Gli elementi indiziari vanno valutati nel contesto probatorio

Nella decisione in oggetto la Corte di Cassazione, per la terza volta, è stata chiamata a verificare la congruenza della motivazione addotta dalla Corte d’appello al fine della dichiarazione di responsabilità dell’accusato in merito ad una imputazione concernente violenze sessuali a danno di minori. Il punto ancora in discussione si è incentrato sui criteri decisori da utilizzarsi al fine di stabilire l’attendibilità delle dichiarazioni de relato dei genitori di una delle vittime così come degli stessi minori.

Il caso . Nei fatti è accaduto che la Corte di appello, dopo aver confermato la condanna di primo grado, abbia assolto l’imputato, in ragione del primo annullamento della Cassazione, che aveva criticato la prima decisione poiché, stando al testo della motivazione della sentenza de qua , a non si era vagliata l’attendibilità della minore, che non era stata sottoposta a perizia, b non si erano fornite spiegazioni sul fatto che molti episodi erano stati riferiti dopo l’intervento dei genitori e che le indicazioni date dagli altri bambini erano state riferite solo dopo la divulgazione delle notizie concernenti la prima minore, c non si era «considerata l’evidente incredulità e fantasiosità di taluni racconti, né erano state spiegate le ragioni per le quali nessuno, tra insegnanti e genitori, si fosse tempestivamente accorto di sofferenze fisiche o psicologiche dei minori conseguenti alle violenze subite». Investita nuovamente della questione dalla Procura Generale, la Suprema Corte ha annullato l’assoluzione poiché «è stato ritenuto che l’argomentare dei giudici del rinvio non fosse stato sempre logico né completo» relativamente all’esame del contesto di riferimento. Si era inoltre considerato che «lo sforzo dei giudici di merito di uniformarsi ai principi affermati ed alle indicazioni fornite in precedenza dal giudice di legittimità non fosse stato sempre coerente». In particolare la Corte d’appello avrebbe dovuto - considerare gli interventi degli adulti ed il loro porsi rispetto alla vicenda - valutare l’attendibilità dei minori sia in funzione della loro capacità di percepire e comprendere i fatti sia l’attendibilità e genuinità del racconto avuto riguardo del contesto familiare, dei processi di elaborazione di dette vicende e della capacità di resistere ad involontarie suggestioni - procedere ad un più rigoroso vaglio delle dichiarazioni della minore principale , posto che queste sono state riferite solo de relato dai genitori e da una neuropsichiatra - esaminare in maniera accurata e completa i singoli episodi a seguito «di una valutazione d’insieme degli stessi». Contestata la legittimità della parcellizzazione degli elementi indiziari . Nonostante queste indicazioni, la Corte d’appello di Milano ha nuovamente assolto l’imputato. La Procura Generale ha così chiesto l’annullamento, che è prontamente venuto con la decisione in oggetto. In sostanza, la Corte di legittimità ha denunciato la violazione dei medesimi punti evidenziati nel suo secondo intervento, poiché la motivazione fornita dalla Corte di merito sarebbe stata del tutto simile a quella in precedenza cassata. Senza qui entrare nei particolari dei singoli elementi, in sé complessi e che comunque non giovano ad una analisi compiuta dei principi in gioco, ciò che si è lamentato e si lamenta è la mancata considerazione dei singoli elementi all’interno di un contesto probatorio complesso ed invero peculiare e, dunque, si contesta la legittimità di una loro parcellizzazione . Infatti, è «sicuramente nelle prerogative del giudice di merito optare per una delle possibili interpretazioni cui le vicende umane normalmente prestano il fianco, ma, nel fare ciò, si deve fornire una motivazione coerente con le emergenze processuali ed intrinsecamente logica e che – soprattutto – esamini la vicenda nella sua complessità». Alcune osservazioni. Il principio