Per l'interdizione dai contratti pubblici è sufficiente la sussistenza di un insieme di indizi

L'informativa prefettizia non si collega a fatti ed attività oggetto di approfondimento d'ordine penale, essendo diversi i parametri di valutazione sul piano amministrativo, bensì a numerosi e svariati elementi. Trattasi di un complesso variegato di indizi, collegamenti societari, intrecci imprenditoriali ed economici, contatti e frequentazioni ed, in definitiva, di tutti gli elementi che, prescindendo dalle singole circostanze, rendono plausibile e giustificano l'adozione dell'interdittiva quale specifica misura di tutela anticipata, volta a prevenire e/o stroncare ogni possibile “inquinamento” delle imprese, degli appalti pubblici e, quindi, dell'attività della P.A., posto in essere notoriamente anche attraverso operazioni apparentemente legittime, ma fittizie e tipiche delle organizzazioni mafiose.

E’ quanto statuito dal Consiglio di Stato, sez. III, nella sentenza 5 maggio 2014, numero 2290. La controversia. L'impresa E.R. srl risultava vincitrice della gara, indetta dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei, per il conferimento dell'appalto per i lavori di consolidamento e restauro delle strutture della Casa delle pareti rosse in Pompei Scavi . Procedendo ai rituali controlli, la stazione appaltante richiedeva l'informativa prefettizia e riceveva un puntuale provvedimento interdittivo, fondato su un variegato complesso di elementi, quali a la parentela fra l'amministratore unico e socio di maggioranza della società e la figlia, arrestata per reati di rilevanza mafiosa con altri soggetti, moglie di persona arrestata in Spagna per detenzione di 57 kg di cocaina e cognata del di lui fratello con ruolo di vertice nell'organizzazione criminale b l'intestazione fittizia di beni appartenenti a clan mafioso ed, in particolare, un acquisto fittizio di immobile da parte dell'amministratore ed intestato alla figlia c il costante contatto fra i membri delle famiglie e gli esponenti del clanumero Avverso il provvedimento interdittivo, che impedisce l'aggiudicazione definitiva dell'appalto e la conseguente stipula del contratto, insorge l'impresa, presentando ricorso al Tar. In sede di impugnazione, l'impresa lamenta, in particolare, che le circostanze considerate ai fini dell’interdittiva sarebbero state smentite dalla sentenza pronunciata dal GUP, recante l’assoluzione di un parente perché il fatto non sussiste, smentendo quindi gli elementi risultanti dall’ordinanza di custodia cautelare. Il Tar non accoglie il ricorso e conferma la validità del provvedimento interdittivo, sulla base di un quadro generale sicuramente allarmante, in termini di permeabilità dell'impresa alle organizzazioni malavitose. La normativa antimafia e le informative. Come noto, i sistemi tradizionali di giustizia penale, legati al carattere individuale della delinquenza, sono entrati in crisi di fronte all’efferatezza della criminalità organizzata, la quale si è andata sempre più evolvendo, tanto da raggiungere negli ultimi anni livelli di management di tipo aziendale, con ramificazioni internazionali. La reazione dell’ordinamento si è affinata nel tempo, con l’adozione di strumenti di contrasto evoluti, volti ad intercettare i flussi di denaro di provenienza illecita e ad escludere dal tessuto produttivo le imprese ed i soggetti legati in qualche modo alla malavita organizzata. Strumento principe della lotta alla penetrazione delle organizzazioni malavitose è costituito dall'informativa prefettizia. Questa può essere definita come misura cautelare di poli zia, preventiva ed interdittiva, diversa e con funzione distin ta dalle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale Consiglio di Stato, sez. III, numero 5.478/2011 . Le informative sono ora disciplinate dal Codice antimafia d.lgs. numero 159/2011 , all'articolo 84, quali provvedimenti aventi funzione inibitoria, irrogabili dal Prefetto nell’esercizio delle pro prie funzioni in materia di polizia e di sicurezza, contro le ingerenze del crimi ne organizzato nelle attività economiche e nei rap porti con le Pubbliche ammi nistrazioni. Si tratta, pertanto, di strumenti eccezionali di reazione, che mirano a salvaguardare beni di primaria e fondamentale importanza per lo Stato, quali l’ordine e la sicurezza pubblica, la libera determi nazione degli organi elettivi, nonché il buon andamento e la trasparenza dell'azione delle Pubbliche amministrazioni nel delicato settore dei contratti e degli appalti pubblici. L'informativa, in quanto finalizzata ad anticipare il momento in cui la Pubblica amministrazione può inter venire in sede di autotutela amministrativa, al fine di evitare le possibili ingerenze della crimi nalità organizzata nello svolgimento dell’attività d’impresa, pre scinde dai rilievi probatori tipici del processo penale, nonché dalla commissione di un illecito e dalla conseguente condanna. Ciò risulta evi dente anche alla luce dell’articolo 84, comma 3, codice antimafia, in base al quale, le informative prefettizie hanno ad oggetto