La mancata bonifica non è un autonomo fatto generatore di danno: negato il risarcimento ai cittadini

In tema di illecito istantaneo con effetti permanenti fattispecie in cui sono compresi i danni da inquinamento , la condotta lesiva si esaurisce in un fatto caratterizzato da una dimensione unitaria di concreta realizzazione, a prescindere dall’eventuale diacronia dei relativi effetti.

La prescrizione del diritto a risarcimento, pertanto, non può che iniziare a decorrere dal momento della concreta percezione o percepibilità del fatto lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9711/13, depositata il 22 aprile. Il caso. Nel 2005 oltre mille abitanti di Seveso citano in giudizio la società ICMESA chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per la mancata bonifica della c.d. zona B, colpita dal disastro ambientale del 1976, quando un reattore della fabbrica esplose diffondendo nel territorio circostante una ingente quantità di diossina. Il diritto è ormai prescritto. Secondo gli attori, il carattere permanente del danno conseguente all’incidente comporterebbe una situazione lesiva delle loro posizioni soggettive, cagionando inoltre un danno morale conseguente ai continui controlli sanitari cui i cittadini sono stati obbligati a sottoporsi nel corso degli anni. Tale ricostruzione, tuttavia, non viene accolta dai giudici di merito, che ritengono ormai prescritto il diritto fatto valere, escludendo che nella fattispecie si sia in presenza di un danno autonomo e diverso rispetto a quello causato nel 1976. La questione è posta al vaglio della S.C L’illecito istantaneo con effetti permanenti. I ricorrenti contestano essenzialmente il fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto che il fatto generatore del danno fosse il disastro del 1976 e non la successiva mancata bonifica inoltre non sarebbe stato considerato fatto nuovo l’analisi del rischio pubblicata nel 2003, che attestava il permanere dell’inquinamento nella zona di Seveso. A giudizio degli Ermellini, però, è corretto collegare i danni lamentati all’evento del 1976 a tal proposito, la Cassazione ricorda che in tema di illecito istantaneo con effetti permanenti fattispecie in cui sono compresi i danni da inquinamento , la condotta lesiva si esaurisce in un fatto caratterizzato da una dimensione unitaria di concreta realizzazione, a prescindere dall’eventuale diacronia dei relativi effetti. Il danno morale è solo un aggravamento. La prescrizione del diritto a risarcimento, pertanto, non può che iniziare a decorrere dal momento della concreta percezione o percepibilità del fatto quanto al lamentato danno morale, esso non costituisce una manifestazione di una lesione nuova e autonoma, bensì un mero sviluppo e aggravamento del danno già insorto. Non si può essere chiamati a rispondere due volte. D’altra parte, anche se tale danno fosse considerabile autonomamente in forza della normativa che impone l’obbligo di bonifica D. Lgs. n. 22/1997 , l’autore dell’illecito non potrebbe comunque essere chiamato a rispondere due volte sul piano della responsabilità civile, altrimenti verrebbe meno il principio della certezza delle situazioni e dei rapporti giuridici. Per questi motivi la S.C. rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 novembre 2012 22 aprile 2013, n. 9711 Presidente Salmè Relatore Travaglino Svolgimento del processo Nell'aprile del 2005 oltre mille abitanti della cittadina di convennero in giudizio, dinanzi al tribunale di Monza, la s.p.a. ICMESA, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata bonifica della c.d. zona B colpita dagli effetti inquinanti del disastro ambientale verificatosi il omissis , quando il reattore chimico della fabbrica convenuta era esploso diffondendo in tutto il circostante territorio una ingente quantità di diossina. Secondo la prospettazione degli attori, la condotta omissiva della Icmesa - che avrebbe dovuto provvedere alla bonifica della zona contaminata in qualità di responsabile del predetto evento -, coniugata con il carattere permanente del danno conseguente al disastro del , aveva senz'altro perpetuato una situazione lesiva delle loro delle posizioni soggettive, cagionandogli un indiscutibilmente danno morale conseguente tra l'altro ai continui controlli sanitari cui erano obbligati a sottoporsi. La mancata bonifica del sito, configurabile anche come illecito penale ex art. 51 bis