“Ieri, oggi e domani” Adelina Sbaratti non abita più qui: per evitare la custodia cautelare non bastano i “piccirilli”

L’attività lavorativa della madre non costituisce ex se ostacolo tale da impedire di attendere alla cura del minore non si tratta infatti di situazione eccezionale posto che sussistono provvidenze legislative riduzione dell’orario di lavoro, possibilità di allontanarsi dal lavoro in caso di malattia del bambino e gli istituti sostituitivi sociali ed economici asili nido, scuole di infanzia , con cui si confronta la maggioranza delle famiglie italiane.

L’impedimento capace di giustificare l’applicazione del disposto dell’articolo 275 comma 4 c.p.p., nei confronti di padre di minori di età inferiore ai 3 anni sussiste unicamente nel caso in cui la madre sia assolutamente impossibilitata a prestarvi assistenza e non è automaticamente operativo nel caso in cui detta impossibilità dipenda dall’attività lavorativa della madre. Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 9575/2013, depositata il 28 febbraio. Il caso. L’indagato veniva attinto da misura cautelare della custodia in carcere, avverso la quale proponeva ricorso avanti al Tribunale del riesame territorialmente competente invocando, posto che egli era padre di minore di età inferiore ai 3 anni, e la madre del minore medesimo svolgeva attività lavorativa, il disposto dell’articolo 275 comma 4 del codice di rito criteri di scelta delle misure . Il Tribunale respingeva il ricorso, richiamandosi alla motivazione fornita dal GIP che aveva emesso l’ordinanza. Avverso il provvedimento collegiale l’indagato frapponeva ricorso per cassazione deducendo violazione di legge in relazione all’articolo 275 comma 4 c.p.p. e vizio di motivazione. La Corte ha respinto il ricorso. Criteri di scelta delle misure articolo 275, comma 4, c.p.p. nessun automatismo. La Corte respinge il ricorso formato dall’indagato, richiamandosi ad una Giurisprudenza in punto piuttosto consolidata. Sin dal 2008 sez. 1 numero 14651 i Giudici avevano dato atto dell’assenza di ogni e qualsiasi automatismo nell’applicazione della disciplina dettata dal comma 4 della norma in esame. Gli Ermellini Cass. Sez 1 numero 46920 e 2700/2009 hanno da sempre fornito una interpretazione rigorosa, per non dire restrittiva, dell’allocuzione «assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole» contenuta nella norma. Per la Cassazione, l’assoluta impossibilità di fornire assistenza non può rinvenirsi nella difficoltà, comune a molte famiglie, di reperire persone o personale idoneo ad attendere a quella straordinaria occupazione, dotata di protezione Costituzionale, costituita dall’accudimento e dalla crescita della prole. Molte famiglie, oggi, sono costituite da genitori che svolgono entrambi attività lavorative. Il ragionamento della Corte si fonda su di un dato di fatto che pare davvero indiscutibile oggi molte famiglie, per non dire la stragrande maggioranza dei nuclei familiari, sono costituiti da genitori che svolgono entrambi attività lavorative. Per poter accudire ai figli detti nuclei debbono rivolgersi od alle famiglie di origine, che spesso non sono in grado di farlo, oppure ai servizi ed alle provvidenze sociali e lavorative. Ora, considerare che in una situazione astratta il semplice esercizio del diritto dovere al lavoro da parte della madre costituisca ex se motivo valido ad evitare l’esecuzione della misura custodiale in carcere pare essere davvero inconciliabile con il sistema nel suo complesso inteso. Occorre ricordare come la norma invocata dall’indagato, oltre alla dizione sopra riportata che invero pare far esplicito riferimento ad una impossibilità di carattere assoluto e non relativo, si completa indicando, quale capace di far aggio addirittura alla verificata impossibilità assoluta di assistere alla prole, la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Dunque la norma sembra indicare all’interprete la “libera” possibilità di verificarne in concreto l’applicabilità, muovendosi tra “Scilla e Cariddi” rispettivamente costituiti da un canto dalla «impossibilità assoluta della madre» e dall’altro dalla esistenza di «esigenze cautelari di eccezionale rilevanza». Due eventi, l’impossibilità e la rilevanza che debbono necessariamente manifestare i caratteri dell’eccezionalità e/o dell’assolutezza. Ovvero, e non pare che il ragionamento possa dirsi essere illogico o viziato, manifestarsi quale diverso, pacificamente e inconfutabilmente, rispetto a quelli che sono i normali connotati con cui si appalesano i casi ordinari. O, più semplicemente, la vicenda deve avere caratteri di straordinarietà tali dal giustificare la diminutio delle esigenze cautelari. Ove essa vicenda possa dirsi rientrare nei criteri e nei canoni della normalità, come apparirebbe essere nel caso in esame, non può invocarsi l’applicazione di una norma dettata e pensata per la «straordinarietà». Utilizzando l’espressione del Collegio Supremo l’interpretazione della norma non può portare ad applicare irragionevolmente la disposizione ivi contenuta a tutte le ipotesi di svolgimento di attività lavorativa della madre.