la verifica dell’esistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scel te e gli indirizzi delle società o imprese interessate , da cui si desume che è sufficiente anche la mera eventualità che l’impresa possa, anche in via indiret ta, favorire la criminalità. Funzione anticipatrice dell'informativa. Il Consiglio di Stato aderisce all'analisi condotta dal Tar e rigetta il ricorso, evidenziando, sin da subito, che il necessario giudizio prognostico, posto a fondamento del provvedimento interdittivo, non è basato solo sulla parentela e sull'acquisto fittizio di un immobile. Infatti, le disposte intercettazioni telefoniche manifestano una gestione, da parte dell'organizzazione criminale, della complessa attività e di contatti anche finanziari, tale da rendere evidente l'intrusione, non solo potenziale, anche nella gestione della società. Secondo i giudici di appello, la valutazione di infiltrazione prescinde dall'esito favorevole della vicenda penale della figlia dell'amministratore delegato, che pure ha visto condannare, per associazione di tipo mafioso, il fratello del compagno che veniva arrestato in Spagna per delitto di droga, e che ha posto, comunque, in evidenza contatti e coinvolgimenti di vario genere delle famiglie con esponenti del clan in quello specifico contesto ambientale. Al riguardo, il CdS ricorda che l'informativa interdittiva, in ragione della sua natura cautelare e preventiva, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi, in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste. Quindi, ciò che deve essere provato non è l'intervenuta infiltrazione mafiosa, ma solo la sussistenza di elementi, dai quali sia deducibile il pericolo di ingerenza. Di conseguenza, l’insieme degli elementi raccolti non vanno riguardati in modo atomistico, ma unitario, sì che la valutazione deve essere effettuata in relazione ad uno specifico quadro indiziario, nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri. Siffatto percorso logico conduce ad un chiaro ed inequivoco approdo ermeneutico l’interdittiva non obbedisce a finalità di accertamento di responsabilità, bensì a quella di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche o indiziarie, al di là dell'individuazione delle responsabilità penali, cosicché anche da una sentenza pienamente assolutoria possono essere tratti elementi per supportare la misura interdittiva.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 15 aprile – 5 maggio 2014, numero 2290 Presidente Cirillo – Estensore Stelo Fatto e diritto 1. Il Tribunale amministrativo regionale della Campania – Napoli – Sezione I, con sentenza numero 5107 del 6 novembre 2013 depositata il 14 novembre 2013, ha respinto, con compensazione delle spese, il ricorso con motivi aggiunti proposto dalla Edil.Re.Co.S. s.r.l., con sede in Boscoreale NA , avverso l'informativa interdittiva antimafia numero I/31-711 del 22 gennaio 2013 adottata dalla Prefettura di Napoli, e atti istruttori connessi, nonché avverso i provvedimenti numero 5127 del 14 febbraio 2013 e numero 92 del 30 maggio 2013, e atti connessi, con i quali la Soprintendenza speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei ha disposto rispettivamente di non procedere all'aggiudicazione, a favore della società ricorrente, dell'appalto per i lavori di consolidamento e restauro delle strutture della Casa della Pareti Rosse in Pompei Scavi e di procedere alla aggiudicazione definitiva dei lavori alla Forte Costituzione Restauri s.r.l Il giudice di primo grado, dopo aver puntualmente riportato gli orientamenti ormai unanimente espressi anche da questo Consiglio in materia, ha illustrato esaurientemente gli elementi posti a base dell'interdittiva e in particolare le risultanze investigative delle forze di polizia e del G.I.A. Gruppo interforze antimafia ritenendo che il quadro indiziario complessivo, supportato anche da intercettazioni telefoniche, motivasse idoneamente e comprovasse la legittimità dell'interdittiva stessa. Si richiamano quindi la parentala fra il signor U., amministratore unico e socio di maggioranza della società ricorrente, e la figlia, arrestata per reati di rilevanza mafiosa con altri soggetti, moglie di persona arrestata in Spagna per detenzione di 57 kg di cocaina e cognata del di lui fratello con ruolo di vertice nell'organizzazione criminale intestazione fittizia di beni appartenenti a clan mafioso, e in particolare di acquisto fittizio di immobile da parte dell'amministratore e intestato alla figlia gestione e utilizzo di fondi provenienti dalle attività del clan G. e di conto corrente sempre del clan costante contatto fra i membri delle famiglie e gli esponenti del clan il qualificato e intenso rapporto di parentela e il contesto geografico e ambientale l'irrilevanza, nella fattispecie così configurata, dell'assoluzione della suddetta figlia dall'imputazione a lei ascritta perché il fatto non sussiste la condanna del cognato per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p 2. La Edil.Re.Co.S. s.r.l., con atto notificato il 6 febbraio 2014 e depositato il 