del D.lgs. 22/1997, legittimava, in definitiva, una richiesta risarcitoria, alla luce di quanto affermato da Cass. ss.uu. 2515/2002 e 4648/2002. Il giudice di primo grado, previa declaratoria di nullità della domanda di alcuni degli attori per difetto di procura, respinse la domanda per intervenuta prescrizione del diritto fatto valere, escludendo tout court la predicabilità, nella specie, di un danno autonomo e diverso rispetto a quello lamentato e risarcito nel . La corte di appello di Milano, investita del gravame proposto dagli attori in prime cure, lo ritenne infondato. Il collegio meneghino, con sentenza del settembre 2010, premesso che, nel prospettare l'esistenza di danni non patrimoniali risarcibili, gli appellanti ne avevano ricondotto la genesi non direttamente al disastro del , bensì all'ulteriore illecito consistito nell'avere l’Icmesa omesso di bonificare l'area, benché obbligatavi ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. 22/97 - illecito definito, nell’atto di impugnazione, di natura permanente, nel senso che l'effetto dannoso consistito nell'inquinamento danno evento e le conseguenze dannose derivanti dall'inquinamento stesso id est il lamentato danno non patrimoniale identificabile nel patema d'animo e nelle restrizioni di vita connaturate all'inquinamento stesso sarebbero state destinate a cessare solo al momento della concreta realizzazione della ricordata bonifica, onde il dies a quo della relativa prescrizione non avrebbe potuto correttamente individuarsi se non al momento in cui si era acquisita la conoscenza degli effetti dannosi di tale inerzia, e cioè nell'anno 2003, con la pubblicazione della c.d. analisi di rischio - ritenne a sua volta prescritto il diritto vantato dagli appellanti, vertendosi, nella specie, in tema di illecito istantaneo ad effetti permanenti. La sentenza è stata impugnata dai soccombenti con ricorso per cassazione articolato in un unico, complesso motivo di doglianza. Resiste con controricorso la Icmesa. Le parti hanno entrambe depositato memorie illustrative. Motivi della decisione Il ricorso è infondato. Con il primo ed unico motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2935, 2947, 2043 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. . Il motivo si articola in tre distinte, ancorché logicamente connesse, doglianze. 1. Lamenta la difesa di parte ricorrente che la corte territoriale non avrebbe fatto buon governo dei principi che regolano la prescrizione, errando, in particolare, nel non ritenere che il fatto generatore del danno fosse la mancata bonifica e non la vicenda del , e nel non aver ritenuto fatto nuovo l'analisi di rischio pubblicata nell'anno 2003, ricognitiva di una ancora intollerabile situazione di inquinamento atmosferico nelle zone colpite dall'esplosione del reattore Icmesa. Avrebbe, in particolare, errato il giudice territoriale nel ritenere che i capitoli di prova articolati confermassero la riconducibilità dell'evento di danno al e non alla scoperta del permanere dell'inquinamento nel 2003, deducendone altrettanto erroneamente che il fatto contestato avesse le caratteristiche dell'illecito istantaneo con effetti permanenti. Di converso, i capitoli di prova 13.15 avevano riguardo non soltanto il periodo post , bensì anche un periodo successivo f. 26 del ricorso , così che la loro ammissione avrebbe dimostrato proprio lo iato logico e giuridico tra l'esplosione del e la mancata bonifica accertata nel 2003. 1.1. La doglianza appare - a prescindere dai suoi non marginali profili di inammissibilità in rito, attesa la mancata individuazione della concreta violazione delle norme indicate - infondata nel merito. 1.2. Dalla lettura del contenuto dei capitoli di prova indicati, difatti, emerge la correttezza del decisum del giudice di appello, che li ritiene - con interpretazione scevra da vizi logico-giuridici, e perciò solo sottratta al controllo di legittimità - irredimibilmente funzionali proprio a collegare i danni lamentati come attuali all'evento del , in evidente e condivisibile dissonanza con la lettura che, oggi, strumentalmente, parte ricorrente propone, in parte qua , al collegio. 