Per il giudice penale nemmeno l’assoluzione è evidente, non resta che rinviare ogni accertamento al giudice civile.
Il caso. Un presunto accordo fra il patròn di Unipol s.p.a. – Giovanni Consorte - e quello della fondazione M.P.S. – Federico Mussari -, ai danni degli azionisti. La banca avrebbe acquisito una corposa quota azionaria dell’impresa di assicurazione ad un valore artificiosamente maggiore a quello di mercato, a seguito di una serie di manovre speculative realizzate dal management di Unipol. Galeotto fu un fax, prova cardine del costrutto istruttorio, in cui i due presidenti avrebbero fissato il valore della singola quota sotto alla quale M.P.S. non avrebbe mai acquisito quel pacchetto di azioni privilegiate messe in vendita dalla FINSOE s.p.a., controllante di Unipol s.p.a., interessata a reperire la liquidità necessaria per un aumento di capitale su Unipol. La Corte d’appello aveva accertato la decorsa prescrizione per l’aggiotaggio a carico di un concorrente materiale dell’illecito, aveva tuttavia riconosciuto il risarcimento del danno a favore della Consob, ente di vigilanza nel mercato borsistico. La Cassazione, quinta sezione penale, numero 9369/2014, dep. il 26 febbraio, censura l’illogicità del tessuto motivazionale ed annulla la sentenza anche per il disposto risarcitorio, rinviando al giudice civile. L’aggiotaggio. Un reato a pericolo concreto. Le fattispecie – ai sensi degli articolo 2637 c.c. e 185 del d. lgs. numero 58 del 1998 – riguardano condotte dirette, in quanto concretamente lesive degli equilibri dei mercati finanziari, a determinare una sensibile variazione del prezzo degli strumenti negoziati, a prescindere dalla valutazione ex post sulla reale incidenza delle condotte manipolatorie sui suddetti valori finanziari. Il reato richiede la verifica dell’idoneità dell’aggiotaggio manipolativo ad influenzare il mercato. Nel caso di condotta commissiva, lo studio consulenziale delegato dal giudice mira a verificare la probabile relazione causale fra comportamento delittuoso e variazione dei prezzi. La condotta punibile nell’aggiotaggio, basta poco per concorrere. Il tassello causale può essere minimo, il concorso morale o materiale può concernere anche parte della condotta – unitaria - la fase dell’ideazione, dell’organizzazione o dell’esecuzione. Non occorre la coscienza della reciprocità del contributo causale né, tantomeno, un previo accordo. Nemmeno occorre individuare una concreta incidenza causale diretta, basta l’agevolazione dell’altrui proposito criminoso. La prova deve essere tuttavia rigorosa e solidi debbono essere i sostegni istruttori e motivazionali licenziati dal giudice a fondamento dell’accertamento della responsabilità, nonostante l’atipicità del contributo causale ex articolo 110 c.p. Nel caso in questione, nullo era stato il contributo causale dell’imputato, in quanto intercorso a manovra speculativa già da altri realizzata e con modalità inidonee a variare i prezzi degli strumenti finanziari negoziati – nel c.d. mercato dei blocchi -. Il giudice della condanna deve anche valutare la credibilità della ricostruzione alternativa degli eventi. Quando «oltre ogni ragionevole dubbio» comminata, la condanna deve resistere a qualsiasi altra ricostruzione alternativa dei fatti di reato che contenga note di plausibilità logica e probatoria. La Cassazione finisce per mitigare l’orientamento giurisprudenziale che esime il giudice dal sindacato sulle prospettazioni alternative dei fatti, quando la ricostruzione giudiziale appare già fondata e logicamente supportata. La Cassazione pare aggiungere il requisito della unicità della narrazione giudiziale sui fatti, in quanto tale in grado di resistere alle ambiguità di letture alternative e di travolgere l’enfasi dimostrativa della tesi avanzata dalla difesa.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 novembre 2013 – 26 febbraio 2014, numero 9369 Presidente Marasca – Relatore Vessichelli Fatto e diritto Propone ricorso per cassazione T.E. avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano in data 20 ottobre 2011 con la quale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, è stata dichiarata la prescrizione del reato di concorso in aggiotaggio ed è stata altresì confermata, agli effetti civili ed ai sensi dell'articolo 578 cpp, la condanna inflitta in primo grado, al risarcimento del danno in favore della parte civile Consob. All'imputato, era stato contestato di avere, nella qualità di direttore generale della fondazione M.P.S. agito in accordo con C.C. , condirettore generale di Unipol S.p.A., nella determinazione di quest'ultimo di compiere - attraverso il direttore finanziario di Unipol, D. , e il rappresentante della SIM incaricata, G. - manovre speculative sul titolo Unipol privilegiate manovre realizzate acquistando consistenti pacchetti della detta azione in modo da provocare, nel giro di 10 sedute borsistiche, il rialzo del prezzo del titolo da Euro 1,66 a Euro 1,78 manovre che si erano rese necessarie affinché M.P.S. aderisse all'offerta di vendita di un pacchetto di 4.500.000 azioni Unipol privilegiate, avanzata da altra società del gruppo Unipol. Una offerta formulata ad un prezzo pari a Euro 1,76 superiore al valore di mercato del momento e che poteva essere accolta da MPS a condizione che quel prezzo divenisse, invece, prossimo al valore di mercato, per tale motivo artificiosamente gonfiato. Il reato di aggiotaggio, ipotizzato come commesso nel 2003, era stato contestato nella configurazione che, all'epoca, era prevista dall'articolo 2637 c.c., nel testo introdotto con decreto legislativo in data 11 aprile 2002, numero 61, secondo cui Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, quotati o non quotati, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni . Ai fini del chiarimento sulla continuità normativa, va detto subito che tale ipotesi di reato, per quanto concerne gli strumenti finanziari quotati, rimane, oggi, regolato dall'articolo 185 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria introdotto con decreto legislativo 24 febbraio 1998 numero 58 , come novellato per effetto della legge numero 62 del 18 aprile 2005 che, con l'articolo 9 comma 2, ha determinato la sostituzione dell'intero capo IV della parte V titolo I di quel decreto, con il titolo 1 bis, denominato abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato . In questo, l'articolo 185, appunto, con la rubrica manipolazione del mercato disciplina