affermato è, in sé corretto, e può condividersi, ma va oltremodo rapportato ai canoni ermeneutici di cui all’articolo 192, comma 2, c.p.p., secondo cui nella valutazione degli elementi indiziari il giudice deve tener conto della loro gravità, precisione e concordanza. Se è vero, infatti, che la sentenza non può essere incoerente con i dati acquisiti ed in sé logica, è pur vero che ai fini della condanna tutti gli elementi utilizzati per affermare la piena responsabilità penale devono essere coerenti e portare di per sé alla conclusione, che si vuole affermare, e che, ove manchi la certezza dell’elemento indiziario, non è ammissibile l’indizio mediato , cioè l’indizio dell’indizio che, stando alla bella lezione di Francesco Carrara, «è un vero niente nella critica delle prove» Programma del Corso di diritto criminale – Il giudizio criminale, § 970 . Nel caso di specie, dunque, si può pure ammettere che vi sia stato un errore motivazionale, ma deve pur sempre verificarsi la qualità degli elementi d’accusa, elementi che certamente non sono dati da prove dirette dei fatti, tanto che le dichiarazioni della minore riportate dai genitori andrebbero comunque interpretate e definite ai fini del processo, essendo chiaramente fondate su allusioni ed immagini. Da ultimo, se è vero che il giudice può scegliere tra più ipotesi dei fatti, ai fini della condanna dovrebbe , sia per equità sia per giustizia, optare solo per quella che è in effetti l’unica che può spiegare tutti i dati, di modo che l’opzione alternativa id est , l’innocenza risulti ipotesi non ragionevole e, dunque, non fondata su elementi acquisiti al processo ma solo argomentabile su basi astratte. Concludendo. Come andrà a finire la vicenda è difficile da dirsi, ma questa sentenza è emblematica della funzione della Corte di Cassazione, la quale, quando la particolarità del caso suscita attenzione per il merito, non teme di addentrarsi negli atti di causa e di fornire stringenti principi e suggerimenti per una diversa decisione. Certo è che la Corte d’appello, essendo scrupolosa ed attenta, si troverà a dover decidere per la quarta volta sul medesimo sostrato probatorio, avendo a disposizione ben tre sentenze della Cassazione per poter giungere alla condanna. Allo stato non è in discussione alcun principio formale del processo, ma è altrettanto chiaro che non può neppure ammettersi che la logica del giudice possa supplire alla realtà, poiché, in fondo, non è compito del giudice crear colpevoli ad ogni costo, ma – più modestamente – accertare, obiettivamente e con senso di imparzialità e terzietà, le responsabilità personali derivanti dagli elementi di prova legittimamente acquisiti e valutabili.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 25 ottobre 2012 - 8 gennaio 2013, numero 518 Presidente Mannino – Relatore Mulliri Ritenuto in fatto 1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato - Le vicende del presente procedimento sono state piuttosto articolate ed, ai fini della comprensione del ricorso, si impone preliminarmente un loro riepilogo. 1.1 All'imputato erano stati contestati i reati descritti sub capi A e C della rubrica, e cioè, di avere capo a usato plurime violenze sessuali nei confronti di quattro bambini che frequentavano la scuola materna e di avere capo b posto in essere, in concorso con l'altra ausiliaria e con altre due persone, plurimi atti di violenza sessuale di gruppo, nei confronti di tre bambini, commessi durante l'orario scolastico, fuori dalla scuola, presso l'abitazione dell'ausiliaria e presso uno studio dentistico, anche con uso di droghe, nel corso di feste orgiastiche, video registrate. Con le aggravanti di avere commesso le violenze ai danni di minori di dieci anni e con abuso di relazioni di sevizio. I fatti, snodatisi nel 2001 fino agli inizi del 2002, erano venuti alla luce il 9.1.02 con la denuncia proposta dai genitori della piccola A. , che, appunto, frequentava la scuola materna. Il Tribunale aveva assolto tutti ad eccezione del M. che era stato condannato alla pena di quindici anni di reclusione e, con il comune di Brescia quale responsabile civile, anche al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, rappresentate dai genitori dei minori vittime delle violenze. 