La condotta della direttrice di banca che arrichisce l’imprenditore colluso non rileva come truffa

La condotta del direttore di un istituto bancario che, in collusione con un cliente ed omettendo i dovuti controlli interni, metta a disposizione dello stesso somme di denaro, integra il reato di appropriazione indebita e non quello di truffa, ciò in quanto la qualità di direttore consente all’agente di disporre materialmente delle somme depositate in banca, rispetto alle quali si comporta come “uti dominus” accreditandole o comunque attribuendole al terzo.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n.4983/15 depositata il 3 febbraio. Il caso. Il Tribunale di Pesaro assolveva, con la formula perché il fatto non sussiste, i due imputati, di cui una direttrice di banca, dal reato di concorso in appropriazione indebita aggravata. I fatti che venivano contestati ai due imputati riguardavano una serie di operazioni con cui la direttrice di banca aveva concesso alla ditta individuale del coimputato, peraltro rimasta sempre inattiva e servita solo alla realizzazione delle condotte illecite, di aprire presso l’istituto bancario un conto corrente ordinario ed un conto anticipi fatture, con un debito finale di oltre 575 mila euro gravante sulla banca. Per la realizzazione delle predette operazioni, i due si servivano di fatture false che, per disposizione della direttrice della banca, eludevano gli obblighi di verifica interna, in modo da coprire l’identificazione del soggetto che effettuava tali “manovre”. Il giudice di prime cure, rilevando la mancanza di prove circa un’usurpazione dei poteri di amministrazione bancaria da parte della direttrice, affermava che l’attività fraudolenta ad essa ascrivibile configurava gli estremi del diverso reato di truffa e pronunciava quindi sentenza di assoluzione. Disponeva inoltre la trasmissione degli atti al p.m. perché procedesse contro gli imputati per il reato di concorso in truffa aggravata ai danni della banca. Il p.m. ricorre in Cassazione avverso la predetta sentenza. Appropriazione indebita e truffa. Il ricorrente sostiene che il giudice territoriale sia incorso in un’erronea interpretazione del rapporto tra il reato di appropriazione indebita e quello di truffa. La circostanza della “detenzione” da parte della direttrice della banca del bene – il denaro -costituente il profitto che asse mirava ad ottenere, unita alla fatto che le fatture false avevano l’unico scopo di coprire le operazioni finanziare illecite e non quello di truffare la banca, le condotte contestate avrebbero dovuto essere correttamente qualificate come appropriazione indebita. Il motivo di ricorso così formulato merita accoglimento. Il consolidato orientamento interpretativo ritiene che, nonostante le operazioni bancarie relative alla gestione del credito o del risparmio abbiano natura strettamente privatistica, il comportamento di un dipendente di un istituto bancario che fraudolentemente o indebitamente eroghi somme di denaro a favore di un terzo, al fine di procurargli un ingiusto profitto, deve essere penalmente sanzionato alternativamente come truffa, appropriazione indebita o falso. In particolare, ove il direttore della banca, in collusione con un cliente ed omettendo i dovuti controlli interni, metta a disposizione dello stesso somme di denaro, si configura il reato di appropriazione indebita e non quello di truffa. La qualità di direttore consente infatti all’agente di disporre materialmente delle somme depositate in banca, rispetto alle quali, accreditandole o comunque attribuendole al terzo, si comporta come “uti dominus”. A nulla rileva la circostanza evidenziata dalla sentenza impugnata relativa alla mancanza di una prova dell’usurpazione, da parte della direttrice, dei poteri di competenza degli organi di amministrazione della banca, in quanto tale fatto si realizzava nel momento in cui essa consentiva l’erogazione di somme, a qualsivoglia titolo, al cliente che non ne aveva il diritto. La rilevanza degli artifici o raggiri. In relazione alla produzione di fatture false, sottolinea infine la S.C. come, nella distinzione tra il reato di truffa e quello di appropriazione indebita, sussiste il primo dei due quando gli artifici o raggiri siano necessari all’appropriazione. Nel caso concreto, l’utilizzo delle false fatturazioni era finalizzato esclusivamente alla copertura delle illecite manovre finanziarie, attraendo così la condotta alla configurabilità del reato di appropriazione indebita, correttamente contestato dal p.m. nel giudizio di prime cure. Per questi motivi, la Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Ancona per la prosecuzione del procedimento.