e punisce la condotta di cui sopra, da intendersi riferita a strumenti quotati, essendo, la condotta relativa a strumenti non quotati rimasta regolata dal vigente articolo 2637 cc. Ebbene, il giudice dell'appello ha ripercorso e condiviso integralmente la ricostruzione della vicenda come effettuata dal giudice di primo grado. In sostanza risulta accertato e non contestato, perché riportato anche nel ricorso in esame, che la Fondazione Montepaschi Siena aveva ricevuto, in data 27 febbraio 2003, un'offerta di vendita di 4.500.00 azioni privilegiate Unipol, dalla Finsoe spa, società controllante della stessa Unipol, al prezzo unitario di Euro 1,76, mentre il valore di mercato si attestava, in quel periodo, al prezzo di Euro 1,69. Si erano poi registrate, a partire dalla seduta di borsa del 19 marzo 2003, attività pacificamente manipolative dello strumento finanziario in questione, ad opera del direttore finanziario di Unipol S.p.A., D. , e di G.D. , trader per conto della società di intermediazione finanziaria COFIRI, successivamente uscito di scena con un patteggiamento attività che essendo consistite nel ripetuto acquisto in nome e per conto di Meie Aurora spa, società interamente controllata da Unipol , nel corso di successive nove sedute, sino cioè al 31 marzo 2003, di ingenti pacchetti delle azioni privilegiate Unipol, aveva determinato l'artificioso gonfiamento del relativo prezzo fino al momento in cui, spinte le azioni ad accrescere del 7% il loro valore, era stata perfezionata la vendita del pacchetto di 4.500.000 azioni, il 31 marzo 2003, da Finsoe alla fondazione MPS, per il tramite di rispettivi intermediari finanziari. Per quest'ultima, la disposizione di acquisto era stata data dall'imputato. Dal lato di Finsoe, l'operazione così condotta aveva consentito l'acquisizione di un maggiore introito di oltre Euro 500.000 di cui la società necessitava per fare fronte all'ipotesi, già avviata, di un aumento di capitale sociale, volto supportare programmi di investimento della società. La tesi accreditata in sentenza, avvalorata anche dal contenuto di conversazioni telefoniche, è quella secondo cui tutte le operazioni di investimento in azioni Unipol privilegiate, per conto di Meie Aurora del gruppo Unipol, erano finalizzate a far rialzare artificiosamente il prezzo del titolo fino a raggiungere un valore di mercato che apparisse temporaneamente stabilizzato e tale che, l'acquisto, a quel valore gonfiato, delle azioni, da parte di MPS, risultasse apparentemente rispettoso del principio gestionale del buon padre di famiglia. Come tale non soggetto ad osservazioni da parte degli enti di controllo. In altri termini, secondo i giudici, attraverso condotte di per sé lecite, si era tuttavia realizzato un comportamento capace di alterare il regolare funzionamento del mercato finanziario. Il nucleo del ragionamento del giudice dell'appello, per confermare la responsabilità dell'imputato, è che l'origine e il motivo della iniziativa manipolativa, materialmente realizzata da D. , doveva rintracciarsi nel fax del 27 febbraio 2003 con il quale Co.Gi. aveva proposto l'operazione per conto di Unipol, facendo riferimento anche a previ accordi con l'interlocutore fondazione M. P.S. la prova, cioè di un accordo con finalità illecite, tra i vertici di Unipol e Fondazione M.P.S. Quanto a T. , sia il giudice di primo grado come ricordato a pagina 15 della sentenza che lo stesso giudice dell'appello pagina 20 della sentenza hanno affermato che, avendo egli impartito l'ordine di acquisto delle azioni solo nel momento in cui queste avevano raggiunto il valore unitario di Euro 1,76, aveva dato un contributo causale alla realizzazione del fatto criminoso, consentendo il raggiungimento dello scopo dell'intera operazione . Si aggiunge peraltro anche, nella sentenza impugnata, citando ancora quella del primo giudice, che il fax del 27 febbraio 2003, le telefonate inequivoche tra G. e D. nonché l'acquisto di azioni da parte di M.P.S nel momento in cui il prezzo raggiunge il livello indicato dal fax di Co. , sono circostanze che evidenziano come l'operazione sia stata il risultato di un previo accordo . Osserva ancora la Corte d'appello, a pagina 19, che l'operazione complessivamente considerata è stata il risultato di un previo accordo apicale fra Unipol e la Fondazione M. P.S. perché, altrimenti, sarebbe risultata priva di senso l'operazione, riconducale a T. , dell'acquisto del pacchetto di azioni soltanto nel momento in cui il valore unitario si era, in brevissimo tempo, impennato fino a raggiungere il valore preteso da Co. . Deduce il ricorrente 1 la violazione degli articoli 110 c.p. e 2637 c.c Sostiene che avrebbe dovuto essere assolto se la Corte d'appello avesse portato alle dovute conseguenze i principi di diritto da essa correttamente enunciati in materia di aggiotaggio. Infatti costituiva circostanza pacificamente accertata che, quando il 31 marzo 2003 l'imputato, per conto della fondazione M.P.S., aveva ordinato l'acquisto del pacchetto di 4,5 milioni di azioni Unipol privilegiate, il titolo in questione aveva già subito una sensibile variazione in crescita a causa delle massicce operazioni di acquisto, poste in essere per conto di altra società del gruppo Unipol. Pertanto, posto che la norma penale in contestazione punisce le operazioni simulate idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, il reato, al momento dell'intervento del ricorrente, doveva ritenersi già consumato. Viceversa, la condotta consistita nell'acquisto dei titoli al valore manipolato, potrebbe al massimo essere considerato un post-fatto non punibile perché attiene alla realizzazione di un evento destinato a rimanere una conseguenza solo eventuale della fattispecie. La Corte d'appello aveva dimostrato di condividere l'analisi della struttura del reato e non aveva neppure ricondotto gli acquisti manipolativi all'imputato o al gruppo M.P.S Pertanto era caduta in una vistosa violazione di legge quando aveva giustificato l'affermazione di responsabilità del ricorrente alla luce del contributo causale che egli avrebbe dato al fatto criminoso, con la disposizione di acquisto delle azioni 2 il vizio della motivazione anche riferimento alla conferma delle statuizioni civili. Osservano i difensori che il giudice dell'appello si era limitato a riportare la vicenda come ricostruita nella relazione della Consob in sede ispettiva, peraltro trascurando che in quella stessa relazione i