Lite madre-figlia, il fratello ‘placa’ la ragazza con uno schiaffo: condannato

Pomo della discordia, tra le due donne, la richiesta della giovane di uscire di casa. Ma eccessivo e fuori luogo, senza dubbio, l’intervento dell’uomo. Illogico parlare di condotta inoffensiva, perché finalizzata a impedire che la discussione potesse degenerare, e illogico anche richiamare un presunto jus corrigendi dell’uomo in qualità di fratello.

Se “tra moglie e marito, non mettere dito”, beh, anche tra madre e figlia è meglio evitare incursioni – poco ortodosse, per giunta – di terze persone, anche, anzi soprattutto, dei fratelli. Davvero fragile, difatti, la tesi secondo cui un uomo è intervenuto legittimamente, con uno schiaffo alla sorella, per placare la lite con la madre. Illogico parlare di jus corrigendi, molto più sensato parlare di violenza privata. Cassazione, sentenza numero 19543, sez. V penale, depositata oggi Percosse. Linea di pensiero chiarissima, quella seguita dai giudici di primo e di secondo grado un uomo è condannato, per il reato di violenza privata, alla «pena di due mesi di reclusione», fatale la decisione di percuotere «con uno schiaffo e con pugni al volto ed al ventre» la sorella, «impedendole di uscire» di casa. Contesto è quello di una famiglia marocchina, emigrata in Italia. Casus belli la «discussione» tra madre e figlia, discussione «nata dal diniego» della donna alla «richiesta di uscire» avanzata dalla ragazza. Solo di fronte a quel conflitto, sostiene l’uomo, egli ha deciso di intervenire fisicamente, per impedire che la sorella mettesse «le mani addosso» alla madre. Per questo, aggiunge ancora l’uomo, è illogico parlare di «violenza privata». Ma questa ricostruzione, ribattono i giudici del ‘Palazzaccio’, non può reggere perché è illogico sostenere la «inoffensività della condotta» tenuta dall’uomo, richiamando la presunta «aggressione» della ragazza nei confronti della madre. Soprattutto tenendo presente, concludono i giudici, che è da escludere, in maniera netta, l’ipotesi dello jus corrigendi esercitato dall’uomo rispetto alla sorella.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 marzo – 12 maggio 2014, numero 19543 Presidente Lombardi – Relatore Zaza Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di Trieste del 14/12/2009, con la quale T.S. era ritenuto responsabile del reato di cui all'articolo 610 cod. penumero , commesso il 02/11/2008 percuotendo la sorella H. con uno schiaffo e con pugni al volto ed al ventre ed impedendole di uscire dalla comune abitazione in Trieste e condannato alla pena di mesi due di reclusione. L'imputato ricorre sull'affermazione di responsabilità e deduce contraddittorietà delle conclusioni della sentenza impugnata con le dichiarazioni rese dalla madre della persona offesa A.S., la quale riferiva che l'imputato interveniva solo allorché la figlia H. le metteva le mani addosso nel corso di una discussione nata dal suo diniego alla richiesta della figlia di uscire. Lamenta altresì violazione di legge nella ritenuta configurabilità del reato di violenza privata, laddove la libertà morale della persona offesa non era lesa da una condotta motivata dall'impedire la reazione violenta di una figlia minorenne nei confronti della madre e comunque non potendo riconoscersi al minore soggetto alla potestà genitoriale un'assoluta libertà di autodeterminazione rispetto all'obbligo morale e sociale della famiglia di formarlo ed impartirgli il rispetto per le regole. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. La censura di contraddittorietà della motivazione rispetto a quanto dichiarato dalla madre dell'imputato e della persona offesa, dalla quale dipende sostanzialmente quella di inoffensività della condotta in quanto motivata da un'aggressione che la madre avrebbe riferito di aver subito dalla figlia, è generica a fronte della ricostruzione dei fatti esposta nella sentenza impugnata sulla base anche delle dichiarazioni della teste, per la quale l'imputato interveniva nella discussione fra la madre e la sorella quando quest'ultima aveva quasi convinto la madre a consentirle di uscire dall'abitazione, colpendo la persona offesa con uno schiaffo. Generica è altresì la doglianza di violazione di legge nell'esclusione dell'esercizio, da parte dell'imputato dello jus corrigendi nei confronti della sorella, a fronte della argomentate considerazioni della Corte territoriale sull'assenza, in capo all'imputato, della posizione genitoriale che avrebbe consentito di ipotizzare tale situazione giuridica nel nostro ordinamento. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, valutata l'entità della vicenda processuale, appare equo determinare in €.1.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €.1.000 in favore della Cassa delle Ammende.