2. Con ulteriore censura, le parti ricorrenti lamentano un cattivo uso, da parte della corte territoriale, dei principi di diritto in tema di discrimine tra fatto illecito con effetti permanenti e illecito permanente. Sostengono, in particolare, che la situazione di disagio e perturbamento conseguente all'evento del si sarebbe attenuata con il passare del tempo, mentre soltanto nel 2003 si sarebbe acquisita la conoscenza del nuovo evento di danno, rappresentato dalla mancata bonifica del territorio. 2.1 La censura è infondata. 2.2. La corte di appello di Milano, nel confermare la decisione di primo grado, ha chiaramente e condivisibilmente specificato, da un canto, che, vertendosi in tema di illecito istantaneo con effetti permanenti come in tutte le ipotesi di danno da inquinamento ex multis, Cass. 1156 del 1995, nonché, implicitamente, Cass. 17985 del 2007 , la condotta lesiva si esauriva, nella specie, in un fatto quod unico actu perfecitur , un fatto destinato, cioè, ad esaurirsi in una dimensione unitaria sul piano logico e sostanzialmente cronologico di concreta realizzazione, a prescindere dalla eventuale diacronia dei relativi effetti, onde la prescrizione del diritto al risarcimento del danno ad esso conseguente non poteva che iniziare a decorrere dal momento del fatto rectius , della concreta percezione o percepibilità di esso le lamentate lesioni dell'integrità psichica sub specie di un danno morale da patema d'animo non costituivano, pertanto, manifestazioni di una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella manifestatasi con l'esaurimento dell'azione del responsabile, bensì un mero sviluppo e un aggravamento del danno già insorto in termini, Cass. ss.uu. n. 580 del 2008, predicativa di un principio di diritto perfettamente consonante con quello applicato dal giudice territoriale, quello, cioè della permanenza del danno e non del fatto, mentre all'illecito permanente si ricollega non il danno permanente ma il danno plurimo, destinato a rinnovarsi continuamente nel tempo - mentre quanto si afferma nella sentenza 5831 del 2007 di questa corte evocata dai ricorrenti attiene a fattispecie del tutto disomogenea e niente affatto sovrapponibile a quella odierna dall'altro, spiegando esaustivamente che, pur volendo attribuire ai lamentati danni non patrimoniali una nuova ed autonoma considerazione giuridica alla stregua della normativa D.lgs. 22/97 impositiva dell'obbligo di bonifica in capo all'autore dell'illecito, per lo stesso fatto-evento non si sarebbe comunque potuti essere chiamati a rispondere due volte sul piano della responsabilità civile, pena la irredimibile erosione dell'ineludibile principio e dell'ineludibile esigenza di certezza delle situazioni e dei rapporti giuridici dall'altro ancora, escludendo in fatto ff. 19-20 della motivazione che tale obbligo fosse mai sorto o che non fosse stato comunque abolito dalla successiva legislazione in materia ambientale D.lgs. 152/2006 . 3. Su tale ultimo aspetto - che riguarda una ratio decidendi comunque esposta ad abundantiam ed in via ipotetico-residuale dalla corte meneghina - si appunta il terzo profilo di doglianza di parte ricorrente, che lamenta una pretesa erroneità della relativa statuizione, sulla scorta di una sentenza di questa Corte resa in sede penale Cass. n. 1783 del 2000 . 3.1 Al di là della sua evidente inammissibilità riferendosi la doglianza ad una ratio decidendi comunque autonoma ed ulteriore rispetto a quella che ha condotto al rigetto dell'appello, onde il suo eventuale accoglimento non avrebbe alcun positivo effetto sulle sorti dell'odierno ricorso , essa appare anche infondata nel merito, poiché nella vicenda in esame non si sarebbe, in ipotesi, realizzato alcun nuovo evento di danno, bensì un nuovo intervento normativo rispetto ad una fattispecie già verificatasi e conclusasi nel XXXX, rispetto alla quale già una sentenza penale passata in giudicato aveva valutato e sanzionato i fatti - onde l'impossibilità di un nuovo giudizio ai fini dell'applicazione di una sanzione penale - mentre l'area di applicazione della norma incriminatrice il più volte citato art. 51 bis del D.lgs del 1997 si estendeva all'inquinamento o al pericolo di inquinamento cagionato dopo l'entrata in vigore della norma stessa, con conseguente inapplicabilità per voce della stessa cassazione penale poc'anzi citata ad episodi di inquinamento antecedenti a tale data. Il ricorso va pertanto rigettato. La disciplina delle spese segue - giusta il principio della soccombenza - come da dispositivo. P.Q.M. La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 6500, di cui Euro 200 per spese.