Post su Facebook catalogato come violazione dei ‘domiciliari’: rientro in carcere

Fatale un messaggio condiviso sul social network. Per i giudici anche così è possibile violare il divieto di avere contatti con persone non conviventi. Riapplicata di conseguenza la misura cautelare della custodia in carcere.

Arresti domiciliari revocati. Conseguenziale il ritorno in carcere. Tutto a causa di un post condiviso su Facebook. Esso è valutato come violazione del divieto di contatto con persone esterne al contesto domestico Cassazione, sentenza n. 46874/2016, Sezione Seconda Penale, deposita l’8 novembre . Social. Prima il Gip e poi il Tribunale del riesame sanciscono l’applicazione della custodia in carcere . La persona sotto accusa ha violato la misura degli arresti domiciliari più precisamente, egli ha condiviso un post su Facebook, e così facendo ha, secondo i giudici, sostanzialmente eluso le limitazioni a lui applicate. Questa visione viene ora condivisa dai magistrati della Cassazione. Ciò perché la prescrizione di non comunicare con persone estranee va intesa come divieto non solo di parlare con persone non conviventi, ma anche di stabilire contatti con altri soggetti, sia vocali che a mezzo congegni elettronici . Peraltro, è emerso, ricostruendo la vicenda, che il messaggio diffuso sul social network è criptico e indirizzato a chi può comprendere, perché sottintende qualcosa di riservato e conosciuto da una ristretta cerchia di persone, ed è chiaramente intimidatorio, a dispetto del tono volutamente suggestivo, rafforzato alle coloratissime ‘emoticon’, ancor più esplicitamente intimidatorie .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 luglio – 8 novembre 2016, numero 46874 Presidente Fiandanese – Relatore Taddei Motivi della decisione Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Catania confermava l'ordinanza del GIP del Tribunale di Ragusa che aveva disposto l'aggravamento della misura custodiale, da domiciliare a inframuraria, per G.G. in seguito a violazioni delle misura domiciliare ritenute gravi. Avverso l'ordinanza propone ricorso la difesa di G. deducendo che il messaggio pubblicato su Facebook , impropriamente attribuito all'indagato che si è solo limitato a condividerlo, inviato a Cucinotta Biagio, vittima della condotta illecita del G. , non ha un chiaro contenuto intimidatorio nè una inequivoca coloritura minatoria né tantomeno si prospetta come una condotta trasgressiva che realizzi i caratteri di effettiva lesività richiesti dalla norma per la sostituzione. Deduce,inoltre, inosservanza o erronea applicazione della legge, ai sensi dell'articolo 606 comma 1 lett.e e lett. c c.p. p . e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 comma 1 lett. e c.p.p., in relazione all'interpretazione ed all'applicazione dell'articolo 275 comma 2 bis, in combinato disposto con il successivo comma 3, c.p.p. Censura il ricorrente l'interpretazione data dal tribunale del riesame alle nuove disposizioni dell'articolo 275 cod.proc.penumero secondo le quali si giustifica il superamento del limite all'applicabilità della custodia in carcere così attuandosi un rovesciamento della logica garantista e pro imputato che sorregge la novella legislativa. Il ricorso non è fondato e deve essere rigettato con condanna alle spese per il ricorrente. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato il ricorrente, infatti, si limita a promuovere una diversa valutazione dell'episodio che ha dato origine all'aggravamento della misura senza indicare quali siano i vizi che inficiano le argomentazioni del Tribunale. In altri termini la parte ricorrente propone una diversa lettura del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito, così prospettando una diversa ricostruzione della fattispecie concreta. Sotto questo profilo deve essere ribadito che nel giudizio di cassazione, pur dopo la novella introdotta dalla 1. numero 46 del 2006, alla Corte di Cassazione restano precluse sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisioni impugnata, sia l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Infatti il giudice di legittimità ha l'esclusivo compito di controllare se la motivazione dei giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito [Cass. numero 42369/2006] . La motivazione del Tribunale è assolutamente logica e condivisibile quando afferma che la prescrizione di non comunicare con persone estranee deve essere inteso nel senso di un divieto non solo di parlare con persone non conviventi, ma anche di stabilire contatti con altri soggetti, sia vocali che a mezzo congegni elettronici. Il messaggio diffuso sul social network, peraltro, è oggettivamente criptico per i più ed indirizzato a chi può comprendere perché sottintende qualcosa di riservato e conosciuto da una ristretta cerchia di persone ed è chiaramente intimidatorio a dispetto del tono volutamente suggestivo, rafforzato dalle coloratissime emoticon, ancora più esplicitamente intimidatorie. Anche il motivo relativo all'interpretazione dell'articolo 275 comma 2 bis e comma tre non è fondato. Questa Corte, con la decisione numero 32702 del 2015 ha già avuto modo di decidere un questione analoga a quella qui all'esame ed ha dettato un principio che questo collegio condivide ed al quale ritiene di dover dare seguito, secondo cui I limiti di applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere previsti dall'articolo 275, comma secondo bis, secondo periodo, cod. proc. penumero testo introdotto dal D.L. 26 giugno 2014, numero 92, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, numero 117 possono essere superati dal giudice qualora ritenga, secondo quanto previsto dal successivo comma terzo, prima parte, della norma citata, comunque inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari ogni altra misura meno afflittiva. Applicando questa interpretazione della correlazione tra i due commi dell'articolo in questione il Tribunale del riesame ha ritenuto necessario applicare la detenzione intramuraria, poichè la violazione delle prescrizioni commessa dal G. ha rivelato, incisivamente, l'inadeguatezza della detenzione domiciliare in ragione della inaffidabilità dell'indagato. Il ricorso, per i motivi che precedono, deve essere rigettato al rigetto consegue la condanna alle spese. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. penumero