Minaccia la moglie affinché rinunci alla casa: estorsione o esercizio arbitrario delle private ragioni?

Entrambe le fattispecie condividono la violenza e la minaccia. Pertanto occorre verificare «ai fini della distinzione tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione, il grado di gravità della condotta violenta o minacciosa».

Due condotte, entrambe con il connotato di violenza o minaccia. Secondo quanto disposto dall’articolo 629 c.p., è punito a titolo di estorsione chiunque, con violenza o minaccia, costringa altri a fare o ad omettere qualcosa, per trarne un ingiusto profitto. Diversamente, l’articolo 393 c.p. punisce a titolo di esercizio arbitrario delle private ragioni colui il quale, potendo ricorrere all’autorità giudiziaria, si faccia arbitrariamente ragione da sé, sempre con modalità violente o minacciose. Nel caso di estorsione, quindi, il soggetto attivo agisce per poterne trarre un profitto, un vantaggio patrimoniale nel caso dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, invece, il soggetto, pur vantando un diritto che potrebbe ottenere tutela «ordinaria» decide di farsi giustizia la sua! da solo. Se tutto restasse sul piano meramente ipotetico si vivrebbe di rendita interpretativa. In realtà, cosa può accadere nel caso in cui un individuo, con violenza e minaccia, vantando un diritto per il quale potrebbe adire il giudice, per trarne un ingiusto profitto, costringa altri a fare qualcosa? Una scrittura privata che è stata giudicata estorta. Nel caso in esame un individuo veniva condannato dal Tribunale per il reato di estorsione poiché, secondo l’organo giudicante aveva costretto la moglie, con violenze fisiche e minacce di morte a sottoscrivere una scrittura privata con cui ella rinunciava alla quota di comproprietà della casa coniugale. Secondo i giudici di prime cure anche la Corte d’appello aveva, poi, confermato la sentenza di primo grado il marito aveva coartato la libera volontà della donna, provocandole segni fisici ed intimorendola profondamente. Le doglianze si basano sul mancato riconoscimento dell’esercizio arbitrario delle private ragioni. Avverso la sentenza della Corte d’appello l’imputato propone ricorso per cassazione che viene, però, con sentenza della sezione Sesta Penale della Suprema Corte numero 6556, depositata il 17 febbraio 2012, rigettato. Secondo le doglianze presentate, il marito aveva «chiesto» questo tipo di accordo alla moglie la quale «era ben consapevole di non poter vantare alcun diritto sulla casa intestata ad entrambi i coniugi, in costanza di matrimonio, solo per godere di un tasso favorevole nella accensione di un mutuo». Il ricorrente denunciava violazione di legge e motivazione carente e mancante relativa alla configurabilità dell’articolo 393 cod. penumero . Qual è il discrimen tra le due norme? Come già detto, la Corte di Cassazione decide per il rigetto del ricorso in primo luogo, poiché mancherebbe il preteso «diritto» da far valere innanzi all’autorità giudiziaria visto che l’appartamento era cointestato. In secondo luogo, poi, la Corte di legittimità non considera la necessità di far valere un proprio diritto come l’elemento che consenta una automatica deminutio del reato di estorsione. Al contrario, visto che entrambe le fattispecie condividono la violenza e la minaccia occorre verificare «ai fini della distinzione tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione, il grado di gravità della condotta violenta o minacciosa». La minaccia grave è, per la Cassazione, quella coartazione della volontà altrui tale da non lasciare possibilità di scelta alla vittima che si trova quindi di fronte all’unica possibilità da altri imposta.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 1° – 17 febbraio 2012, numero 6556 Presidente Milo – Relatore Fazio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17 ottobre 2010, la Corte di Appello di Genova, decidendo in sede di rinvio dalla cassazione, confermava la sentenza del Gup del Tribunale di Chiavari che aveva affermato la responsabilità di P V. per il delitto di estorsione commesso ai danni dell'ex moglie M.R B. , costretta con minacce di morte e violenze fisiche a sottoscrivere una scrittura privata con cui ella rinunciava sostanzialmente alla propria quota, sulla proprietà della casa coniugale. La Corte ribadiva che l'uomo aveva coartato la volontà della parte offesa, condividendo così il percorso argomentativo contenuto nella motivazione di prime cure, basato sulla attendibilità della denunciarle, la esistenza di testimonianze di riscontro, la percezione diretta che una teste aveva avuto dei segni delle violenze fisiche sul corpo della donna, la non decisività della dichiarazione resa da una teste, che non avrebbe affatto sconfessato la parte offesa sull'esistenza di atti di intimidazione fisica, ed anzi avrebbe confermato che la B. nel riferirle i termini dell'accordo avrebbe mostrato di essere intimorita dall'imputato. 