1.2 Avverso tale sentenza il M. aveva proposto appello ottenendo una riduzione della pena a 13 anni di reclusione. 1.3 Su ricorso proposto dal M. e dal responsabile civile, comune di Brescia, questa terza sezione, con sentenza del 26 settembre 2007, ha annullato la pronunzia di secondo grado, senza rinvio, quanto alle statuizioni civili nei rapporti tra il comune di Brescia ed alcune parti civili e, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Brescia, nel resto. Questi giudici di legittimità hanno, infatti, ritenuto fondate le censure motivazionali dedotte dall'imputato e, esaminate singolarmente le vicende che hanno riguardato, secondo l'ipotesi d'accusa, i minori destinatali dei contestati abusi, avevano, in particolare, rilevato che, nel caso della piccola A. ritenuto punto nodale dell'intera indagine in quanto la bimba era stata la prima a riferire dei pretesi casi di abusi non era stata eseguita alcuna indagine sulla capacità della stessa a testimoniare a causa del rifiuto dei genitori di sottoporre la figlia all'esame dei periti, mentre troppo sbrigativamente i giudici del merito avevano ritenuto attendibili le dichiarazioni dei genitori che avevano riportato le confidenze ricevute dalla bambina. In base alla decisione di annullamento, la valutazione della testimonianza della piccola A. era stata del tutto omessa mentre, quella riguardante i genitori, era stata effettuata solo in apparenza. L'incidente probatorio, d'altra parte, non aveva fornito elementi di conforto a causa delle modalità altamente suggestive con le quali il Gip aveva condotto l'esame. Secondo i primi giudici di legittimità, inoltre, la corte territoriale non aveva approfondito in maniera coerente lo sviluppo degli avvenimenti e non aveva fornito spiegazione del fatto che taluni degli episodi più significativi di abusi erano stati rivelati dalla bambina solo dopo che i genitori avevano iniziato a sospettare che la figlia fosse stata destinataria di violenze sessuali, e, persino, dopo che era stata sporta denuncia. La stessa corte territoriale - secondo quella decisione della S.C., - non aveva, inoltre, approfondito se, e fino a che punto, i genitori di A. , in particolare la madre, avessero condizionato il racconto della piccola, magari attraverso domande poste in maniera suggestiva. Anche con riguardo agli altri bambini coinvolti nella vicenda, la corte territoriale non aveva approfondito, secondo i giudici di legittimità, questioni rilevanti, quali il coincidere delle rivelazioni degli abusi da parte degli altri minori con la divulgazione di notizie relative a casi di pedofilia riscontrate nella scuola. In particolare, i giudici del gravame non avevano considerato che solo dopo che i genitori avevano appreso di tali voci dilaganti, erano stati segnalati ulteriori episodi di abusi nei confronti di altri bambini della scuola, mentre nessun approfondimento vi era stato sul tema del contagio tra bambini e tra genitori e bambini, che avrebbe potuto contribuire all'espandersi dei sospetti e delle accuse. Neanche era stata considerata l'evidente incredibilità e fantasiosità di taluni racconti, né erano state spiegate le ragioni per le quali nessuno, tra insegnanti e genitori, si fosse tempestivamente accorto di sofferenze fisiche o psicologiche dei minori, conseguenti alle violenze subite. Ulteriori elementi di illogicità erano stati segnalati dai giudici di legittimità con riguardo agli abusi commessi fuori dall'istituto, attraverso la organizzazione di feste orgiastiche alle quali, secondo l'ipotesi d'accusa, avevano partecipato diverse persone posto che non era stata trovata traccia