Attiva promozioni tariffarie non dovute: licenziamento legittimo anche se il danno economico è modesto

Sussiste giusta causa di licenziamento ogni volta in cui il lavoratore mette in atto comportamenti che per la loro gravità, valutati nel contesto del fatto concreto, siano tali da scuotere la fiducia del datore di lavoro in modo irreparabile e tale da far ritenere pregiudizievole la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro. E ciò anche quando il pregiudizio economico subito dal datore di lavoro sia assente o di modesta entità.

Lo afferma la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza numero 6354, pubblicata il 13 marzo 2013. Il caso lavoratore con mansioni di operatore telefonico licenziato per giusta causa per aver attivato indebitamente tariffe telefoniche agevolate. Una nota società di gestione telefonica licenziava per giusta causa un proprio dipendente, assunto con mansioni di operatore telefonico, a seguito di contestazione disciplinare per aver attivato indebitamente promozioni commerciali tariffarie non spettanti, su trenta schede di utenza telefonica, tutte riconducibili al lavoratore medesimo. Questi adiva il Tribunale impugnando il licenziamento. Il primo giudice respingeva la domanda. Proposto appello da parte del lavoratore, la Corte d’Appello, in accoglimento del proposto gravame, riformava la sentenza di primo grado, dichiarando illegittimo il licenziamento, con le conseguenze economiche e di tutela reale a ciò conseguenti. Ricorreva in Cassazione l’azienda per la riforma della sentenza d’appello. Il giudice di merito deve valutare l’adeguatezza della sanzione. Il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione irrogata costituisce un’attività di valutazione della gravità dell’inadempimento commesso dal lavoratore, riservata al giudice di merito attività non rinnovabile in sede di legittimità, ma censurabile in tale ambito unicamente in presenza di un vizio di omessa, illogica o insufficiente motivazione. La sentenza impugnata in Cassazione è apparsa insufficientemente motivata là dove ha omesso di valutare se i fatti contestati al lavoratore, risultati provati in giudizio, costituissero violazioni di disposizioni aziendali che il lavoratore aveva colpevolmente disatteso, ledendo il vincolo fiduciario correlato al rapporto di lavoro. Il fatto addebitato deve essere valutato nel contesto concreto in cui si è verificato Ai fini di una corretta valutazione della proporzionalità della sanzione irrogata, occorre esaminare la condotta colpevole del lavoratore inserita nell’ambito delle situazioni concrete in cui si è svolta. La valutazione del comportamento censurato deve tendere ad accertare se questo è stato di gravità tale da scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere pregiudizievole per l’azienda la prosecuzione anche solo temporanea del rapporto. E dunque anche una condotta compiuta al di fuori della prestazione lavorativa può essere idonea a incidere sull’elemento fiduciario, ove, valutata nelle sue modalità concrete di esplicazione, vada ad arrecare un pregiudizio, non necessariamente di carattere economico, agli scopi aziendali. Comportamenti estranei all’esecuzione della prestazione lavorativa, affermano i giudici di legittimità, possono costituire giusta causa di licenziamento, allorché siano di natura tale da far ritenere il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto lavorativo. e nessuna rilevanza assume l’assenza o modestia del danno economico. Ai fini di una corretta valutazione della proporzionalità della sanzione irrogata non assume alcun rilievo l’aspetto economico del danno eventualmente subito dal datore di lavoro. La Corte di merito aveva evidenziato la tenuità del danno economico subito dal datore di lavoro in conseguenza dei fatti addebitati e anche sulla base di tale considerazione aveva ritenuto sproporzionata e illegittima la sanzione espulsiva. E’ principio costante della giurisprudenza della Corte di legittimità l’irrilevanza di tale elemento. Che i comportamenti addebitati al lavoratore abbiano generato o meno un danno economico al datore di lavoro è circostanza assolutamente irrilevante ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento viceversa rileva unicamente il fatto che tali condotte abbiano inciso negativamente sul vincolo fiduciario, indipendentemente dal concreto verificarsi di un danno economico e dalla sua entità. La Corte d’Appello non ha correttamente applicato i principi di diritto enunciati, e dunque la sentenza impugnata appare lacunosa e non correttamente motivata. Con conseguente accoglimento del ricorso proposto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 febbraio - 13 marzo 2013, numero 6354 Presidente De Renzis – Relatore Blasutto Svolgimento del processo Con ricorso al Giudice del lavoro di Napoli, M.R. impugnava il licenziamento intimatogli dalla soc. Vodafone Omnitel il 18 luglio 2006 a seguito della contestazione di avere indebitamente attivato promozioni commerciali su schede di utenze telefoniche riconducibili al medesimo ricorrente, in quanto in nessuna delle utenze telefoniche sulle quali erano state attivate le promozioni erano presenti le condizioni necessarie per l'accesso a detti benefici. Il giudice adito rigettava la domanda ritenendo che la reiterazione dei fatti di