responsabili erano stati individuati esclusivamente in soggetti operanti nell'ambito dell'Unipol. In secondo luogo è mancata del tutto la analisi del fatto, dimostrato nel processo attraverso la produzione della relativa sentenza, che il coimputato C. - colui, cioè che alla stregua dell'imputazione avrebbe dovuto rappresentare l'Unipol nella definizione dell'accordo raggiunto con M. P.S. nella persona di T. - era stato mandato definitivamente assolto per non aver commesso il fatto. Non era più configurabile, per via di tale novità, il concorso morale contestato nell'imputazione. Inoltre non era stato considerato che, come riferito da S. - collaboratore tecnico del ricorrente - l'acquisto delle azioni Unipol era stato ritenuto un fatto positivo per M.P.S., anche al prezzo alfine definito, perché il titolo era destinato ad avere un trend in crescita, in ragione di circostanze esterne che avrebbero influito sul suo valore. In terzo luogo non era stata data risposta alla questione, posta nei motivi d'appello, della violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza, determinata dal fatto che già il giudice di primo grado aveva, nella sua motivazione, espunto la figura ed il concorso del C. , per passare a ritenere determinante un non meglio definito accordo raggiunto a livello apicale tra i gruppi Unipol e Montepaschi. In quarto luogo era stata pretermessa l'analisi del fatto, riferito da T. alla Consob e non contestato, che egli aveva operato, con analisi finanziarie e trattative, per il contenimento del prezzo di acquisto delle azioni, così dimostrando quantomeno un comportamento inconciliabile e incompatibile con quello di concorso nelle iniziative di D. e G. . Comunque era rimasto privo di qualsiasi prova l'assunto che T. avesse in qualsiasi modo contribuito alle manovre di compravendita volte a provocare il rialzo del valore di mercato del titolo Unipol. D'altra parte doveva marcarsi come assolutamente contraddittoria l'affermazione della Corte d'appello secondo cui l'imputato avrebbe potuto acquistare, al più basso prezzo di mercato, il titolo un'affermazione destituita di fondamento sia per la contraria volontà espressa dalla parte venditrice dell'intero blocco di azioni, sia in ragione del fatto che, procedendo al rastrellamento delle azioni sul mercato borsistico ordinario, ci sarebbe imbattuti in costanti quanto inevitabili rialzi del titolo, derivanti proprio dai tentativi di acquisto parcellizzati 3 l'inosservanza dell'articolo 187 undecies T.u.f Il riconoscimento, in favore della parte civile Consob, delle spese sostenute in appello non era stato preceduto dal deposito delle conclusioni e tantomeno della nota. Quanto alla condanna al risarcimento del danno, la difesa sostiene che questo, riconosciuto unicamente in relazione alla lesione del regolare andamento del mercato, dipendeva dalla norma sopra citata che, tuttavia, era entrata in vigore successivamente ai fatti per i quali il processo. Essa, avendo attribuito alla Consob una facoltà di carattere sostanziale del tutto nuova, non poteva essere applicata retroattivamente come già riconosciuto dalla Cassazione con sentenza numero 8588 del 2010. In data 6 maggio 2013, la parte civile Consob ha presentato una memoria. Ha dedotto, quanto al motivo di ricorso sulla inosservanza dell'articolo 2637 c.c., la infondatezza della affermazione della difesa del ricorrente secondo cui il comportamento di questi potrebbe al massimo costituire un post-fatto non punibile. Invero tale nozione sarebbe citata in maniera inappropriata poiché non ricorre l'elemento caratterizzante, rappresentato dal fatto che la condotta dell'imputato dovrebbe comunque essere astrattamente suscettibile di configurare, di per sé, un reato. Ed invece la condotta dell'imputato, per la parte presa in considerazione dalla difesa, non configura certamente un reato, seppure sia innegabile che l'operazione di acquisto ai blocchi, del menzionato pacchetto azionario, fosse legata da un rapporto di mezzo a fine rispetto alla precedente operatività illecita sul titolo Unipol. Ciò nonostante, si ravvisano, nei fatti accertati, gli elementi capaci di integrare il concorso di persone. In altri termini, il comportamento materialmente tenuto dal ricorrente-quello cioè dell'acquisto dei titoli-pur essendo successivo alla consumazione del reato, rappresenta non il reato in sé ma è segno indicatore del fatto che, previamente, quella stessa condotta non poteva non essere stata promessa alla controparte, in modo tale, quindi, da avere rafforzato l'altrui proposito criminoso. Ciò che vale di integrare la prova del concorso di persone nel reato secondo la costante giurisprudenza di legittimità vedi fra le molte rv 210757 rv 210410 rv 187511 . È tale assunto che, secondo la parte civile, da il senso del ragionamento del giudice del merito laddove lo stesso ha fatto espresso riferimento alla prova logica che ha ritenuto raggiunta a proposito del previo accordo sull'intera operazione ai vertici delle due società interessate l'acquisto delle azioni, cioè, non ha rappresentato altro che l'esecuzione dell'accordo intercorso per l'accettazione dell'offerta Unipol esattamente nei termini e nei tempi da questa imposti. In tale prospettiva la difesa di parte civile contesta l'osservazione del ricorrente secondo cui il contributo non può che essere fornito prima della consumazione del reato una osservazione basata sul travisamento della motivazione nella quale non era stato attribuito, all'atto di acquisto delle azioni, il valore di condotta punibile a titolo di concorso nel reato di aggiotaggio. Quanto al dedotto vizio della motivazione resa ai fini civili, nella memoria si osserva che la mancata valutazione della assoluzione di C. non inficia la motivazione stessa. E ciò perché tale evenienza, determinata dalla sentenza della Corte d'appello di Milano del 2010 che ha comunque riconosciuto una implicazione in capo a Co. e T. , non ha comportato una immutazione del fatto, tale da avere leso le prerogative difensive dell'imputato sotto il profilo della violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza. L'imputato è stato infatti, nella sentenza impugnata, ritenuto colpevole di essersi accordato con i vertici Unipol, essendo irrilevante, ai fini del delineato concorso, che tali vertici vadano identificati nella persona di C. o di Co. . La parte civile contesta anche la critica del ricorrente alla motivazione sulla possibilità che egli avrebbe