2. Ricorre il V. e denuncia che la Corte, in violazione di legge e con motivazione carente e mancante, non avrebbe esaminato il motivo di appello, subordinato, relativo alla configurabilità della ipotesi gradata ex articolo 393 cp, ed all'uopo richiama le circostanze di fatto esposte nel gravame e dimostrative dell'esistenza di un diverso atteggiamento soggettivo, che lo avrebbe condotto a richiedere il menzionato accordo patrimoniale alla B. , la quale a sua volta era ben consapevole di non potere vantare alcun diritto sulla casa intestata ad entrambi coniugi, in costanza di matrimonio, solo per godere di un tasso favorevole nella accensione di un mutuo. Si duole della mancata pronuncia sulla chiesta applicazione dell'indulto e del mancato esame della attendibilità della parte offesa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è da rigettare. 2. Innanzi tutto la motivazione della Corte non presenta alcuna violazione dei criteri di valutazione delle prove. 3. Va premesso che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, tanto che è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado, colmare eventuali lacune della sentenza di appello. È sufficiente dunque che il giudice del secondo grado giustifichi la sua decisione in modo da far comprendere che condivide le considerazioni svolte dal primo giudice, purché risulti che ha proceduto all'esame delle censure dell'appellante. L'ambito della necessaria, autonoma motivazione del giudice d'appello che conferma la sentenza di primo grado è dunque essenzialmente correlato alla qualità e alla consistenza delle censure articolate nei gravami. 4. Nel caso in esame, il giudice distrettuale, cui peraltro erano state con il gravame, riproposte le questioni, già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, ha comunque, ripercorso tutta la vicenda, desumendo, come già in primo grado, che il V. avesse esercitato una pressione violenta sulla moglie, nel corso della definizione della loro separazione, per ottenere che costei rinunciasse alla comproprietà della casa coniugale. Sono stati individuati come elementi probatori le dichiarazioni della B. , la cui attendibilità, vagliata dal profilo soggettivo, per le sue caratteristiche di linearità e coerenza, è stata ritenuta oggettivamente riscontrata a. dalle dichiarazioni di altra teste la Pozzo, prima moglie divorziata del V. , non certo accusabile di benevolenza nei confronti della parte offesa b. dalle testimonianze di persone estranee che concordemente avevano riferito di violenze e minacce subite dalla donna e avevano anche constatato i segni di violenza sul corpo di questa c. dall'evidente contenuto a lei sfavorevole dell'accordo raggiunto con il marito, sintomatico della non spontanea adesione della B. . 5. In relazione a questi passaggi, non è ravvisabile alcuna violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio raccolto. 6. Non è esatto, poi, il rilievo di cui alla seconda censura, che la fattispecie in esame costituisca una ipotesi di ragion fattasi. 7. Per la sussistenza del delitto di cui all'articolo 393 cp, è necessario che l'agente possa far valere un suo diritto innanzi alla autorità giudiziaria, mentre, nel caso di specie, non risulta affatto, data la cointestazione dell'appartamento, che il V. potesse vantare un diritto di proprietà esclusiva comunque, come correttamente osservato dal giudice di primo grado, richiamato da quello di appello, sulla questione della riqualificazione giuridica del fatto, è stata fatta esatta applicazione dei principi stabiliti da questa Corte. Non è certo la semplice intenzione di far valere un proprio diritto a far trasmigrare il fatto dalla figura della estorsione a quella dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Poiché' elemento essenziale di entrambe i reati è dato dalla violenza o dalla minaccia, il problema, nel caso di soggetto che vanti un proprio diritto che sia possibile far valere davanti alla autorità' giudiziaria, è quello di verificare, ai fini della distinzione tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione, il grado di gravità della condotta violenta o minacciosa. Si rimane indubbiamente nell'ambito della estorsione ove venga esercitata una violenza gratuita e sproporzionata rispetto al fine Sez. 2, Sentenza numero 35610 del 27/06/2007 Cc. - dep. 26/09/2007, Rv. 237992 , ovvero se si eserciti una minaccia che non lasci possibilità' di scelta alla vittima. Nel caso, gli elementi di minaccia e violenza sopra richiamati, oggetto di specifica valutazione da parte della Corte distrettuale, escludevano di per sé la possibile configurazione della ipotesi gradata, poiché avevano posto la vittima in condizione di coartazione assoluta. 8. In conseguenza del rigetto, il V. è da condannare al pagamento delle spese processuali, nonché a rifondere alla parte civile costituita le spese sostenute in questa fase, che si liquidano in complessive Euro 1.600, oltre IVA e CPA. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile M.R B. in questa fase e liquidate in Euro 1.600, oltre IVA e CPA.