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 gennaio – 28 febbraio 2013, numero 9575 Presidente Lombardi – Relatore Amoresano Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza in data 12.7.2012, rigettava l'appello proposto da R.A. avverso l'ordinanza emessa il 16.4.2012 dal GIP di Catanzaro, con la quale era stata respinta la richiesta di sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. Dopo aver rinviato per relationem alle argomentazioni pienamente condivisibili dell'ordinanza del GIP, riteneva il Tribunale che non sussistessero le condizioni, invocate dall'appellante, per l'applicazione dell'articolo 275 co. 4 c.p.p. Il divieto di custodia cautelare in carcere, previsto dalla predetta norma, deve configurarsi come assoluta Impossibilità di fornire assistenza alla prole di età inferiore ai tre anni. L'orientamento della giurisprudenza di legittimità in proposito è univoco e si fonda sul rilievo che la maggior parte delle famiglie è composta da genitori che svolgono attività lavorativa, ma che non per questo trascurano i figli o li privano di assistenza. Non è, pertanto, sufficiente lo svolgimento di attività lavorativa da parte della madre per far ritenere che essa sia assolutamente Impedita a prestare assistenza alla prole di età inferiore a tre anni e per giustificare quindi la sostituzione della misura in atto con quella degli arresti domiciliari. Né, infine, risulta documentata l'impossibilità di ricorrere a strutture pubbliche cui affidare il minore durante le attività lavorative. 2. Ricorre per cassazione R.A. , a mezzo dei difensori, denunciando la violazione di legge in relazione all'articolo 275 co. 4 c.p.p., nonché la mancanza di motivazione. L'impossibilità richiamata dall'articolo 275 co. 4 c.p.p. non si riferisce, come ritiene il Tribunale, ad una assoluta impossibilità fisica di accudire la prole. Nel caso di specie la madre si trova a dover scegliere tra l'assistenza al minore o lo svolgimento dell'attività lavorativa. La presenza del padre, inoltre, non è un ruolo fungibile. La norma intende far fronte a situazioni complesse, quali quelle di una madre che deve lavorare tutto il giorno e che non può sostituire anche il padre detenuto. Né sono possibili soluzioni alternative, come prospettato dal Tribunale, essendo i nonni entrambi detenuti e la nonna materna l'unica vivente affetta da gravi patologie, come documentato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. 2. Come ricordato anche dal Tribunale è assolutamente pacifico che, in tema di misure cautelari personali, il divieto di custodia cautelare in carcere di cui all'articolo 275 comma quarto c.p.p. previsto nei confronti dell'imputato, padre di prole infratreenne, qualora sussista l'assoluta impossibilità della madre di prestarvi assistenza, non è automaticamente operativo qualora detta impossibilità sia costituita dall'attività lavorativa della madre cfr. Cass. Sez. 1 numero 14651 del 4.3.2008 conf. Cass. Sez. 1 numero 46920 del 4.2.2008 . Sicché non è censurabile in sede di legittimità la decisione con cui il giudice di appello escluda, con motivazione idonea e pertinente, la gravità dell'impedimento richiesto dall'articolo 275 comma quarto, considerato che l'attività di lavoro svolta dalla madre non costituisce di per sé ostacolo tale da impedirle di attendere alla cura del minore, anche con l'eventuale aiuto di familiari disponibili o con il ricorso a strutture pubbliche abilitate Cass.penumero Sez. 5 numero 27000 del 28.5.2009 . In applicazione di questo principio è stata ritenuta immune da censure la decisione del giudice di appello che aveva ritenuto che il solo Impegno lavorativo di 39 ore settimanali della madre non integrasse un impedimento assoluto alla assistenza della prole, trattandosi di situazione comune alla maggioranza delle situazioni familiari Cass. numero 27000/2009 cit. . 3. Il Tribunale ha esaminato la fattispecie sottoposta al suo esame ed ha rilevato, con motivazione pertinente ed immune da vizi logici, che si trattava di una situazione non certo eccezionale , in quanto, nonostante l'impegno lavorativo della madre, sussistevano le provvidenze legislative riduzione dell'orario di lavoro, possibilità di assentarsi dal lavoro in caso di malattia del bambino e gli istituti sostitutivi ed economici nidi, scuole dell'infanzia . All'assistenza del minore, durante l'orario di occupazione della madre, poteva provvedersi, quindi, con soluzioni alternative e non risultava, non essendo stato documentato dalla difesa, l'impossibilità di ricorrere a strutture pubbliche certamente comunque esistenti nel comune di domicilio della madre . L'interpretazione della norma proposta dal ricorrente porterebbe invece ad applicare irragionevolmente la disposizione di cui all'articolo 275 co. 4 a tutte le ipotesi di svolgimento di attività lavorativa da parte della madre. Né, peraltro, con il ricorso si deduce alcunché in ordine alla insussistenza di soluzioni alternative strutture pubbliche , facendosi riferimento solo alla impossibilità di ricorrere a soluzioni familiari. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell'istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall'articolo 94 comma 1 bis norme di attuazione c.p.p