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 gennaio – 3 febbraio 2015, numero 4983 Presidente Gentile – Relatore Alma Ritenuto in fatto Con sentenza del 21/11/2013 il Tribunale di Pesaro in composizione monocratica ha assolto D.M.M. e M.M. dal reato di concorso in appropriazione indebita aggravata e continuata articolo 81, comma 2, 110, 646, commi 1 e 3, e 61 nnumero 7 e 11 cod. penumero perché il fatto non sussiste, di concorso in falsità di scrittura privata articolo 81, 110, 485, 61 numero 2, cod. penumero perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e la sola M. dal reato di cui agli articolo 110 cod. penumero 15, 18, 19 e 55, comma 2, D.lgs. 231/2007 sempre perché il fatto non sussiste. I fatti, non contestati nel ricorso in ordine al loro obbiettivo svolgimento, possono essere riassunti come segue a M.M. , direttrice della Agenzia numero X di Pesaro della Banca Monte Marche S.p.a. consentiva alla ditta individuale D.M.M. ditta destinata a rimanere inattiva ma utile al coimputato I.G. - nei confronti del quale si procede separatamente - per fatturare lavori edili mai eseguiti di aprire presso l'indicato Istituto di credito un conto ordinario ed un conto anticipi fatture e di ottenere affidamenti per somme importanti nonché di compiere su detti conti altre operazioni bancarie emissione di assegni circolari, cambio assegni per contante, prelevamenti e/o versamenti di contante ed altro che portavano ad un debito finale gravante sulla banca pari ad oltre 575 mila Euro b per l'effettuazione delle operazioni di cui si è detto venivano formate ed utilizzate dagli imputati false fatture intestate alla ditta D.M.M. c la M. eseguiva le operazioni di cui si è detto ovvero disponeva che le stesse fossero eseguite senza che fossero rispettati gli obblighi di verifica in modo da non permettere l'identificazione del soggetto che effettuava l'operazione. Il Giudice di prime cure rilevava che non risultando provata una usurpazione dei poteri da parte della direttrice di banca M. , l'attività fraudolenta descritta e realizzata con la verosimile complicità della stessa e collegata all'anticipo di fatture false assume rilievo ai fini della configurabilità del diverso reato di truffa. Quanto poi al contestato reato di cui all'articolo 485 cod. penumero , ha rilevato il Giudice di prime cure che la falsità inerente le fatture attiene al contenuto del documento laddove attesta il compimento di una prestazione in realtà mai eseguita e ciò comporta una falsità ideologica in scrittura privata che non è prevista ex se come reato. Quanto, infine, al contestato reato di cui agli articolo 15, 18, 19 e 55, comma 2, D.lgs. 231/2007 ha rilevato il Giudice che l'obbligo di identificazione della clientela, riferito alle operazioni di sportello, non competeva alla direttrice ma agli esecutori delle operazioni. Alle luce di quanto detto, il Giudice dopo avere pronunciato la sentenza assolutoria di cui sopra ha disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per procedere nei confronti del D.M. e della M. oltre che nei confronti dello I. in ordine al reato di concorso in truffa aggravata articolo 110, 61 nnumero 7 e 11 e 640 cod. penumero ai danni della Banca Marche S.p.a Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza limitatamente al reato di appropriazione indebita di cui all'originario capo A della rubrica delle imputazioni il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Pesaro, deducendo 1. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale articolo 646 e 640 cod. penumero . Osserva il ricorrente che il Giudice è incorso in un'erronea interpretazione dei rapporti tra il reato di appropriazione indebita e quello di truffa, ciò in quanto la M. già deteneva il bene nella specie il denaro consegnato a titolo di finanziamento al D.M. ed allo I. costituente il profitto che mirava a conseguire e che le false fatture de quibus in realtà non servivano a truffare la banca quanto solo a coprire le operazioni di finanziamento illecitamente compiute dalla stessa M. . 2. Inosservanza ed erronea applicazione di norma processuale articolo 521 cod. proc. penumero . Il Giudice, secondo il ricorrente, avrebbe errato nel momento in cui ha mandato assolti gli imputati e disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero perché procedesse per il ravvisato reato di truffa mentre, operando più correttamente, in applicazione del disposto di cui all'articolo 521, comma 1, cod. proc. penumero avrebbe dovuto riqualificare i fatti e condannare gli imputati per il reato di concorso in truffa aggravata. 