avuto di acquistare il titolo ad un prezzo di mercato più basso. Secondo la parte civile l'imputato non poteva avere interesse all'acquisto del titolo al prezzo elevato raggiunto, ma soltanto ad attendere l'allineamento delle quotazioni sul mercato al prezzo di vendita fissato da Finsoe, in modo da dimostrare l'apparente rispetto del criterio gestionale del buon padre di famiglia già richiamato nel promemoria di S. onde evitare critiche per la violazione delle norme che disciplinano le fondazioni bancarie. È proprio tale necessità rendeva evidente il senso dell'accordo sull'aggiotaggio, nei termini sopra descritti, e cioè, come osservato dal primo giudice, il senso di un accordo a livello apicale, preordinato a determinare un'apparenza di convenienza per MPS che le consentisse l'acquisto ag. 63 sent. primo grado . Aggiunge la difesa che, soltanto quando il prezzo di mercato delle azioni Unipol privilegiate ha raggiunto e superato il prezzo fissato inizialmente da Co. , per la cessione del pacchetto, e la media dei prezzi delle 10 sedute precedenti - elemento di confronto rilevante per la fondazione MPS - risultato pari a Euro 1,73, dunque il 31 marzo 2003, T. ha deciso di impartire l'ordine di acquisto del blocco di azioni Unipol. Questo il significato dell'espressione, utilizzata dalla Corte d'appello, secondo cui l'imputato ha consentito che venisse raggiunto lo scopo dell'azione criminosa. Nella stessa ottica, le iniziative di acquisto poste in essere da D. sono state frazionate nell'arco di 10 sedute borsistiche, nove delle quali precedenti la data in cui è stata effettuata la cessione, per dare attuazione al criterio del buon padre di famiglia secondo cui il prezzo utile deve essere poco lontano dalla media ponderata dei prezzi dei 10 giorni precedenti l'operazione. Ad avviso della parte civile, ulteriore elemento di conferma sarebbe dato dalla telefonata intercorsa il 1 aprile 2003 tra G. e D. , nel corso della quale il primo si preoccupava di sostenere il prezzo del titolo azionario Unipol per non fare la figura da peregrino ossia per non dare ai vertici della MPS la sensazione che il prezzo pagato non fosse quello di mercato. La difesa infine sottolinea che anche nella sentenza della Corte di cassazione in data 23 febbraio 2012, con la quale è stato definito il giudizio a carico di C. , è stato riconosciuto che l'iniziativa di D. era stata decisa da Co. e T. pagina 70 . In ordine alla richiesta di esclusione della parte civile, la difesa fa presente che la questione è coperta dal giudicato interno, non essendo stata posta nei motivi d'appello, pur non essendovi motivi ostativi. D'altro canto sostiene che la stessa questione non può essere decisa di ufficio dalla Cassazione anche perché la sentenza del giudice di legittimità, citata nel ricorso, non può essere considerata fonte di diritto sopravvenuto jus superveniens . Infine la difesa dedica articolate critiche ai principi di diritto formulati nella sentenza della Cassazione numero 8588 del 2010. Chiede anche che sia respinto il motivo di ricorso sulla condanna alle spese, essendo state, le conclusioni, rassegnate dalla parte civile oralmente a verbale ed essendo, le spese, liquidabili sulla base della tariffa forense. Il ricorso è fondato ai soli effetti civili, mentre va respinto per quanto concerne la pronuncia di prescrizione del reato, apprezzandosi vizi nella motivazione del provvedimento impugnato, da emendare nella competente sede civile, ma non tali da integrare il presupposto della evidenza della innocenza dell'imputato, ai sensi dell'articolo 129 cpp. 1. È incontroverso, nella giurisprudenza di questa Corte, così come nelle sentenze di merito e nel ricorso, che il reato di aggiotaggio manipolativo rientri tra i reati di pericolo concreto eventualmente permanenti e che si consumi nel tempo e nel luogo in cui si concretizza, quale conseguenza della condotta, la rilevante possibilità del verificarsi della sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario, a nulla rilevando che l'evento naturalistico non si verifichi Rv. 255525 . Esso cioè si consuma nel momento e nel luogo in cui la condotta assume connotati di concreta lesività, manifestando la sua pericolosità per il normale corso dei titoli cui si riferisce Rv. 254323 . Può dunque ribadirsi che i delitti di aggiotaggio previsti, rispettivamente, dall'articolo 2637 cod. civ. e dall'articolo 185 D.Lgs. numero 58 del 1998, sono reati di mera condotta, per la cui integrazione è sufficiente che siano posti in essere i comportamenti idonei, diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, senza che sia necessario il verificarsi di tale evento Rv. 253754 . 2. Il tema rilevante ai fini della soluzione delle questioni poste dal ricorrente è piuttosto quello di come si atteggi il concorso di persone, ex articolo 110 cp, nel reato di aggiotaggio, dovendo questo venire a manifestarsi come apporto alla condotta tipica, ossia alla attività o al comportamento che siano risultati idonei a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari. Peraltro, posto che il reato concorsuale è previsto dalla legge come reato a struttura unitaria nel quale l'azione tipica è costituita dall'insieme degli atti dei vari compartecipi, ai fini dell'affermazione della responsabilità di un soggetto a titolo di concorso in un delitto doloso viene ritenuto sufficiente che lo stesso abbia apportato un contributo di ordine materiale o psicologico, idoneo, con giudizio di prognosi postuma, alla realizzazione anche di una soltanto delle fasi di ideazione, organizzazione o esecuzione dell'azione posta in essere da altro soggetto, con la coscienza e la volontà di concorrere con costui alla realizzazione della condotta criminosa. È per questo che il concorso pacificamente si realizza anche soltanto con una qualsiasi condotta cosciente e volontaria, diretta a rafforzare l'altrui proposito criminoso. La giurisprudenza, non richiede neppure che il contributo concorsuale debba assumere efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, reputando sufficiente quello che assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è stato ritenuto sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti Rv. 187981 Rv. 229200 conf. Rv. 253347 . Non costituisce un indispensabile requisito, il preventivo accordo criminoso del concorrente con gli altri soggetti, in quanto è sufficiente che lo stesso abbia dato quantomeno un contributo agevolatore che abbia