Archiviazione penale, ma il lavoratore accusato di operazione indebite rimane comunque a spasso

L’articolo 395, numero 2, c.p.c., su cui è fondata la domanda di revocazione, impone che le prove siano accertate come false con sentenza passata in giudicato. Il decreto di archiviazione, non comportando alcun accertamento con efficacia di giudicato, è inidoneo a fondare la domanda di revocazione.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza numero 156, depositata il 9 gennaio 2015. Il caso. Il tribunale rigettava la domanda di un uomo che aveva impugnato il licenziamento intimatogli dalla banca per aver compiuto delle indebite operazioni sui conti correnti e sui libretti di risparmio dei clienti. In seguito, l’uomo chiedeva la revocazione della sentenza, in quanto era intervenuto il decreto di archiviazione, emesso dal gip, del reato ex articolo 646 c.p. appropriazione indebita , estinto per prescrizione. La Corte d’appello di Napoli rigettava la domanda di revocazione, in quanto il provvedimento del gip era inidoneo a dar luogo alla revocazione della decisione, trattandosi non di sentenza ma di decreto, che non rappresentava, quindi, una conclusione assolutoria. Inoltre, la pronuncia di legittimità del licenziamento non si fondava solo sulla responsabilità penale, bensì anche su un complesso consistente di prove valutate in maniera autonoma dal giudice del lavoro. Il lavoratore ricorreva in Cassazione, deducendo che l’avvenuta sostanziale assoluzione di un soggetto dal reato per l’intervenuta estinzione per prescrizione non consente la permanenza di una pronuncia in sede civile fondata sui medesimi fatti. Nessun accertamento. La Corte di Cassazione rileva che il decreto di archiviazione, privo del carattere dell’irrevocabilità, non integrava alcun positivo accertamento sulla colpevolezza o meno dell’indagato o sul valore delle prove acquisite, per cui era inidoneo a fondare l’affermazione della falsità delle prove poste a base del giudizio civile. Serve il passato in giudicato. L’articolo 395, numero 2, c.p.c., su cui è fondata la domanda di revocazione, impone che le prove siano accertate come false con sentenza passata in giudicato. Il decreto di archiviazione, non comportando alcun accertamento con efficacia di giudicato, è inidoneo a fondare la domanda di revocazione. Inoltre, la pronuncia di legittimità del licenziamento non era fondata sugli accertamenti del giudice penale, in quanto i giudici avevano basato la propria decisione sull’istruttoria svolta, sulla documentazione acquisita e sulle prove per testi, con esclusione, perciò, di qualsiasi apprezzamento della rilevanza penale di tali comportamenti. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 novembre 2014 – 9 gennaio 2015, numero 156 Presidente Macioce – Relatore D’Antonio Svolgimento del processo Con sentenza del 29/9/2011 la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto della domanda proposta da G.V. di revocazione della sentenza del Tribunale del 18/10/2006 con cui il giudice aveva condannato il G. al risarcimento del danno in favore dell'Intesa S. Paolo nella misura di Euro 748.042, 05 per i danni provocati alla società derivanti da indebite operazioni sui conti correnti e libretti di risparmio di clienti, ed aveva rigettato la domanda del G. con cui era stato impugnato il licenziamento intimato dall'Istituto bancario. La Corte ha esposto che il G. aveva posto a fondamento della domanda di revocazione ai sensi dell'art 395 numero 2 c.p.c., il decreto di archiviazione del reato di cui all'art 646 cp, emesso dal GIP il 6/6/2008, per essere il reato per cui si procedeva estinto per prescrizione e che secondo il ricorrente, sussistevano i presupposti della revocazione essendo venuta meno la responsabilità penale del G. che nella precedente sentenza del Tribunale era stata, invece, posta a fondamento della condanna al risarcimento del danno ed al rigetto dell'accertamento dell'illegittimità del licenziamento. La corte territoriale ha rilevato che il provvedimento prodotto dalla ricorrente a fondamento della domanda era inidoneo a dar luogo alla revocazione della sentenza in quanto non si trattava di sentenza ma di un decreto che non rappresentava una conclusione assolutoria come preteso dalla ricorrente e che inoltre era ininfluente atteso che la sentenza di cui si chiedeva la revocazione non si fondava sulla responsabilità penale ma su di un complesso consistente di prove, del tutto diverse dalla semplice esistenza a carico del lavoratore di un procedimento penale, prove valutate in modo del tutto