Società ‘vittima’ degli amministratori infedeli: il sequestro è illegittimo

L’ente è responsabile per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai soggetti preposti dai modelli 231, ma non risponde se tali soggetti hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

Questo è quanto ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 45969/13, depositata lo scorso 15 novembre. La fattispecie. Il Gip del Tribunale di Foggia disponeva - a seguito delle indebite appropriazioni di somme da parte di alcuni amministratori, chiamati a rispondere di peculato - il sequestro preventivo ai sensi degli artt. 321, comma 2, c.p.p 53 e 19 d.lgs. n. 231/2001 di conti correnti bancari e di immobili intestati ad una società per azioni che svolgeva attività di riscossione. Tale misura cautelare veniva confermata anche in sede di riesame. Secondo il giudice, i fatti contestati a soggetti in posizione apicale avevano procurato alla società, mediante fittizia copertura del passivo, il vantaggio di proseguire la propria attività di riscossione scongiurando la messa in liquidazione, pertanto la misura cautelare era legittima. Il difensore della società, tuttavia, ha proposto ricorso per cassazione. Nessun profitto è derivato per l’ente. In realtà, secondo quanto affermato dal ricorrente, la società era vittima, e dunque parte offesa, delle azioni delittuose poste in essere dai suoi amministratori. Nessun profitto, insomma, sarebbe mai potuto derivare per la società dalle condotte illecite degli amministratori che, anzi, ne avevano comportato il depauperamento, pertanto, non era possibile l’individuazione di un eventuale prezzo o profitto del reato. Reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente. La Corte di Cassazione – con la sentenza n. 45969 del 15 novembre 2013 – ha ribadito che l’ente è responsabile per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai soggetti preposti ex d.lgs. n. 231/2001, ma non risponde se tali soggetti hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi. Di fronte alla commissione di illecite, autonome, condotte appropriative da parte degli amministratori, pertanto, non appare corretta l’argomentazione secondo la quale la fittizia copertura del passivo avrebbe consentito alla società di proseguire la propria attività di riscossione, procurandole così un evidente vantaggio. È plausibile, infatti, che l’attività manipolativa degli amministratori infedeli, volta ad occultare il passivo, fosse funzionale ad assicurare copertura alle illecite appropriazioni, anziché ad arrecare un vantaggio alla società di appartenenza.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 settembre – 15 novembre 2013, n. 45969 Presidente Dubolino – Relatore Bruno Osserva 1. Con decreto del 28/02/2013 il Gip del Tribunale di Foggia disponeva il sequestro preventivo di conti correnti bancari e di immobili intestati a Gema spa, ai sensi degli artt. 321, comma 2, cod. proc. pen., 53 e 19 d.lgs n. 231/2001. Pronunziando sulla richiesta di riesame proposta in favore della società, il Tribunale di Foggia, con l'ordinanza indicata in epigrafe, rigettava l'istanza, confermando la disposta misura cautelare. Avverso l'anzidetta pronuncia, il difensore della società ha proposto ricorso per cassazione, denunciando, con il primo motivo, violazione di legge ed erronea applicazione degli artt. 5, 25 e 53 d.lvo n. 231/2001, sul rilievo dell'insussistenza dei presupposti di legge della disposta misura cautelare, in ragione del fatto che la società era, in sostanza, vittima - e, dunque, parte offesa - delle azioni delittuose poste in essere dai suoi amministratori. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge ed erronea applicazione degli artt. 53 e 19 d.lvo n. 231/2001 sul rilievo che nessun profitto per la società sarebbe mai potuto derivare dalle condotte illecite degli amministratori, che avevano, piuttosto, comportato depauperamento del patrimonio sociale il che rendeva quanto mai problematica, nel caso di specie, l'individuazione di eventuale prezzo o profitto del reato, suscettibile di sequestro e, quindi, di confisca. Nel caso di specie, per espressa affermazione dello stesso Gip, il prezzo o profitto del reato, per il quale era stato disposto il sequestro preventivo, andava ricondotto alla contestazione di peculato, di cui al capo b dell'incolpazione provvisoria. Il peculato non era, però, ricompreso nella sezione II del menzionato decreto, che elencava le tipologie di reato per cui era prevista la responsabilità amministrativa degli enti. La misura cautelare avrebbe potuto, quindi, riguardare solo beni dei soggetti indagati per quel reato, mentre la società avrebbe potuto essere destinataria di provvedimento cautelare reale solo per la contestazione dei reati societari, nel qual caso, però, sarebbe stata necessaria l'individuazione dello specifico profitto conseguito, ad essi inerente, senza confusione di sorta con il profitto del peculato. 