reso più facile la consumazione del reato. Rv. 201244 analogamente Rv. 232853 conformi numero 1025 del 1983 Rv. 157296, numero 8870 del 1984 Rv. 166215, numero 6912 del 1987 Rv. 176075, numero 9482 del 1992 Rv. 191728, numero 9296 del 1995 Rv. 203077, numero 821 del 1996 Rv. 203487, numero 1365 del 1998 Rv. 209689, numero 6489 del 1998 Rv. 210757, numero 1271 del 2004 Rv. 228424 Rv. 243901 Rv. 255260 . Infatti, la giurisprudenza costantemente riconosce che la volontà di concorrere non presuppone nemmeno la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all'opera di un altro che rimane ignaro Rv. 218525 . Tutto ciò premesso a proposito della circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, va sottolineato che le Sezioni unite Sentenza numero 45276 del 30/10/2003 Ud. dep. 24/11/2003 Rv. 226101 hanno messo doverosamente l'accento sul dovere, che il giudice di merito ha, di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, , non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'articolo 110 cod. penumero , con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà. Può quindi riconoscersi, alla stregua della giurisprudenza citata, che il concorso nella condotta di aggiotaggio, materialmente posta in essere da altri, debba essere provato quantomeno con la dimostrazione di un contributo anche soltanto agevolatore all'altrui attività manipolativa, dato anche nella sola forma del rafforzamento dell'altrui proposito, e pur a prescindere dalla prova dell'esistenza di un previo accordo. 3. Non vi è dubbio che la prova di tale concorso possa essere data anche valorizzando l'attività diretta a favorire gli autori del reato posta in essere dopo che questo fu commesso, quando e a condizione che, di questa forma di aiuto, sia stata data preventiva promessa o prospettazione, che abbia rafforzato l'altrui proposito criminoso. Infatti, come ricordato esattamente dalla parte civile nella sua memoria, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, la preventiva promessa di aiutare gli agenti a consolidare il profitto integra già a pieno titolo una condotta rilevante ai sensi dell'articolo 110 cod. penumero in tal senso v. Sez. 1, Sentenza numero 6489 del 28/01/1998 Ud. dep. 03/06/1998 Rv. 210757 . In alternativa, sarebbe idonea la prova di una condotta dell'agente che, al di fuori del concorso morale, si inserisca nella azione materiale tipica del concorrente, anche a prescindere dal previo accordo, apportando, al perfezionamento di essa, un apporto materiale in qualche modo efficiente. 4. Orbene, a tale onere motivazionale, non sembra che la sentenza impugnata abbia dato il dovuto seguito, con argomenti esaustivi e capaci di replicare adeguatamente ai rilievi difensivi. Occorre, invero, qui ripercorrere i passaggi salienti della motivazione della sentenza di 1^ Grado, posto che questa costituisce la base del ragionamento, sostanzialmente del tutto reiterativo e confermativo, del giudice dell'appello. Ebbene, il Gup ha abbracciato la tesi del previo accordo che sarebbe stato raggiunto da T. con i vertici di Unipol per la operazione manipolativa in esame. Le prove valorizzate nella motivazione in questione sono rappresentate in primo luogo dal fax del 27 febbraio 2003, contenente la proposta di Unipol, con la precisazione che è stato inviato da Co. - presidente di Unipol - a M. - presidente della fondazione M.P.S. una proposta di cessione del pacchetto di 4.500.000 azioni Unipol privilegiate ad un prezzo di Euro 1,76 che era il prezzo, non comprimibile, di iscrizione a bilancio. Il Gup ha mostrato di attribuire al fax importanza nevralgica p. 52 perché conteneva la menzione di precedenti accordi intercorsi un accordo v. anche p. 60 , che perciò, egli dice raggiunto a livello apicale, v. anche p. 64 con la indicazione di quello che doveva essere il risultato economico finale da raggiungere, e che il T. avrebbe posto in esecuzione p. 64 65 . Il Gup ha aggiunto anche che T. è stato investito da M. quale direttore generale della Fondazione che costui a sua volta ha dato incarico di istruttoria a S. che l'operazione è sempre stata giudicata comunque conveniente sotto tutti i profili per la validità del titolo, mentre il prezzo Euro 1,76 era stato considerato vedi parere S. elevato non in senso assoluto ma solo perché distante dal valore di mercato Euro l,69 p. 53 una situazione che rendeva critica l'adesione di MPS alla proposta di Unipol perché la prima è una Fondazione che non può perseguire scopi di lucro e deve improntare le proprie scelte strategiche alla cosiddetta diligenza del buon padre di famiglia p. 61 . Si è rilevato anche, da parte del Gup, che S. monitorava costantemente l'andamento del prezzo del titolo e teneva costantemente informato T. p. 61 . Dopo una serie di sedute borsistiche che avevano fatto registrare il rialzo del prezzo del titolo fino al livello di Euro 1,76, T. aveva impartito l'ordine di acquistare sul cosiddetto mercato dei blocchi ossia sul mercato riservato nel quale si trattano pacchetti rilevanti senza produrre contraccolpi sulla negoziazione degli altri titoli, realizzata nel mercato ufficiale. In tal modo, aveva consentito a Unipol di concludere positivamente le trattative alle condizioni da essa poste, lucrando un vantaggio economico di oltre 400.000 Euro, dovuto all'artificioso gonfiamento del prezzo per azione, vantaggio che doveva essere speso nella operazione di aumento del capitale previsto per marzo 2003 p. 60 . Il giudice di primo grado ha argomentato poi le ragioni - da nessuno, invero, poste in discussione - circa la idoneità manipolativa del mercato da riconoscere alle iniziative poste in essere da Unipol per il tramite di D. e G. iniziative consistite nell'acquistare ingenti pacchetti delle azioni Unipol privilegiate, in un arco di tempo assai ristretto, al fine di determinare il rialzo del prezzo, addirittura nel contesto di un mercato negativo p. 55 per poi cessare il giorno seguente a quello in cui si era perfezionata l'operazione di cessione dell'ingente pacchetto azionario di Unipol in favore di MPS. A p. 58, il giudice aveva osservato che, non essendo pensabile che D. avesse agito autonomamente, potrebbe essere stato C. ad impartirgli l'ordine del massiccio acquisto dei titoli con finalità manipolative del relativo prezzo. Ha rilevato anche che l'acquisto disposto da T. alla data del 31 marzo rispondeva anche alla logica di far sì che il valore finale di Euro 1,76 per azione, risultasse il