Negoziante in fuga per ottenere aiuto, rapinatore e complice scappano a mani vuote: nessuna desistenza volontaria

Confermata la condanna a un anno di reclusione inflitta all’uomo che ha svolto il ruolo di autista. Respinta la tesi difensiva che puntava a ottenere una riduzione della pena l’azione criminosa, difatti, non è stata portata a compimento, ma solo per il coraggio del commerciante preso di mira dal rapinatore.

Motore acceso, piede vicino all’acceleratore, mani sul volante tutto pronto per la fuga, e così, in automobile, al posto di guida, l’uomo attende il proprio complice, che sta compiendo una rapina, coltello alla mano, ai danni di un negozio. Ma ecco l’imprevisto il commerciante riesce a uscire dal locale, e a chiedere aiuto al negoziante più vicino. E il rapinatore è costretto a rimandare i propri propositi, abbandonando l’idea della rapina. Ciò, però, non basta per ritenere concretizzata l’ipotesi della desistenza volontaria nessuna pena ridotta, quindi, né per il rapinatore né per il complice. Cassazione, sentenza numero 25681, sez. II Penale, depositata oggi . In fuga Protagonista della battaglia giudiziaria, ora, è solo colui che ha svolto il ruolo di autista, e che si è ritrovato condannato «alla pena di un anno di reclusione e 200 euro di multa». Nessun dubbio per i giudici, sia di primo che di secondo grado, sulla colpevolezza dell’uomo in merito alla rapina tentata dal complice ai danni di un’attività commerciale. E questa ottica viene condivisa, e ‘cristallizzata’, ora, dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali respingono l’ipotesi difensiva, avanzata dal legale dell’uomo, della «desistenza volontaria dall’azione». Chiarissima la dinamica dell’episodio il rapinatore «è entrato nel negozio, ha brandito all’indirizzo del commerciante un coltello» – fornitogli dal complice – e «intimandogli di consegnargli tutti i soldi», mentre il complice «aveva svolto il ruolo dell’autista, che attendeva in macchina». A impedire il colpo solo la furbizia del commerciante, il quale «era riuscito a guadagnare la fuga, uscire dal negozio e chiamare in soccorso il commerciante esercente l’attività accanto alla sua». Di fronte a questo imprevisto, il rapinatore «è uscito precipitosamente». Quindi, evidenziano i giudici, «l’azione criminosa non è stata portata a compimento, non in conseguenza di un’autonoma determinazione» del rapinatore, bensì perché «la vittima era riuscita a fuggire ed a chiedere aiuto». Mancano, è chiaro, i presupposti per l’«ipotesi della desistenza volontaria» confermata, quindi, in toto la pena inflitta al complice.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 23 maggio – 16 giugno 2014, numero 25681 Presidente Gentile – Relatore Carrelli Palombi di Montrone Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 31/1/2013, la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Brescia del 11/5/2010, con la quale B.G. era stato condannato alla pena di anni uno di reclusione ed € 200,00 di multa per il reato a lui ascritto di cui agli articolo 110, 56, 628 commi 1 e 3 numero 1 cod. penumero 1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l'atto d'appello, in punto di responsabilità dell'imputato in ordine al reato allo stesso ascritto. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso l'imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando il seguente motivo di gravame inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 comma 1 lett. b ed e cod. proc. penumero , in relazione all'articolo 56 cod. penumero , per essere stata ravvisata un'ipotesi di desistenza volontaria dall'azione. Evidenzia, al riguardo, che la reazione della persona offesa che, di fronte alla minaccia subita, è fuggito all'esterno del negozio non risultava certamente idonea ad impedire la consumazione della rapina, né a costringere l'agente ad abbandonare il proprio proposito criminoso. Considerato in diritto 3. Il ricorso deve essere rigettato per essere infondata la questione proposta. In punto di fatto dalla sentenza impugnata emerge che i giudici di appello, rispondendo alla specifica doglianza mossa dall'imputato con i motivi di gravame, hanno escluso la ricorrenza dell'ipotesi della desistenza volontaria prevista nell'articolo 56 comma 3 cod. penumero , essendo stato accertato che «l'agente è entrato nel negozio, ha brandito all'indirizzo del commerciante un coltello dal manico nero, intimandogli di consegnargli tutti i soldi che aveva ed è uscito precipitosamente perché la vittima sottrattasi alla sua signoria temporanea era riuscita a guadagnare la fuga, uscire dal negozio e chiamare in soccorso il commerciante esercente l'attività accanto alla sua», essendo, altresì, stato accertato che l'attuale ricorrente aveva svolto il ruolo dell'autista che attendeva in macchina e che aveva fornito all'agente il coltello. In sostanza, sulla base di valutazioni di fatto non censurabili in questa sede, è stata, legittimamente esclusa, in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte sez. 2 numero 41484 del 29/9/2009, Rv. 245233 sez. 6 numero 203 del 20/12/2011, Rv. 251571 , condivisa dal Collegio, la ricorrenza dell'ipotesi della desistenza volontaria che presuppone una determinazione da parte del soggetto agente di non proseguire nell'azione criminosa indipendentemente dall'intervento di cause esterne che impediscano comunque la prosecuzione dell'azione o la rendano vana. Nel caso di specie, invece, risulta che l'azione criminosa non è stata portata a compimento, non in conseguenza di un'autonoma determinazione del soggetto agente, ma in quanto la vittima era riuscita a fuggire ed a chiedere aiuto ad un altro commerciante. 4. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna dell'imputato che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.