indebito arricchimento contestati al ricorrente e l'elevato numero delle promozioni costituissero elementi atti a giustificare la sanzione espulsiva. Su gravame proposto dal M. , la Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 1 giugno 2009, riformava la pronuncia di primo grado e dichiarava l'illegittimità del licenziamento, con ogni conseguenza di ordine economico e reintegra del M. nel posto di lavoro, ravvisando nella fattispecie la mancanza di proporzionalità della sanzione rispetto ai fatti commessi. Tanto riteneva sulla base delle seguenti considerazioni i fatti non avevano arrecato all'azienda un danno apprezzabile, essendo questo identificabile nel risparmio che il M. poté ottenere sui costi delle telefonate rientranti nei piani tariffari oggetto di promozione la condotta contestata esulava dal contenuto tipico delle mansioni di operatore telefonico cui il M. era adibito e riguardava fatti di natura occasionale il M. aveva manifestato resipiscenza per gli errori commessi. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la soc. Vodafone Omnitel sulla base di sette motivi, pure illustrati con memoria ex articolo 378 cod. proc. civ Resiste con controricorso M.R. . Motivi della decisione Con il primo motivo, denunciandosi violazione e falsa applicazione degli articolo 99 e 112 cod. proc. civ., nonché degli articolo 434 e 437 cod. proc. civ., in relazione all'articolo 360 cod. proc. civ., numero 3, si deduce violazione del principio della domanda e vizio di ultrapetizione, nonché violazione del divieto di nova in appello, per avere il M. sollevato solo in sede di gravame la questione della mancata previsione della condotta contestata nel codice disciplinare. Il motivo involge l'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l'addebito in esame non rientra in nessuna delle ipotesi che a titolo indicativo sono menzionate nell'articolo 48 del summenzionato c.c.numero l. per il licenziamento con o senza preavviso . Con il secondo motivo, il terzo e il quarto motivo si censura la sentenza per vizio di motivazione articolo 360 cod. proc. civ., numero 5 incentrato sugli argomenti utilizzati dal giudice di merito a sostegno della ritenuta non proporzionalità della sanzione espulsiva era stato dato preminente rilievo alla qualità di dipendente, mentre il M. si era assegnato promozioni rispetto alle quali non avrebbe avuto diritto neppure come cliente, da cui il vizio logico di avere deciso in relazione ad un fatto diverso da quello contestato incongruo era il riferimento alla occasionante dei fatti addebitati, essendosi trattato di ben trenta promozioni attivate su cinque diverse utenze telefoniche la asserita mancanza di volontà del dipendente di venir meno ai propri doveri fondamentali era contraddetta dal tenore delle giustificazioni rese dall'incolpato, da cui ben risultava la consapevolezza di avere commesso le infrazioni contestate. Con il quinto motivo si censura la sentenza per omessa motivazione sulla circostanza della recidiva, che si assume essere stata specificamente contestata. Il sesto motivo, denunciando violazione di legge in relazione all'articolo 2119 cod. civ. articolo 360 cod. proc. civ., numero 3 , censura la sentenza laddove questa aveva dato rilevanza, al fine di escludere la proporzionalità della sanzione espulsiva, all'assenza di un danno rilevante per l'azienda, omettendo di considerare che, secondo costante giurisprudenza, la presenza o la rilevanza del danno patrimoniale non è elemento costitutivo né requisito di ricorrenza della giusta causa di recesso. Con il settimo ed ultimo motivo, denunciandosi error in iudicando, si chiede a questa Corte di affermare che la pubblicità del codice disciplinare, nonché dell'inclusione in esso della specifica mancanza, non sia condizione per l'esercizio del potere di recesso ex articolo 2119 cod. civ. qualora il fatto addebitato sia riconducibile alla generale fattispecie di giusta causa di licenziamento. Va premesso che il primo e il settimo motivo sono inammissibili in quanto il primo è privo di decisività e il secondo difetta di specificità rispetto alla motivazione della sentenza di appello, da cui risulta che la questione della mancata pubblicità del divieto posto a base della contestazione disciplinare doveva restare assorbita nell'accoglimento della domanda di impugnativa del licenziamento per altra ragione e precisamente per difetto di proporzionalità della sanzione questa Corte ritiene, in ogni caso, che la questione rimane assorbita dall'accoglimento dell'ultimo motivo di censura che finisce, cosi, per essere dirimente . , pag. 3 sent. imp. . Ha così implicitamente affermato che, anche se la condotta fosse stata contemplata nel codice disciplinare e questo fosse stato affisso circostanza sulla quale non si era svolto alcun accertamento in giudizio , nondimeno sarebbe stato necessario verificare la proporzionalità della sanzione al fatto ascritto e tale proporzionalità era da escludersi nella specie per tutte le ragioni illustrate. I motivi di censura non investono dunque la fondamentale ratio decidendi della sentenza impugnata. Vanno invece esaminati congiuntamente il secondo, il terzo, il quarto e il sesto motivo, i quali sono fondati nei termini che seguono. Il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso - istituzionalmente