prezzo medio ponderato di un numero significativo di sedute borsistiche. L'attesa e il monitoraggio di T. , dopo aver ricevuto la proposta, erano il sintomo dell'accordo già concluso, senza il quale non avrebbero avuto senso le operazioni poste in essere da Unipol per provocare il rialzo del prezzo del titolo. In tale ottica, ha qualificato, il Gup, la posizione di T. come quella di chi ha consapevolezza della manovra di Unipol, perché veniva aggiornato da S. e perché lo avrebbe ammesso egli stesso dinanzi alla Consob p. 64 inoltre perché, altrimenti, avrebbe acquistato quando il titolo costava meno p. 64 . Il Gup aveva anche negato qualsiasi dignità probatoria all'argomento della difesa sulla effettività della trattativa per il ribasso del prezzo di offerta tra S. mai indagato e C. p. 63 . Quindi, riepilogando,nell'argomentare del giudice di primo grado, la esistenza di un previo accordo doveva desumersi p 63 da tre elementi il fax, la tempistica dell'acquisto e la conversazione D. - G. del 1 aprile. 5J motivi di appello che qui vale la pena rievocare brevemente perché è rispetto ad essi che si è apprezzato il vizio di motivazione, sono stati volti a confutare ad uno ad uno i tre punti cardine della motivazione della sentenza di primo grado. In via preliminare era stato, invero, denunciato essere un errore di diritto quello di ritenere che l'acquisto, da parte di T. , delle azioni a prezzo già manipolato potesse essere considerato un comportamento rilevante a titolo di concorso nel reato di aggiotaggio. Passando ai tre elementi probatori valorizzati dal GUP, si era poi sostenuta 1 l'inesistenza di qualsivoglia trattativa o accordo diretto a realizzare l'aumento del prezzo dei titoli Unipol. Non vi era prova storica al riguardo mentre il giudice aveva espresso solo un punto di vista personale. I contatti c'erano stati, infatti, solo fra C. e S. ed erano pacificamente volti a tentare di ridurre il prezzo di acquisto. Il fax non era diretto a T. ma era oggetto di una interlocuzione fra soggetti Co. e M. mai implicati concretamente nel processo, sicché il contenuto del fax, pure riferito a precedenti accordi, non poteva essere ritenuto dimostrativo di accordi illeciti ma solo di accordi per l'invio del fax contenente la proposta, come del resto ammesso da M. che aveva parlato di un colloquio con Co. v. anche p. 10 della memoria presentata in appello dall'avv. Fontana . Era poi risultato che non vi era nessun accordo ma che la proposta era stata demandata agli uffici competenti da M. a T. e da T. a S. per la valutazione 2 che le conversazioni intercettate non contenevano nessuna allusione all'imputato. 3 che la tempistica dell'acquisto era stata determinata in primo luogo dai termini dell'offerta destinata a scadere alla fine di marzo in secondo luogo il Dott. S. aveva espresso parere favorevole all'acquisto, col solo invito a tentare di contrattare il prezzo non era stata pertanto posta, da MPS, alcuna condizione all'acquisto, diversamente da quanto contestato nel capo d'imputazione non era stata neppure espressa una posizione precisa essendosi, MPS, riservata di valutare l'offerta e questa si presentava oggettivamente favorevole, anche al prezzo richiesto, perché il titolo Unipol si prospettava con performance di rilievo p. 8 e la fondazione perseguiva obiettivi di rendimento a medio e lungo termine, in quanto investitore istituzionale. In tale prospettiva andava letta l'iniziativa di stabilire un contatto con C. per ottenere un ribasso del prezzo fino al valore di mercato Euro 1,70 e, alla risposta negativa, la trattativa era stata interrotta. Nel frattempo tuttavia era continuato il doveroso monitoraggio perché il titolo interessava e perché l'offerta restava valida, al prezzo di Euro 1,76, fino alla fine del mese di marzo. Prima di quella data non sarebbe stato possibile comprare il blocco di 4500000 azioni ad un prezzo inferiore e non perché ci fosse un accordo al rialzo ma perché l'offerta non veniva modificata. In conclusione, la tesi difensiva che si chiedeva di analizzare era quella secondo cui l'acquisto era l'adesione all'offerta di Unipol, già valutata come positiva, e non l'esecuzione di un accordo illecito, tant'è che la Consob non aveva denunciato T. e nessuno dei dirigenti della MPS, v. p. 7 memoria avv. Fontana all'autorità giudiziaria. 6. Nella memoria difensiva presentata al giudice dell'appello dall'avvocato Fontana, i temi suddetti erano stati ripresi ed ampliati segnalandosi in più - che il capo di imputazione aveva prospettato il concorso fra l'imputato e C. , per conto di Unipol invece nella motivazione, quell'accordo era scomparso così come il concorso morale del ricorrente che, ancora nel capo d'imputazione, era stato precisato in relazione alla condizione, che T. avrebbe posto a Unipol, affinché il prezzo proposto per la vendita fosse molto prossimo al valore di mercato del titolo. Una immutazione della contestazione che aveva innescato il difetto di correlazione fra accusa e sentenza. - il comportamento contestato all'imputato, consistito nella sola disposizione dell'acquisto dei titoli, era stato tenuto, al più, nella consapevolezza della manovra manipolativa ed era privo di efficacia causale rispetto al già consumato reato di aggiotaggio - il fax non poteva essere dimostrativo di un accordo quantomeno perché chi lo aveva spedito Co. e chi lo ha ricevuto M. non erano soggetti ritenuti, dagli inquirenti, protagonisti dell'accordo apicale di cui parla il giudice e non erano stati iscritti nel registro degli indagati v. anche p. 18 - la iniziale difficoltà di incontrarsi sul prezzo della compravendita delle azioni aveva comportato una situazione di stallo , sottolineata anche dalla Consob nella relazione a pagina 74 p. 11 , per contrastare la quale era possibile che Unipol, unilateralmente, avesse innestato manovre manipolative atte ad incrementare il valore del titolo e ad abbattere le perplessità della fondazione p. 19 . Rispetto a tali manovre il T. sarebbe rimasto in posizione di chi subiva p. 19 e comunque non agiva con il dolo del concorso ossia con la volontà di operare in comune con gli autori della manipolazione - la telefonata del 1 aprile 2003 tra D. e G. , valorizzata come elemento a carico per definire la configurazione dell'accordo, in realtà attestava una inversione di rotta nella strategia degli ordini di investimento impartiti al G. , avendo D. affermato di avere beccato la romba ossia raggiunto lo scopo