dei vestiti e maschere usati dai partecipanti ai festini, degli strumenti utilizzati per usare violenza ai minori, delle macchine fotografiche e delle videocamere che avevano, secondo l'accusa, immortalato le turpi scene. Secondo la citata sentenza di annullamento, i giudici del merito non avevano neppure dato conto con la necessaria coerenza logica del permanere del giudizio di attendibilità delle piccole A. e G. pur dopo che i proprietari delle abitazioni, indicate come i luoghi in cui erano stati perpetrati gli abusi, cioè lo studio del dentista e l'abitazione dell'altra ausiliaria, erano stati prosciolti da ogni accusa . Ancora, elementi di illogicità i giudici di legittimità li avevano rilevati laddove la corte territoriale aveva ritenuto possibile che gli allontanamenti dei minori dall'istituto fossero avvenuti durante le ore di scuola senza che nessuno si fosse accorto della loro scomparsa, peraltro approfittando delle pause di riposo delle insegnanti, e senza che i genitori avessero percepito malesseri di nessun tipo nei bambini, al termine dell'orario scolastico. Di qui, la sentenza di annullamento e l'invito ai giudici del gravame di riesaminare l'intero contesto probatorio e di valutare, altresì, l'opportunità di procedere ad esame diretto della piccola A. , ovvero di disporre, nei confronti della stessa, un'indagine psicodiagnostica diretta a valutarne la capacità a testimoniare. 1.4 Con sentenza del 5 giugno 2008, la Corte d'Appello, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva assolto l'imputato dai reati ascritti, ex articolo 530 c.p.p., comma 2, perché il fatto non sussiste. Detto in estrema sintesi, il convincimento di quei giudici di appello, in sede di rinvio, aveva preso le mosse da un riesame delle singole vicende che avevano riguardato i minori e degli elementi probatori acquisiti. All'esito, la corte del rinvio aveva, anzitutto, ritenuto di non procedere all'esame della piccola A. e di non disporre un'indagine psicodiagnostica, nella convinzione che, dato anche il tempo trascorso dai fatti, non potessero ragionevolmente attendersi significativi contributi all'accertamento della verità da tale attività istruttoria, peraltro non sollecitata da alcuna delle parti . Tanto premesso, la corte stessa aveva, poi, ripercorso le diverse fasi che hanno caratterizzato le vicende oggetto del procedimento, sottoponendo ad esame critico le dichiarazioni ed i comportamenti dei personaggi coinvolti, a partire, ovviamente, dai bambini presunte vittime degli abusi, ed era giunta a concludere che, pur in presenza di elementi a carico di notevole spessore, l'esame complessivo del quadro probatorio non era tale da consentire di superare ogni ragionevole margine di dubbio circa l'attribuzione all'imputato delle condotte delittuose contestate. Particolare attenzione era stata riservata dalla corte d'appello alla narrazione della piccola A. , ritenuta caratterizzata da una serie di racconti ritenuti incredibili e frutto di fantasia, come quelli relativi ad incontri orgiastici organizzati fuori dalla scuola, in vista del contesto spazio-temporale nel quale erano stati collocati e del fatto che tali racconti erano, peraltro, rimasti privi di riscontri. D'altra parte, i giudici del rinvio avevano anche sostenuto che, se è pur possibile ritenere che ai racconti fantastici si siano accompagnate narrazioni di fatti realmente accaduti, ben difficile sarebbe la demarcazione tra la fantasia e la realtà. Mentre era apparso sorprendente il fatto che i gravi abusi riferiti non avessero lasciato tracce né sul corpo della bambina né nel suo animo, non avendo le maestre ed i genitori rilevato nella piccola atteggiamenti particolari. Quanto al ruolo assunto dai genitori della bambina, la corte territoriale, pur confermando i positivi giudizi di equilibrio e correttezza già espressi, sul conto degli stessi, nelle precedenti sentenze, avevano rilevato come il tribunale e la