3. Inosservanza ed erronea applicazione di norma processuale articolo 649 cod. proc. penumero . Il mancato rispetto di quanto detto al punto precedente porterebbe alla formazione del giudicato sui fatti già descritti nei capi di imputazione con la conseguenza che il Pubblico Ministero non potrebbe mai esercitare una nuova azione penale sugli stessi fatti, seppure diversamente qualificati. In data 14/1/2015 la difesa dell'imputata M. ha depositato in Cancelleria una memoria difensiva nella quale si sostiene la correttezza dell'iter motivazionale della sentenza impugnata dal Pubblico Ministero e, per l'effetto, l'infondatezza del proposto gravame, si evidenzia che non vi è stata da parte dell'imputata una usurpazione dei poteri dell'organo di amministrazione della banca e si segnala che per i fatti di cui all'imputazione è stato avviato anche altro procedimento penale innanzi al Tribunale di Pesaro portante il nr. 4749/2013 nel quale vengono contestati i reati di cui agli articolo 81 cpv., 110, 61 numero 7 e 11, 640 comma 1, capo a e 81, cpv. 61 numero 2, 110 e 648 cod. penumero . Considerato in diritto 1. In relazione al primo motivo di ricorso va detto che correttamente doveva essere configurato nei fatti il reato di appropriazione indebita unico per il quale è stata proposta impugnazione atteso che, secondo consolidato orientamento di questa Corte Suprema, condiviso anche dall'odierno Collegio, in virtù della normativa vigente, le operazioni bancarie strettamente attinenti alla gestione del credito e del risparmio hanno natura privatistica senza che ciò escluda che il comportamento del dipendente di un istituto bancario il quale fraudolentemente o indebitamente eroghi somme di danaro a favore di un terzo, al fine di procurargli un ingiusto profitto, debba essere penalmente sanzionato, in maniera alternativa o meno, come truffa, appropriazione indebita e/o falso. Ne consegue che qualora il direttore di un istituto bancario, in collusione con un cliente ed omettendo i doverosi controlli interni, metta a disposizione dello stesso somme di danaro, accreditando sul di lui conto o pagando direttamente assegni privi di provvista, si deve ritenere consumato il delitto di appropriazione indebita e non quello di truffa, in quanto la qualità di direttore consente all'agente un'ampia e materiale disponibilità delle somme depositate in banca, rispetto alle quali, con l'attribuzione diretta o l'accreditamento al terzo egli si comporta uti dominus Cass. Sez. 6, sent. numero 8179 del 28/06/1988, dep. 18/07/1988, Rv. 178881 in senso conforme ed in tempi più recenti anche Sez. 2, sent. numero 6603 del 21/01/2014, dep. 12/02/2014, Rv. 258280 . A nulla rileva, quindi, il fatto evidenziato nell'impugnata sentenza che non risulti provata una usurpazione da parte della direttrice della banca dei poteri di competenza degli organi di amministrazione della stessa, ben potendosi realizzare tale fatto nel momento in cui la direttrice stessa, con la propria azione ha comunque consentito l'erogazione a qualsivoglia titolo al cliente che non ne aveva diritto ed in collusione con lo stesso di somme di denaro della banca. Come è noto, nell'ambito della distinzione tra il reato di truffa e quello di appropriazione indebita, questa Corte ha avuto già modo di evidenziare che sussiste il delitto di truffa e non quello di appropriazione indebita quando l'artificio e il raggiro risultino necessari alla appropriazione Cass. Sez. 2, sent. numero 35798 del 18/06/2013, dep. 30/08/2013, Rv. 257340 , ma non è questa la situazione verificatasi nel caso in esame apparendo corretto ritenere, come evidenziato dal Pubblico Ministero ricorrente che le false fatture de quibus in realtà non servivano a truffare la banca quanto solo a coprire le operazioni di finanziamento illecitamente compiute dalla stessa M. . Il primo motivo di ricorso del Pubblico Ministero è quindi da ritenersi fondato e per tale ragione la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ex articolo 569, comma 4, cod. proc. penumero alla Corte di Appello di Ancona per il giudizio di Appello. 2. Per dovere di completezza va detto che è assolutamente irrilevante ai fini dell'odierna decisione quanto asserito nella memoria difensiva dell'imputata M. con riguardo all'intervenuta iscrizione nei confronti della stessa di autonomo fascicolo per l'ipotizzato reato di concorso in truffa dovendo essere la sorte di detto procedimento, qualora effettivamente coincidente con quello che in questa sede ci occupa, frutto di autonoma decisione da parte della competente Autorità Giudiziaria. 3. Alla luce di quanto appena detto l'esame del secondo e del terzo motivo di ricorso del Pubblico Ministero diviene superfluo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Ancona per il giudizio di Appello.