e, replicando il primo, che non si poteva fare figura da pellegrino abbandonando improvvisamente il sostegno al titolo con ulteriori acquisti del medesimo p. 13-14 - l'ordine di acquisto non era stato il frutto di un previo accordo a livello apicale ed anzi era stato formulato quando la media ponderata per il periodo significativo era ancora sensibilmente inferiore al livello del prezzo richiesto da Unipol p. 15 - la consapevolezza della manovra da parte di T. , così come riconosciuto dal giudice nella sentenza, non dimostrava ancora un attivo contributo materiale o morale alla realizzazione dell'aggiotaggio comunque non vi sarebbe prova neppure di quella consapevolezza come è possibile dedurre dal fatto che S. aveva dichiarato, essendo creduto del giudice, di non avere avuto accesso alle informazioni sull'identità di chi stesse contribuendo al rialzo del titolo e che T. effettuava il monitoraggio sulla base delle comunicazioni di S. . Viceversa non risponde al vero che T. , nel corso dell'audizione dinanzi alla Consob, il 3 aprile 2004, avesse dichiarato di essere a conoscenza della manovra manipolativa. Egli aveva soltanto affermato le ragioni per le quali riteneva favorevole l'acquisto delle azioni Unipol, prevedendosene il rialzo del valore p.17 . Aveva, semmai, assunto un comportamento attendista perché il criterio gestionale del buon padre di famiglia gli impediva di acquistare le azioni finché si manteneva ferma l'offerta di vendita a un prezzo superiore al valore di mercato - la malafede dell'imputato non poteva essere dimostrata con il ragionamento controfattuale secondo cui l'acquisto delle azioni avrebbe potuto essere effettuato quando il prezzo era più basso il grosso quantitativo di azioni blocco , se fosse stato negoziato sul mercato ufficiale avrebbe provocato delle brusche alterazioni delle quotazioni. 7. Tanto premesso, va rilevato, come sopra anticipato, che la sentenza impugnata si è limitata a ripercorrere, condividendola, tutta la sentenza di primo grado con ciò esaurendo l'impegno motivazionale e quindi incorrendo, data la rilevanza dei motivi di appello, nel vizio della mancanza di motivazione, denunciato fondatamente dai ricorrenti agli effetti civili della sentenza. Infatti, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudice di appello può, invero, motivare la propria decisione richiamando le parti corrispondenti della motivazione della sentenza di primo grado, ma solo quando l'appellante si sia limitato alla mera riproposizione delle questioni di fatto o di diritto già espressamente ed adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, ovvero abbia formulato deduzioni generiche, apodittiche, superflue o palesemente inconsistenti v. tra le molte, Sez. 6, Sentenza numero 17912 del 07/03/2013, Rv. 255392 . Nel caso di specie, la pur non breve motivazione indugia su una serie di importanti elementi di fatto, ripresi fedelmente dalla sentenza del Gup, quali l'andamento al rialzo del titolo Unipol priv. nelle sedute dal 19 marzo al 1 aprile la storia del fax del 27 febbraio inviato da Co. a M. e le successive attività di MPS in relazione alla offerta di vendita ricevuta, con il promemoria di S. che aveva espresso parere favorevole, e la rappresentata opportunità di tentare di negoziare un prezzo allineato al valore di mercato p.12 il criterio di gestione del buon padre di famiglia cui doveva attenersi la Fondazione MPS la natura comunque conveniente dell'acquisto anche per MPS, secondo l'analisi di T. e S. p. 13 . Nella sentenza di appello si mostra poi di recepire la conclusione del primo giudice a proposito della significatività del fax, come prova dell'accordo fra i vertici delle due società per la compravendita del pacchetto azionario di 4500000 azioni al prezzo di Euro 1,76, superiore al valore di mercato e si menziona il ragionamento del Gup anche riguardo alle altre due prove del presunto previo accordo in questione, date dalle telefonate tra G. e D. e dalla tempistica dell'acquisto. Infine si cita la affermazione del primo giudice riguardo la prova logica del reato e cioè quella della malafede di T. che si ricaverebbe anche dal fatto che ha acquistato il titolo ad un prezzo Euro 1,76 molto più alto di quello Euro 1,70 giudicato opportuno da S. e, però, coincidente con quello perseguito da Co. - Unipol, società peraltro collegata a MPS da compartecipazioni ad altre società. La parte della sentenza impugnata, in cui va ricercata la valutazione critica della Corte territoriale in relazione ai motivi di appello, è, peraltro, quella sviluppata da metà di p. 19 a metà di p. 20, redatta, per giunta,con attenzione al criterio della non estraneità di T. al reato un criterio che, già in sé, appare evocare il parametro argomentativo e di giudizio dell'articolo 129 comma 2 cpp, certo non sufficiente a garantire l'espletamento dell'onere motivazionale fissato dall'articolo 578 cpp, in relazione alle statuizioni civili della sentenza. Ebbene, in tale motivazione si conferma p. 19 in primo luogo la esistenza e la prova dell'accordo a livello apicale , riferibile a T. , costituente prova del concorso di costui nel reato di aggiotaggio. Si tratta, tuttavia, di una affermazione gravemente carente sul piano motivazionale perché, essendo basata sugli stessi elementi di fatto menzionati dal Gup, risulta omissiva della doverosa risposta ai rilievi difensivi con i quali si era fatto notare che la tesi dell’ accordo dimostrato anche documentalmente dal fax, non poteva inferirsi, secondo le regole della logica argomentativa, se si fosse tenuto conto del percorso del fax, inviato da Co. a M. e da questi consegnato a T. , per poi essere girato a S. per la necessaria istruttoria con successiva chiamata in causa di C. per conto Unipol. Un percorso, cioè, che vedeva quali principali attori, soggetti rimasti - tutti, tranne T. - estranei il C. , alfine, per assoluzione, come denunciato nella memoria dell'avv. Fontana al processo e alla contestazione di concorso in aggiotaggio. È rimasto, in altri termini, per tale via, in un inammissibile cono d'ombra, la ricostruzione plausibile dell'evocato previo accordo , certamente non costituito dal fax ma semmai, da tale documento, evocato e comunque, riferito dalla Corte territoriale, troppo genericamente, ad un livello apicale una espressione che necessita di essere riempita di contenuti storici o sostenuta con assunti logici, soprattutto in considerazione del fatto che il riposizionamento della