corte d'appello, nella decisione annullata, non avessero considerato l'eventualità che i due coniugi, in perfetta buona fede, avessero raggiunto l'intima convinzione che la figlia avesse subito realmente gli abusi descritti ed avessero iniziato ad interrogarla con modalità suggestive, tali da indurla a riferire circostanze da loro stessi supposte. Per quel che concerne, poi, ai malesseri manifestati da A. in tempi precedenti rispetto all'insorgere dei sospetti nervosismo, irritabilità, rifiuto dell'asilo e dei giocattoli, incubi, sensi di colpa accompagnati da pugni sulla sua persona , la corte del merito aveva rilevato che, seppur preoccupanti, essi avrebbero potuto trovare spiegazioni diverse da quelle ipotizzate dall'accusa e risiedere, Cioè, nella diminuita attenzione degli insegnanti conseguente al passaggio al secondo anno di asilo e della stessa madre che aveva ripreso, sia pure part-time, l'attività di lavoro . Neanche soccorrevano con carattere di decisività, secondo la corte territoriale, gli esiti della perizia, perché basata, non sull'analisi diretta della bambina, bensì sui sintomi segnalati dal genitori. La sentenza assolutoria, inoltre, non aveva ritenuto di annettere carattere di certezza neanche ai racconti degli altri minori ritenendo legittimo il sospetto che si fosse trattato di un vero e proprio contagio psicologico, esploso non appena si era sparsa la voce degli abusi, e che aveva indotto i genitori di altri scolari ad indagare sui propri figli al fine di accertare se essi ne fossero rimasti vittime. Indagine avviata anche da alcune maestre dell'asilo con modalità ritenute non adeguate, che avevano provocato le confidenze di taluno dei bambini, in relazione alle quali sarebbe stato legittimo il dubbio di una suggestione indotta dalle interroganti. Con riguardo agli altri bambini coinvolti, di cui sono stati segnalati atteggiamenti inusuali, inizialmente trascurati dai genitori rifiuto di andare all'asilo, incubi, dimagrimento, comportamenti aggressivi, tentativi di toccare il padre ed il fratello nelle parti intime , la corte territoriale ha ritenuto che tali comportamenti, per una parte, potessero essere, spiegati dal passaggio da un corso all'altro mentre, per altra parte, - specie quelli sessualizzati - con la normale crescita psicosessuale dei bambini. In conclusione, la evidente fantasiosità di alcune narrazioni, in particolare attribuite ad A. ed a G. , l'assenza di riscontri, il dubbio che i racconti più credibili dei bambini fossero stati inconsapevolmente indotti dalle suggestive modalità di interrogazioni utilizzate dai genitori e, in qualche caso, dalle maestre, la psicosi degli abusi che si era sparsa nella scuola allorché si era avuto sentore di episodi di violenza sui bambini, le incerte conclusioni dei periti, che, peraltro, non avevano sottoposto ad analisi, per varie ragioni, alcuni dei bambini coinvolti, avevano indotto la corte territoriale ad emettere una sentenza assolutoria. 1.5 La decisione appena riassunta è stata impugnata dal P.G. ed altra sezione di questa S.C. si è pronunciata in data 25.6.09 con decisione nella quale - pur dandosi atto della corretta individuazione, da parte della corte territoriale, dei temi d'indagine, nonché dell'impegno dalla stessa profuso nell'esame delle controverse vicende - è stato ritenuto che l'argomentare di giudici del rinvio non fosse stato sempre logico né completo l'esame del contesto probatorio di riferimento. Inoltre, è stato ritenuto che lo sforzo dei giudici di merito di uniformarsi ai principi affermati ed alle indicazioni fornite in precedenza dal giudice di legittimità non fosse stato sempre coerente. Detto in sintesi, la sentenza di questa S.C., nel dare atto della difficoltà del compito affidato dai primi giudici del rinvio a per accertare se i piccoli frequentatori della scuola materna individuati come vittime degli abusi fossero stati destinatari di plurime violenze sessuali b