perché fondati. La questione dell'individuazione dei presupposti delle diverse misure di protezione delle persone in tutto o in parte prive di autonomia, disciplinate nel titolo 12^ del libro primo del codice civile, come modificato con la legge 9 gennaio 2004 numero 6, ha formato oggetto di un intenso dibattito dottrinale e di numerosi interventi giurisprudenziali, di merito e di legittimità. Chiamata a valutare i sospetti di legittimità costituzionale della nuova disciplina in quanto la stessa non indicherebbe chiari criteri selettivi per distinguere l'amministrazione di sostegno dall'interdizione e dall'inabilitazione, lasciando al giudice la scelta dello strumento di tutela applicabile, la Corte costituzionale, con la sentenza 9 dicembre 2005 numero 440, li ha dichiarati non fondati per erroneità del presupposto interpretativo dal quale muoveva il giudice remittente, affermando che dall'esame della disciplina, che affida al giudice il compito di individuare l'istituto che, da un lato, garantisca all'incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall'altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità, discende che il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell'inabilitazione o dell'interdizione solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all'incapace siffatta protezione , fermo che in nessun caso i poteri dell'amministratore possono coincidere integralmente con quelli del tutore o del curatore . La portata della decisione è quindi duplice. Da un lato è affermata la diversità dei presupposti e degli effetti delle diverse misure di protezione, in particolare la diversità dei poteri del tutore dell'interdetto e del curatore dell'inabilitato, che derivano automaticamente dalla sentenza di interdizione e inabilitazione, rispetto a quelli dell'amministratore di sostegno che, trovano la propria fonte nel provvedimento del giudice, anche se può rilevarsi che tale diversità è da apprezzare non tralasciando la rilevanza degli articolo 411, 4 comma e 427, 1 comma c.c. che consentono l'ampliamento dei poteri dell'amministratore di sostegno mediante specifico richiamo a quelli del tutore e del curatore e la limitazione dei poteri sostitutivi e di assistenza del tutore e del curatore, con l'esclusione di alcuni atti di ordinaria o straordinaria amministrazione. Dall'altro lato, tuttavia, è stata ribadita la legittimità costituzionale della soluzione legislativa che ha affidato al giudice la scelta della misura di protezione, sulla base del criterio della maggiore adeguatezza della tutela rispetto alle concrete esigenze del caso concreto e di quello del carattere residuale dell'interdizione e inabilitazione rispetto all'amministrazione di sostegno, in attuazione del principio fondamentale che regola la materia enunciato con l'articolo 1 della legge numero 6 del 2004 secondo cui la finalità dell'intervento legislativo è quella di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia, nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente . 3. I successivi interventi di questa Corte Cass. numero 13584/2006, che ha trovato conferma nelle successive sentenze nnumero 25366/2006 -paragrafo 2.5 -, 9628 e 17421del 2009 e 4866/2010 , contrariamente a quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, si pongono in linea di continuità con la giurisprudenza costituzionale, sia nella parte in cui ribadiscono la persistente diversità di presupposti delle diverse misure, in particolare dell'interdizione rispetto all'amministrazione di sostegno, fermo il carattere residuale della prima, anche in considerazione del superamento del suo carattere obbligatorio derivante dalla modifica dell'articolo 414 c.c. che ha sostituito il devono con il possono , sia per la parte in cui riconoscono al giudice il potere di scelta tra le misura stesse. Il maggiore contributo alla corretta interpretazione della disciplina va tuttavia ravvisato nella forte valorizzazione e specificazione del riferimento, contenuto nell'articolo 414 c.c. che fa riferimento alle esigenze di adeguata protezione e sottolineato già nella sentenza della Corte costituzionale numero 440 del 2005, al criterio fondamentale che deve guidare la scelta del giudice il quale va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. in tali termini è, riassuntivamente, il principio di diritto enunciato nella sentenza numero 13584/2006 . Nell'applicazione di tale criterio deve tenersi conto in via prioritaria essenzialmente secondo la dizione utilizzata dalla sentenza citata del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, nel senso che ad un'attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto - vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione , e per l'attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i risultati dell'attività di sostegno nei suoi confronti . corrisponderà l'amministrazione di sostegno mentre si potrà ricorrere all'interdizione quando si tratta di gestire un' attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere contatti con l'esterno . Come ulteriore criterio che può aggiungersi ma non sostituire il criterio principale il giudice può considerare anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie . In senso contrario alla scelta interpretativa operata non vale invocare la diversità dei presupposti delle misure di protezione risultanti dalla lettera degli articoli 404, 414 e 415 c.c., le ultime due disposizioni individuando i possibili destinatari delle misure dell'interdizione e inabilitazione nelle persone affette da abituale infermità di mente e la prima prevedendo che si possa ricorrere all'amministrazione di sostegno non solo a protezione delle persone affette da infermità psichica ma anche quelle affette da infermità o menomazione psichica, in entrambi casi anche se l'impossibilità di provvedere ai propri interessi che ne deriva è solo parziale e temporanea. Infatti, sempre sul piano letterale, l'articolo 404 c.c. non esclude affatto che possa ricorrersi all'amministrazione di sostegno quando l'impossibilità di provvedere ai propri interessi sia totale e permanente, mentre la possibilità di escludere i poteri di sostituzione o assistenza del tutore rispetto a taluni atti di ordinaria amministrazione articolo 427, 1 comma c.c. dimostra che è ammissibile il ricorso all'interdizione anche in caso di incapacità non assoluta. Il che contraddice radicalmente l'affermazione del necessario parallelismo tra incisività o meglio, invasività della misura di protezione e gravità della situazione di mancanza di autonomia. Neppure porta argomenti a favore della tesi secondo la quale la scelta tra le diverse misure dovrebbe essere operata sulla base della gravità della situazione di incapacità il rilievo che l'amministrazione di sostegno richiede una continua interazione tra amministratore e beneficiario articolo 410 c.c. che presuppone una qualche sia pur residuale capacità dello stesso, perché, come già osservato nella citata sentenza numero 13584/2006, la norma non prevede che tale interazione sia necessaria in ogni caso, ma solo che debba essere ricercata quando la situazione concreta lo consente. Del tutto tautologico è poi il richiamo alla natura tendenzialmente stabile dell'interdizione e dell'inabilitazione, che costituiscono status della persona derivanti da un accertamento giudiziale dell'incapacità, rispetto al carattere contingente e variabile delle misure stabilite da giudice tutelare a tutela del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, restando aperto il problema dell'individuazione dei criteri di scelta tra le une e l'altra misura, problema da risolvere alla stregua del costante orientamento giurisprudenziale richiamato. Infine non ha pregio l'argomento a favore della preferibilità dell'interdizione per la migliore tutela che tali, misure assicurerebbero per la necessità che il compimento di taluni atti da parte del tutore debbano essere autorizzati dal tribunale perché l'articolo 411, nel richiamare alcune norme che disciplinano la tutela, espressamente richiama anche gli articoli 374 e 375 c.c. che prevedono le autorizzazioni per il compimento di atti da parte dell'amministratore di sostegno, essendo irrilevante che tali autorizzazioni siano attribuite alla competenza del giudice tutelare invece che a quella del tribunale . D'altra parte, come già rilevato, la postulata preferibilità si porrebbe in contrasto con il carattere residuale dell'interdizione affermato con chiarezza dalla legge. L'accoglimento del ricorso comporta la cassazione del provvedimento impugnato con rinvio alla corte d'appello di Torino in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio, la quale si atterrà al seguente principio di diritto L'amministrazione di sostegno, introdotta nell'ordinamento dalla L. 9 gennaio 2004, numero 6, articolo 3 - ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali la interdizione e la inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli articolo 414 e 417 del codice civile. Rispetto ai predetti istituti, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilita di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene all'apprezzamento del Giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie . P.Q.M. La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte d'appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.