Reato continuato per chi viola più volte l’obbligo di soggiorno

Per l’applicazione della disciplina del reato continuato, è necessario che il Giudice di merito verifichi la sussistenza di una rappresentazione unitaria sin dal momento ideativo delle diverse condotte violatrici da parte del soggetto agente, tali da escludere una successione di autonome risoluzioni criminose.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza numero 24873, depositata il 12 giugno 2015. Il caso. Il Tribunale di Padova, decidendo in sede esecutiva, rigettava l’istanza proposta nell’interesse dell’imputato, rivolta ad ottenere il riconoscimento della continuazione tra più fatti di oggetto di decisioni irrevocabili. Come motivo di tale decisione, il Giudice di primo grado citava precedenti giurisprudenziali in tema di riconoscimento della continuazione e differenziava la «medesimezza del disegno criminoso e lo stile di vita» dell’agente. Avverso tale ordinanza, l’imputato decide di ricorre in Cassazione. Il ricorso riguarda diverse violazioni della misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno, commesse in un ristretto arco temporale e correlate al bisogno dell’istante di assumere sostanze alcoliche. A queste si aggiungeva anche un ulteriore episodio di evasione, realizzato per il medesimo fine. La disciplina. La S.C. precisa innanzitutto che nell’applicazione della disciplina del reato continuato di cui all’articolo 81, comma 2, c.p., è necessario che il Giudice di merito, attraverso un concreto esame delle modalità di realizzazione delle diverse violazioni commesse, verifichi la sussistenza o meno di indici rilevatori tali da sostenere la conclusione della sostanziale unicità del disegno criminoso. Come riconoscere il reato continuato. Di conseguenza, i Giudici di legittimità intendono quale requisito per il riconoscimento del reato continuato, la rappresentazione unitaria, sin dal momento ideativo, delle diverse condotte violatrici da parte del soggetto agente, tanto da poter escludere una successione di autonome risoluzioni criminose, giustificando così la valutazione di ridotta pericolosità sociale, che comporta il trattamento sanzionatorio più mite, rispetto al cumulo materiale. L’onere della prova. Inoltre, gli Ermellini precisano come non riconoscono «né logico né rispettoso» ritenere che l’istante debba fornire la «prova» di detto atteggiamento intellettivo, posto che, trattandosi di un atteggiamento interiore lo stesso non è passibile di prova diretta, ma ricostruibile ex post, solo attraverso un serio esame degli indici rilevatori. Dal momento in cui, nel caso di specie non vengono apprezzate né citate le concrete modalità dei fatti che hanno determinato le condotte indicate nell’istanza, ne deriva una motivazione lacunosa del provvedimento. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso dell’agente.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 marzo – 12 giugno 2015, numero 24873 Presidente Giordano – Relatore Magi In fatto e in diritto 1. Con ordinanza emessa in data 22 luglio 2014 il G.M. del Tribunale di Padova - decidendo in sede esecutiva - rigettava l'istanza proposta nell'interesse di N.P., tesa ad ottenere il riconoscimento della continuazione tra più fatti oggetto di decisioni irrevocabili. In motivazione si citano precedenti giurisprudenziali in tema di riconoscimento della continuazione e differenza tra medesimezza del disegno criminoso e 'stile di vita' e si conclude con la seguente espressione « nel caso di specie l'applicazione dei criteri sopra indicati porta a rigettare la richiesta di applicazione dell'istituto della continuazione». 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - con personale sottoscrizione - N.P., deducendo erronea applicazione della disciplina regolatrice e vizio di motivazione. Nel ricorso si precisa che la richiesta aveva ad oggetto più violazioni della misura di prevenzione dell'obbligo di soggiorno commesse in un ristretto arco temporale tra maggio e luglio dei 2012 e correlate al bisogno dell'istante - difficilmente controllabile - di assumere sostanze alcoliche. A ciò si aggiungeva un episodio di evasione dei 18 settembre dello stesso anno, realizzato per il medesimo fine. Vi era pertanto la ricorrenza di numerosi indicatori in fatto che avrebbero potuto condurre all'applicazione della norma invocata. In ogni caso la decisione non contiene alcun riferimento ai fatti oggetto dei giudizi, in ciò risultando meramente apparente. 3. II ricorso è fondato, per le ragioni che seguono. Va premesso che, in via generale, nella applicazione della disciplina dei reato continuato ai sensi dell'articolo 81 comma 2 cod. penumero è necessario che il giudice di merito - attraverso un concreto esame delle modalità di realizzazione delle diverse violazioni commesse - verifichi l'esistenza o meno degli indici rivelatori tali da sostenere la conclusione, cui eventualmente perviene, della sostanziale unicità del disegno criminoso. Per tale va intesa la rappresentazione unitaria sin dal momento ideativo delle diverse condotte violatrici - almeno nelle loro linee essenziali - da parte dei soggetto agente, sì da potersi escludere una successione di autonome risoluzioni criminose ed in tal modo giustificandosi la valutazione di ridotta pericolosità sociale che giustifica il trattamento sanzionatorio più mite rispetto al cumulo materiale ex multis Sez. I numero 40123 del 22.10.2010, rv 248862 . Nell'approcciarsi a tale verifica, introdotta dall'istanza di parte, non appare logico nè rispettoso del dovere di completezza cognitiva immanente ad ogni decisione ritenere che l'istante debba fornire la «prova» di detto atteggiamento intellettivo, posto che, trattandosi di un atteggiamento interiore lo stesso non è passibile di prova diretta ma è ricostruibile ex post solo attraverso un serio esame degli indici rivelatori medesimezza dei bene offeso, strumentalità tra le azioni, ristretto lasso temporale, ed altro tratti dalle condotte realizzate e dall'esame complessivo della personalità del richiedente. Tale esame, pertanto, va sempre realizzato in concreto dal giudice, che deve esprimerne i risultati nel provvedimento in modo anche sintetico ma esaustivo, pena la sostanziale elusione dell'obbligo di motivazione, non rispettato lì dove ci si limiti a indicare precedenti giurisprudenziali senza dar conto dell'effettivo apprezzamento compiuto. Il caso in esame rientra in tale ipotesi, posto che nel provvedimento non vengono apprezzate nè citate le concrete modalità dei fatti che hanno determinato le condanne indicate nell'istanza. Ne deriva una mera apparenza di motivazione. Va pertanto rilevato il vizio, e va disposto l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Padova P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Padova.