accusa sul punto, dopo la assoluzione del concorrente C. testualmente individuato nella iniziale formulazione del capo di imputazione a carico di T. , è ammissibile - onde no cadere nel lamentato vizio della mancata correlazione tra accusa e sentenza - nella misura in cui possa dimostrarsi, con elementi di fatto concreti, che la caduta della originaria impostazione accusatoria non ha lasciato un vuoto di contestazione ma è supplita da una ricostruzione della vicenda, sul punto, del tutto omogenea o in rapporto di continenza con la prima. Ulteriore vuoto argomentativo si rileva in relazione alla contestazione della difesa, riguardante la valenza probatoria attribuita al comportamento positivo registrato a carico del T. e, in special modo, la interpretazione da dare alla sua scelta attendista e al monitoraggio del titolo Unipol, culminato nella disposizione di acquisito una analisi che si richiede in forma tanto più rigorosa se la disamina del precedente punto argomentativo non dovesse produrre risultati utili per la tesi accusatoria. Ed infatti, mentre la prova del previo accordo in cui fosse implicato personalmente T. , servirebbe a delineare la originaria tesi del concorso morale, in mancanza di questa, la prova del concorso dovrebbe riguardare la possibilità di attribuire, al comportamento tenuto da T. durante la manovra speculativa, la valenza di un apporto materiale, anche privo di efficacia causale, ma comunque agevolativo della condotta di rilevanza penale posta in essere materialmente da terzi. Perché è indubbio che tale apporto materiale non può essere individuato né in un atteggiamento meramente passivo in sé considerato quello di attendere , né, come esattamente evidenziato dai difensori, nella disposizione di acquisto dei 4,5 milioni di azioni, data da T. una disposizione che, di per sé, non vale a integrare gli estremi del concorso ex articolo 110 cp, ai fini che ci occupano,sia perché cronologicamente collocabile in un momento nel quale la manovra speculativa era stata già perfezionata, sia perché adottata con riferimento al mercato dei blocchi ossia ad un tipo di negoziazione che era per definizione incapace di determinare variazioni di prezzo sul mercato azionario ordinario. Ebbene, a prescindere dalla espressione non condivisibile del giudice a quo p.20 , riguardo alla valenza dell'atto di acquisto, quale espressione di apporto causale , manca del tutto, nella sentenza impugnata, la risposta al rilievo della difesa secondo cui il famoso monitoraggio del titolo fu, in realtà, materialmente eseguito da S. che ne riferiva i risultati a T. , non indagato - il primo - perché ritenuto non in grado di accedere ai dati sulla identità degli speculatori. Ma soprattutto manca, nella sentenza impugnata, la valutazione della prospettazione offerta dalla difesa ai dati emersi, per interpretare i fatti in modo alternativo rispetto a quello ipotizzato dalla accusa e accreditato nella sentenza di primo grado. E sul punto, il principio del ragionevole dubbio impone al giudice della legittimità di non fermarsi alla valutazione della plausibilità della ricostruzione accreditata dal giudice a quo ma di verificare che tale ricostruzione fosse anche da ritenere, alla stregua del giudizio di merito, l'unica possibile, perché capace di travolgere e smentire la capacità dimostrativa della tesi opposta dalla difesa. Orbene, la Corte territoriale ha mancato del tutto di valutare la plausibilità e la tenuta della alternativa versione dei fatti, che non appare manifestamente pretestuosa, secondo cui l'offerta avanzata da Co. col famoso fax sarebbe stata seguita da trattative, basate anche sul parere favorevole di S. per MPS che aveva reputato vantaggioso anche il prezzo indicato dall'offerente che, in tal senso, era stato stabilito il contatto con C. per Unipol per ottenere un ribasso del prezzo che è stato indicato come doveroso il monitoraggio, dato che MPS era comunque interessata all'acquisto del titolo e non aveva alcuna possibilità di comperare, nel libero mercato, un pacchetto rilevante 4.500.000 di azioni al prezzo unitario di mercato di 1,69, che, inevitabilmente, si sarebbe rialzato ai primi tentativi di rastrellamento che tale assunto trovava conferma nel rilievo che l'acquisto era poi avvenuto sul mercato appunto dei blocchi che, dunque, l'acquisto poteva essere considerato non l'esecuzione di un accordo illecito ma la adesione ad una offerta di vendita da attuarsi sul mercato dei blocchi e quindi con negoziazione che non rispondeva agli stessi criteri della negoziazione sul mercato libero che la manipolazione del mercato ad opera di personale Unipol ben poteva essere stata una iniziativa tutta di Unipol per superare la situazione di stallo determinata dal fatto che tale gruppo non poteva vendere ad un prezzo unitario inferiore a quello iscritto a bilancio e MPS aveva difficoltà a comperare ad un prezzo superiore a quello di mercato, dati gli scopi non di lucro della Fondazione che T. , come dimostrato dall'appellante citando il verbale di audizione dinanzi alla Consb, non si era neppure dichiarato consapevole della manovra manipolativa di Unipol ma aveva spiegato che il monitoraggio era necessario proprio per attendere che il titolo raggiungesse il prezzo di mercato più vicino a quello richiesto da Co. che, altrimenti non avrebbe venduto. Manca infine la valutazione della diversa interpretazione attribuibile, alla luce degli argomenti fin qui sviluppati, alla conversazione intercettata tra D. e G. , neppure autonomamente valutata nella motivazione propria del giudice dell'appello. Il difetto di motivazione fin qui rilevato non vale certo a manifestare una mancanza evidente di prove della accusa ma soltanto i limiti di una argomentazione priva di adeguate risposte ai rilievi, ammissibili, della difesa. Per tale ragione, la sentenza dichiarativa della prescrizione non può essere annullata mentre tale sorte compete alle statuizioni civili. Con la doverosa affermazione che, la denunciata assenza di legittimazione della Consob a costituirsi parte civile nel processo, per gli argomenti in diritto svolti nel motivo sub 3 , è questione inammissibile per preclusione, non essendo stata posta nei motivi di appello. L'ulteriore motivo, sulla liquidazione delle spese della PC in appello, resta assorbito. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili, e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello. Rigetta il ricorso agli effetti penali.