rimesso al giudice di merito - si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, secondo un apprezzamento di fatto che non è rinnovabile in sede di legittimità, bensì censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione cfr. altresì sul punto, ex plurimis, Cass. 6823/2004, Cass. 5013/2004, Cass. 4061/2004, Cass. 1144/2000, Cass. 13299/99, Cass. 6216/98 . Ciò premesso, il Collegio rileva che esistono nella sentenza impugnata alcuni dei vizi logici che parte ricorrente addebita al giudice di merito nel compimento del suo insindacabile giudizio sulla proporzionalità della sanzione ai fatti ascritti. Con la prima censura si rileva che il M. non aveva alcun diritto alle promozioni a prescindere dalla sua qualità di dipendente, non avendo mai inserito a sistema cosa che avrebbe dovuto fare per qualsiasi attivazione effettuata per un normale cliente una causale che potesse giustificare la concessione del beneficio egli quindi non aveva diritto neppure come cliente alle agevolazioni de quibus. La censura lascia intendere che il M. , agendo quale operatore telefonico, aveva violato talune disposizioni aziendali in tema di agevolazioni telefoniche. La sentenza impugnata è lacunosa laddove omette di esaminare se i fatti contestati, che risultano ammessi nella loro materialità, siano riconducibili - ed in caso positivo con quale livello di gravità - alla violazione di disposizioni, regole o discipline aziendali che il lavoratore era tenuto ad applicare direttamente o anche solo a conoscere ed osservare a motivo della sua posizione lavorativa e rispetto alle quali la datrice di lavoro assume essere stato leso irreparabilmente il vincolo fiduciario sotteso al rapporto. In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza v., in tal senso, tra le più recenti, Cass. 17514 del 2010 . In tale contesto, può assumere rilievo disciplinare anche una condotta che, seppure compiuta al di fuori della prestazione lavorativa, sia idonea, per le modalità concrete con cui essa si manifesta, ad arrecare un pregiudizio, non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali. È fondata anche la seconda censura, vertente sulla incongruità della motivazione per avere qualificato come occasionali le trenta promozioni attivate dal M. su cinque diverse utenze telefoniche. La Corte di merito, nell'affermare che si era in presenza di un evento occasionale esterno al normale rapporto fiduciario , ha inteso rimarcare che l'infrazione non atteneva al contenuto tipico della prestazione richiesta al dipendente quale operatore telefonico interpretazione della sentenza che si desume anche da altri passaggi della motivazione in tale contesto l'aggettivo occasionale è riferito non tanto alla sua accezione di sporadico , quanto in quella di causa occasionale , che fornisce l'occasione . Tuttavia, pur così inteso il concetto di occasione nel contesto della sentenza, non per questo potrebbe escludersi la rilevanza disciplinare di un fatto che, seppure non direttamente inerente al contenuto della prestazione professionale, abbia trovato in questa il pretesto per manifestarsi, sempreché sussista l'idoneità di tale fatto ad incidere sul vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro. Più volte questa Corte ha affermato che anche comportamenti estranei all'esecuzione della prestazione lavorativa possono costituire giusta causa di licenziamento allorché siano di natura tale da far ritenere il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto lavorativo. Il venir meno dell'elemento fiduciario va operata dal giudice non con riguardo al fatto astrattamente considerato, bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura e qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto stesso, affinché sia resa possibile la verifica da parte dello stesso giudice della congruità della sanzione espulsiva, per l'insufficienza di qualunque altra a tutelare l'interesse del datore di lavoro. Ove poi si consideri il concetto di occasionalità secondo l'accezione indicata da parte ricorrente, comunque la motivazione sarebbe logicamente viziata per avere omesso di chiarire le ragioni per le quali aveva ritenuto sporadica una condotta reiterata più volte. In senso riduttivo sulla proporzionalità della sanzione, non può attribuirsi rilievo alcuno all'assenza o alla modestia del danno economico in tema di licenziamento per giusta causa - secondo costante giurisprudenza di legittimità - è irrilevante che i comportamenti addebitati al lavoratore abbiano o meno comportato un danno per il datore di lavoro, essendo invece rilevante solo l'idoneità dei suddetti comportamenti ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario, indipendentemente dal concreto verificarsi di un danno e dall'entità di esso. Il quinto motivo, vertente sulla recidiva, difetta di autosufficienza in assenza di una descrizione della vicenda processuale che consenta di far comprendere se e in quale modo la questione della recidiva fosse stata introdotta in giudizio dalla parte convenuta. Il ricorso va dunque accolto per quanto di ragione, dovendosi cassare la sentenza per un riesame dei fatti e un nuovo giudizio di merito immune dai vizi sopra indicati. Viene rimessa al giudice di merito anche la pronuncia sulle spese relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.