2. Le due censure - congiuntamente esaminabili stante l'identità di ratio contestativa - sono fondate e meritano, pertanto, accoglimento. Il nucleo fondamentale di entrambe è, infatti, la dedotta violazione del combinato disposto degli artt. 19 e 53 del d.lgs. 8.6.2001 n. 231, in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, nella parte in cui consente la confisca - e, quindi, il sequestro preventivo ad essa funzionale - del prezzo o del profitto del reato, anche per equivalente. Si assume, da parte della ricorrente, che nella fattispecie sarebbero state commesse indebite appropriazioni di somme di essa società di riscossione da parte dei suoi amministratori, chiamati quindi a rispondere di peculato. Si sarebbe trattato, pertanto, di autonome iniziative delittuose, poste in essere dai responsabili per propria utilità e tornaconto personale e non già nell'interesse od a vantaggio della società di appartenenza, che avrebbe anzi subito un depauperamento e la conseguente procedura di liquidazione. Nel rispondere ad identica eccezione difensiva, il giudice del riesame ha rilevato che i fatti delittuosi contestati a soggetti in posizione apicale, preposti alla rappresentanza dell'amministrazione della società, avevano procurato alla stessa, mediante fittizia copertura del passivo, il vantaggio di proseguire la propria attività di riscossione scongiurando la messa in liquidazione . E tanto bastava, nell'ottica del giudizio presuntivo da formulare in quella sede, per ritenere configurabile - in relazione ai reati per cui era stato disposto il sequestro a carico della società - un interesse di quest'ultima nell'attività illecita dei suoi amministratori, essendo questa, di fatto, servita per prolungare l'esistenza della stessa società. Tale motivazione non vale, però, a dar conto del presupposto fondante della responsabilità dell'ente, alla stregua dell'art. 5 della speciale normativa di settore. Dalla perspicua formulazione del relativo testo risulta, invero, che, ai sensi della previsione del comma 1, l'ente è responsabile per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai soggetti preposti, specificamente indicati, mentre al comma 2 si precisa che l'ente non risponde se le persone indicate nel comma precedente hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi . Sulla base di tali disposizioni ed a fronte del dato fattuale - incontestato e, quindi, pacifico in atti - della commissione di illecite, autonome, condotte appropriative da parte degli amministratori, non è pertinente l'assunto argomentativo che la fittizia copertura del passivo, integrante, in tutta evidenza, le ipotizzate fattispecie di reato societario, avrebbe consentito alla società di proseguire la propria attività di riscossione, procurandole così un evidente vantaggio. Resta, infatti, impregiudicata la possibilità - tutta da verificare in concreto - che l'attività manipolatoria degli amministratori infedeli, volta ad occultare il passivo, fosse più plausibilmente funzionale ad assicurare copertura alle illecite appropriazioni, anziché ad arrecare vantaggio alla società di appartenenza. Ed allora, si è in presenza di un insieme giustificativo meramente apparente e, di fatto inesistente, dunque del vizio di mancanza di motivazione, notoriamente, riconducibile al paradigma della violazione di legge, il solo vizio deducibile in sede di legittimità, a mente dell'art. 325, comma 1, cod.proc.pen. cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, Rv. 242916 . 3. La rilevata mancanza inficia, radicalmente, il provvedimento impugnato, comportandone l'annullamento, che va, dunque, dichiarato nei termini di cui in dispositivo, affinché il giudice del rinvio proceda a nuovo esame al fine di verificare, sia pure nei limiti della sommaria cognizione propria della fase cautelare, la configurabilità di un effettivo vantaggio direttamente procurato alla società Gama dai reati ascritti ai suoi amministratori. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Foggia.