in caso affermativo, per accertare a chi dovesse attribuirsene la responsabilità aveva, tuttavia, concluso con l'affermazione che i giudici di appello non si fossero attenuti allo schema che il precedente giudice di legittimità, con la sentenza di annullamento, aveva indicato e che si sostanziava a nella valutazione degli interventi degli adulti, del loro porsi rispetto alla vicenda ed alle rivelazioni dei minori b nella valutazione delle dichiarazioni degli stessi minori in relazione ai quali avrebbero dovuto essere accertate sia la capacità a deporre - cioè la capacità di recepire e comprendere le vicende vissute e di riferirne in termini compiuti e coerenti - sia l'attendibilità e la genuinità del racconto, tenendo conto del contesto familiare e sociale di appartenenza e dei processi di elaborazione di dette vicende, della capacità di resistere alle pur involontarie suggestioni di cui possono farsi portatori gli adulti c nell'effettuazione di accertamenti e verifiche particolarmente rigorosi con riguardo alla posizione della piccola A. , non solo, per il ruolo centrale che le viene riconosciuto nel processo, ma anche perché, delle vicende delle quali la stessa sarebbe, secondo l'accusa, rimasta vittima, si hanno notizie solo attraverso le testimonianze dei genitori e della Dott.ssa P. , neuropsichiatra che ha avuto in cura la bimba considerati anche i dubbi manifestati nei confronti dell'esame della piccola in sede di incidente probatorio ed il rifiuto dei genitori - preoccupati di non turbare la bambina e mettere a rischio il positivo percorso terapeutico condotto fino a quei momento - di sottoporre la figlia a perizia psicodiagnostica - d nell'esame, accurato e completo, dei singoli episodi riferiti da ognuno dei minori coinvolti, seguito da una valutazione d'insieme degli stessi che consentisse di individuare l'eventuale presenza, nei singoli racconti, di elementi di identità che potessero contribuire al chiarimento dei fatti ed alla loro corretta interpretazione. Dopo un articolato sviluppo di tali temi, questa S.C. ha, pertanto, annullato la decisione impugnata con nuovo rinvio ad altra sezione della medesima corte d'appello. 1.6 Quest'ultima, decidendo in sede di rinvio, con la sentenza oggetto del presente gravame, ha nuovamente assolto l'imputato ex articolo 530 comma 2 c.p.p 2. Motivi del ricorso - Avverso tale decisione, il P.G. ha proposto ricorso deducendo 1 omissione o, comunque, illogicità manifesta della motivazione. Il ricorrente ricorda che la S.C., nel rinviare gli atti alla corte d'appello ha demandato f. 35 ad essa il compito di effettuare “un esame compiuto ed unitario del contesto probatorio partendo dalla verifica dell'attendibilità degli adulti che hanno ricevuto le confidenze dei bambini, nonché dell'attendibilità di questi ultimi”. Ad onta di ciò, la sentenza impugnata cita l'annullamento della Corte di Cassazione solo una volta f. 28 quando ricorda le critiche all’iter motivazionale che quella decisione ha mosso alla precedente sentenza di assoluzione nonché, in maniera veramente succinta a f. 53 , senza nemmeno fare tale citazione. Detto in estrema sintesi, la presente sentenza sembra una normale sentenza di appello che si è confrontata solo con i motivi di impugnazione della difesa e non - come avrebbe dovuto - con le ragioni di annullamento esplicitate dalla S.C Venendo più nello specifico, si ricorda 1 a proposito dell'invito a verificare l'attendibilità degli adulti ed a valutare il rischio di un “contagio psicologico esploso non appena si era sparsa la voce degli abusi” - concetti espressi già in sede di primo annullamento da parte della S.C. - i giudici di secondo grado, anche in questo caso, si sono limitati a ripetere i medesimi concetti senza però tener conto delle amp/'e indicazioni fornite dai giudici di legittimità ai fini della valutazione delle risultanze 2 a proposito della valutazione dei genitori della piccola A. e della