Nel reato di resistenza a pubblico ufficiale, la violenza consiste in un comportamento idoneo ad opporsi, in maniera concreta ed efficace, all’atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 25265, depositata il 16 giugno 2015. Il caso. La Corte d’appello di Napoli condannava un imputato per il reato ex articolo 337 c.p. resistenza a un pubblico ufficiale . L’uomo ricorreva in Cassazione, deducendo di non essersi avveduto dell’alt intimatogli dai carabinieri. I giudici, a suo avviso, non avrebbero tenuto conto delle circostanze di tempo limitato arco temporale e di luogo elevato traffico veicolare in cui era avvenuta l’azione di fuga. La Corte di Cassazione richiama la ricostruzione operata dai giudici di merito il ricorrente, che stava guidando una moto di grossa cilindrata in maniera spericolata e violando le prescrizioni del c.d.s., non si era fermato all’alt intimatogli dai carabinieri, con l’apposito strumento di ordinanza, ma aveva proseguito la corsa a forte velocità. I carabinieri erano quindi stati costretti ad un inseguimento pericoloso con l’auto di servizio, «mettendo a repentaglio, in un orario di punta per il traffico elevato, la propria e l’altrui incolumità per le vie del centro abitato». Fuga per sfuggire ai carabinieri. I giudici di legittimità ricordano che, nel reato di resistenza a pubblico ufficiale, la violenza consiste in un comportamento idoneo ad opporsi, in maniera concreta ed efficace, all’atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo. Di conseguenza, risponde di questo reato il soggetto che, guidando un veicolo, invece di fermarsi all’alt intimatogli dalle forze dell’ordine, si dia alla fuga ad altissima velocità e, per vanificare l’inseguimento, ponga in essere manovre di guida tali da creare una situazione di generale pericolo. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 maggio – 16 giugno 2015, numero 25265 Presidente Ippolito -–Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 10 aprile 2013 la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 4 dicembre 2009 che dichiarava S.P. responsabile del delitto di cui all'articolo 337 c.p. e, concesse le attenuanti generiche, ridotta la pena per il rito, lo condannava alla pena sospesa di mesi quattro di reclusione. 2. S.P. ha personalmente proposto ricorso per cassazione avverso la su citata decisione, deducendo violazioni di legge e vizi motivazionali con riferimento alla ritenuta sussistenza dei reato di cui all'articolo 337 c.p., per non avere la Corte distrettuale ritenuto attendibile la deduzione difensiva secondo cui egli non si era avveduto dell'alt intimatogli dai Carabinieri, e per non aver tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui era avvenuta l'azione di fuga limitato arco temporale della condotta ed elevato traffico veicolare . Considerato in diritto 1. II ricorso è inammissibile, in quanto sostanzialmente orientato a riprodurre un quadro di argomentazioni già ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, poiché imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione. Il ricorso, dunque, non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento dei correlativo tema d'accusa. 2. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del Giudice di primo grado, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha esaminato e puntualmente disatteso la diversa ricostruzione prospettata dalla difesa, ponendo in evidenza, attraverso il richiamo ai passaggi motivazionali già esaustivamente delineati nella prima decisione, il fatto che, il quale già stava guidando un motociclo di grossa cilindrata in modo spericolato ed in violazione delle prescrizioni del codice della strada, non si è fermato all'alt intimatogli dai Carabinieri con l'apposito strumento di ordinanza, ma ha proseguito la corsa a forte velocità, costringendoli ad un pericoloso inseguimento con l'auto di servizio e mettendo a repentaglio, in un orario di punta per il traffico elevato, la propria e l'altrui incolumità per le vie del centro abitato. 3. Sulla base di tali premesse in punto di fatto, deve rilevarsi come i Giudici di merito abbiano fatto buon governo dei principii al riguardo pacificamente fissati da questa Suprema Corte Sez. 4, numero 41936 del 14/07/2006, dep. 21/12/2006, Rv. 235535 Sez. 6, numero 4391 del 06/11/2013, dep. 30/01/2014, Rv. 258242 Sez. F, numero 40 del 10/09/2013, dep. 02/01/2014, Rv. 257915 , secondo cui nel reato di resistenza a pubblico ufficiale la violenza consiste in un comportamento idoneo ad opporsi, in maniera concreta ed efficace, all'atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo, sicché deve rispondere di tale reato il soggetto che, alla guida di un'autovettura, anziché fermarsi all'alt intimatogli dagli agenti di Polizia, si dia alla fuga ad altissima velocità e, al fine di vanificare l'inseguimento, ponga in essere manovre di guida tali da creare una situazione di generale pericolo. 4. Per le considerazioni su esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di euro mille. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.