18 febbraio 2014, ha interposto appello, insistendo in particolare sulla insussistenza dei presupposti dell'informativa impugnata. Si sostiene infatti che l'interdittiva si basa sul solo rapporto di parentela con la figlia e sull'acquisto nel 2007 di un immobile asseritamente fittizio ma senza alcuna prova, in quanto invece eseguito correttamente, come da perizia depositata, con assegno di € 90.000,00, esclusivamente come padre a favore della figlia, convivente con il signor G. e con tre figli, e iscritta nel nucleo familiare della madre del G. per di più la figlia è stata assolta con formula piena e quella sentenza fa stato anche nei giudizi amministrativi nessun collegamento con clan mafiosi emerge a suo carico dagli atti. Con memoria depositata il 25 marzo 2014 sono stati replicati sinteticamente i motivi dell'appello. Il legale della Società, con atto depositato all'udienza pubblica del 15 aprile 2014, ha chiesto i termini per l'integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'articolo 95 c.p.a., nei confronti della società aggiudicataria della gara e quindi contro interessata. 3. Il Ministero dell'Interno e quello per i Beni e le Attività culturali, l'U.T.G. – Prefettura di Napoli e la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei si sono costituiti con mero atto formale dell'Avvocatura generale dello Stato depositato il 27 febbraio 2014. 4. La causa, all'udienza pubblica del 15 aprile 2014, è stata trattenuta in decisione. 5. Si premette che la Sezione ritiene di poter prescindere dalla richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti della società contro interessata, posto che l'appello è infondato e la sentenza impugnata merita conferma, dovendosi condividere le puntuali ed esaurienti argomentazioni già svolte dal T.A.R. e alle quali si fa richiamo anche per esigenze di economia processuale. In effetti l'interdittiva antimafia gravata in primo grado e qui di nuovo contestata contiene gli elementi indispensabili per configurare, in fatto e in diritto, la fattispecie all'esame, sottolineando il legame di contiguità, supportato dai rapporti delle forze dell'ordine e del G.I.A., fra il vertice del clan G. e quello dell'Edil.Re.Co.S. e che si concretava attraverso la gestione dei fondi provenienti dall'attività del clan e il rapporto di parentela. Il T.A.R. quindi ha esposto e illustrato quegli elementi sintomatici e, sulla base dei consolidati principi giurisprudenziali e di una connessa specifica valutazione dei fatti in questione, ha confermato la sussistenza del quadro indiziario complessivo tale da far ritenere concreti l'infiltrazione e il condizionamento del clan mafioso nei riguardi della società ricorrente anche in relazione all'ambito geografico. In effetti il giudizio prognostico non è basato solo sulla parentela e sull'acquisto fittizio di un immobile, come sostenuto assertivamente con l'appello all'esame che si limita a rappresentare i due detti elementi in modo asettico e atomistico, bensì sul loro intreccio, come emerge anche da intercettazioni telefoniche evidenziate pure dal T.A.R., con una gestione da parte del sodalizio criminale della complessa attività e di contatti anche finanziari tale da rendere evidente l'intrusione, in potenza e in atto, anche nella gestione della società appellante. Tale valutazione prescinde sì motivatamente pure dall'esito favorevole della vicenda penale della figlia dell'amministratore delegato, che pure ha visto condannare per il 416 bis c.p. il fratello del compagno che veniva arrestato in Spagna per delitto di droga, e che ha posto comunque in evidenza contatti e coinvolgimenti di vario genere delle famiglie con esponenti del clan in quello specifico contesto ambientale. Ed è assodato che l'interdittiva non si collega a fatti e attività oggetto di approfondimento d'ordine penale, essendo diversi i parametri di valutazione sul piano amministrativo, bensì alle stesse emergenze giudiziarie, indizi, collegamenti societari e intrecci imprenditoriali ed economici, contatti e frequentazioni e in definitiva a un quadro che, nel complesso di tutti gli elementi e prescindendo dalle singole circostanze, rende plausibile e giustifica l'adozione dell'interdittiva quale specifica misura di tutela anticipata volta a prevenire e/o stroncare ogni possibile inquinamento delle aziende, degli appalti pubblici e quindi dell'attività della P.A., posto in essere notoriamente anche attraverso operazioni apparentemente legittime ma fittizie tipiche delle organizzazioni mafiose. Ed è indubbio che nel caso di specie sussiste oggettivamente il quadro indiziario delineato nell'informativa prefettizia e confermato dal T.A.R. 6. Per le considerazioni che precedono l'appello va respinto e la sentenza impugnata va confermata. Le spese di giudizio seguono la soccombenza come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata. Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio da liquidarsi in complessivi € 3000,00 tremila a favore delle controparti unitariamente costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.