autonomo da parte del giudice del lavoro. Avverso la sentenza ricorre il G. formulando un unico motivo ulteriormente illustrato con memoria ex art 378 cpc. Resiste Intesa San Paolo con controricorso. Motivi della decisione Con un unico motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 395 c.p.c., numero 2, nonché vizio di motivazione. Rileva che qualsivoglia conclusione assolutoria di un giudizio penale pendente nei confronti di un soggetto per i medesimi fatti per i quali vi è controversia civile ha efficacia di giudicato nel procedimento civile. Ribadisce che l'avvenuta sostanziale assoluzione di un soggetto dal reato per l'intervenuta estinzione per prescrizione non consente la permanenza di una pronuncia in sede civile fondata sui medesimi fatti e che una diversa interpretazione risulterebbe illegittima sotto il profilo costituzionale concretizzando una incontestabile disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente uguali. Il motivo è infondato. Il ricorrente deduce che la sentenza del Tribunale di cui chiede la revocazione era stata emessa sulla base di prove accertate come false a seguito del decreto del GIP di archiviazione per intervenuta prescrizione del reato stante la sua natura di sostanziale assoluzione . La Corte territoriale ha correttamente rigettato la domanda del G. rilevando in primo luogo, che il decreto di archiviazione, privo del carattere dell'irrevocabilità non integrava alcun positivo accertamento sulla colpevolezza o meno dell'indagato o sul valore delle prove acquisite e pertanto, era del tutto inidoneo a fondare l'affermazione della falsità delle prove poste a base del giudizio civile. Sul punto è sufficiente rilevare che l'articolo 395, numero 2, c.p.c., su cui è fondata la domanda di revocazione, impone che le prove siano accertate come false con sentenza passata in giudicato. Il decreto di archiviazione, non comportando alcun accertamento con efficacia di giudicato è inidoneo a fondale la domanda di revocazione si confronti in tal senso Cass. n 9834/2002 secondo cui il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale ex articolo 409 cod. proc. penumero , , per la sua natura di atto giudiziale non definitivo, esso non integra accertamento della falsità di una deposizione che possa dare luogo al giudizio di revocazione ex articolo 395, numero 2, cod. proc. civ. o ancora Cass. n 3947/2006 secondo cui l'articolo 395 cod. proc. civ., indicando quale presupposto dell'istanza di revocazione che si sia giudicato su prove dichiarate false , postula che tale dichiarazione sia avvenuta con sentenza passata in giudicato in sede civile o penale anteriormente alla proposizione dell'istanza di revocazione, con la conseguenza che è inammissibile l'istanza di revocazione basata sulla falsità di prove da accertare nello stesso giudizio di revocazione . La Corte d'appello ha rigettato la domanda del G. di revocazione anche in quanto la sentenza revocanda che ha affermato la responsabilità del G. in ordine agli addebiti mossi dall'Istituto bancario con conseguente condanna al risarcimento del danno e rigetto dell'impugnativa del licenziamento non era fondata sugli accertamenti del giudice penale ma anzi al contrario risultava che il Tribunale aveva basato la sua decisione sull'istruttoria svolta sulla documentazione acquisita e sulle prove per testi con esclusione quindi, di alcun apprezzamento della rilevanza penale di tali comportamenti . Con riferimento a tale affermazione della Corte il ricorrente non formula alcuna specifica censura. Tanto premesso è noto che secondo il consolidato orientamento cfr Cass. SSUU n 7931/2013 di questa Corte dal momento che il ricorso per cassazione non introduce una terza istanza di giudizio con la quale si può far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata caratterizzandosi invece come un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico l'omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza in quanto queste ultime quand'anche fondate non potrebbero comunque condurre stante l'intervenuta definitività delle altre non impugnate all'annullamento della decisione stessa cfr. ex plurimis, le sentenze n 389 e 13070 del 2007, 3386 e 22753 del 2011, 2108 del 2012 . In mancanza di un'esplicita censura della sentenza impugnata anche sotto tale profilo il ricorso deve essere rigettato. Le spese di causa seguono la soccombenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio liquidate in Euro 100, 00 per esborsi, Euro 9.000, 00 per compensi professionali, oltre IVA, CP e 15% per spese generali.