presunta suggestione che questi avrebbero esercitato sulla bambina, la S.C. aveva criticato il ragionamento dei giudici di merito stigmatizzandone la coerenza e logicità e, per contro, valorizzando v. f. 10 le risultanze della perizia psicopedagogia che si era “espressa in termini del tutto positivi” a proposito di tali persone segnalandone la “linearità della condotta e la capacità di gestire con intelligenza ed equilibrio i comportamenti della bambina in una situazione di grave disagio psicologico”. Ciò nonostante la sentenza di appello qui impugnata si è discostata dalla perizia limitandosi a citare solo la frase di una delle perite che in via generale non aveva escluso il rischio di dichiarazioni indotte ma senza che l'assunto fosse stato calato nello specifico. Per contro, il ricorrente fa notare che la Corte ha ribadito la tesi della suggestione fondandola sui medesimi argomenti già espressi nella sentenza annullata ed anzi oggetto della critica della prima decisione di annullamento. La Corte d'appello - si fa, altresì, notare - ha del tutto ignorato la prospettiva suggerita dalla S.C. di considerare le dichiarazioni della neuropsichiatra P. secondo cui il colloquio da essa avuto con i genitori potesse aver “loro consentito di avviare un proficuo dialogo con la figlia per indurla a confidarsi fino a rivelare progressivamente i racconti più scabrosi” 1.20 . Ancora, il ricorrente ricorda che, a f. 20, i giudici di legittimità avevano offerto una diversa chiave di lettura del fatto che le incertezze manifestate dalla F. sul nome del bidello avrebbero potuto essere proprio emblematiche della loro obiettività ma, nonostante ciò, la Corte d'appello non ha neppure spiegato come mai il nome di B. sia infine emerso in occasione della visione di un cartone animato e non in occasione delle interrogazioni dei genitori f. 20 . Il ricorso del P.G. si sofferma, poi, ad analizzare gli aspetti più significativi della vicenda quali il c.d. episodio del serpente ovvero le spiegazioni date dai bambini a proposito dei luoghi in cui essi erano stati condotti sia all'interno che all'esterno della scuola una cantina o uno studio dentistico il c.d. gioco della neve comparando le indicazioni che, sul punto, erano state fomite dalla corte di legittimità e le risposte della corte d'appello, sostanzialmente reiterative della tesi della fantasiosità dei racconti dei bimbi. A proposito della c.d. tesi del contagio , il ricorrente ricorda come i giudici di legittimità avessero preso in esame la eventualità obiettando tuttavia come la semplice circostanza che il diffondersi della notizia di quanto asseritamene accaduto ad A. potesse avere sensibilizzato gli atri genitori inducendoli a rivalutare segnali anomali loro pervenuti dai propri figli non era idonea, per ciò solo, a neutralizzare la validità di quanto già asserito da A. in precedenza. Il ricorrente evidenzia, altresì, la illogicità ed incongruenza dei giudici d'appello che, pur non negando la validità del positivo giudizio espresso dal collegio peritale nei confronti di tutti i genitori, ha, di fatto, posto in discussione la loro serietà avallando la tesi del contagio. 2 vizio logico di motivazione viene ravvisato dal ricorrente anche nel modo in cui è stato affrontato dalla corte d'appello il tema della possibilità di concorso di terze persone e censurato l'atteggiamento assunto di muovere, per così dire dalla premessa che la tesi che M. avrebbe dovuto avere supporti logistici per porre in essere ciò di cui accusato è, in qualche modo, ostacolata dall'avvenuta assoluzione delle persone inizialmente ipotizzate come suoi correi. Profili di illogicità il ricorrente rinviene, altresì, nel modo in cui - disattendendo le indicazioni della corte, di legittimità, i giudici di secondo grado hanno affrontato il dato di fatto che nessuno dei minori avesse raccontato spontaneamente i fatti e stigmatizza le considerazioni della corte d'appello a proposito della personalità del M. f 16 ricorso e della definizione che essi danno del soggetto pedofilo f. 17 laddove non risulta esservi una “figura universale di pedofilo”. Ribattuto, poi, sul punto delle pretese similitudini esistenti - secondo la sentenza d'appello m accoglimento della tesi difensiva con altra vicenda giudiziaria il c.d. caso Sorelli il ricorrente critica il “metodo pregiudizialmente orientato” seguito dai giudici di secondo grado al punto da dover ricorrere ripetutamente v. elenco a f. 8 del ricorso ad illazioni e supposizioni tutte prive di fondamento e ricorda, per contro, l'assenza di risposta su aspetti obiettivi f. 19 es. il fallo di pongo, i giochi di A. con due bambolotti e le sue animazioni proprie di rapporti sessuali, il disgusto da lei maturato per le sostanze fluide ed, in particolare, per la pasta di sale o l'abitudine di sputare molto spesso ovvero, infine, la risposta illogica della corte a proposito degli esiti cicatriziali nella zona anale di G. riferiti ad un prurito e ad un'attività di trattamento della bambina a seguito di una dermatite alle gambe senza che però segni di analogo sfregamento fosse stato rinvenuto, appunto, sulle gambe f. 20. 3 violazione di legge dal momento che, contrariamente a quanto indicato dai giudici di legittimità, la corte d'appello non ha provveduto c.d. un “esame compiuto ed unitario del contesto probatorio”. Al contrario, si fa notare che la Corte ha adottato un metodo opposto sì che, invece di partire dalle dichiarazioni di A. e dai malesseri giudicati talmente gravi da richiedere l'ausilio di un neuropsichiatria è, invece partita dalle narrazioni più fantastiche fatte da ultimo dalla bambina passandole al setaccio come sotto una lente di ingrandimento come se si fosse trattato di dichiarazioni di un adulto e non di un essere che ha una propria dimensione spazio-temporale, ed ha finito per travolge tutte le affermazioni di A. sotto l'etichettatura di poco verosimile o in veritiero. Il tutto, ignorando anche le indicazioni della S.C. a proposito della frazionabilità delle dichiarazioni accusatorie f. 17 sent. s.c. . Inoltre, secondo il ricorrente, i giudici d'appello, sottraendosi all'invito della S.C. ad effettuare un esame unitario del contesto probatorio, hanno, per contro, parcellizzato le dichiarazioni dei singoli bambini isolandole une dalle altre ed evidenziando le diversità dei racconti come se le modalità dell'abuso dovessero essere sempre le stesse v. f. 93 sent. app . Al contrario, si sottolinea, è proprio il fatto che i bambini abbiano reso racconti con parole diverse, esprimendo emozioni differenti, tra loro non sovrapponibili, che avrebbe dovuto indurre ad escludere la tesi del contagio . Detto in estrema sintesi, la sentenza impugnata non ha spiegato come sia stato possibile che bambini in tenera età, che vivevano in ambienti familiari incontestabilmente sani e che frequentavano la scuola materna in sezioni diverse, abbiano improvvisamente iniziato, nello stesso contesto temporale a a tenere comportamenti del tutto simili tra loro per stranezza ed anomalia ed esprimendo uno stato di indubbio disagio insonnia, incubi, paure, rifiuto di andare a scuola e ad avere comportamenti o fare discorsi sessualmente orientati b a riferire di minacce per non denunciare c a manifestare comportamenti esplicitamente sessualizzati e non propri della loro età es. S. palpeggiava e baciava sulla bocca la madre, A. sovrapponeva due pupazzi simulando con gemiti un rapporto sessuale, W. palpeggiava gli organi del padre e gli chiedeva di dargli la lingua e di fare l'amore, C. toccava la sorella nelle parti intime e si masturbava, R. toccava il padre nelle parti intime e cercava di mordere e di abbassare le mutande al fratello sedicenne e ad evidenziare arrossamenti e gonfiori nelle parti intime. Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata. Con memorie depositate il 9 e 10 ottobre u.s., i difensori del M. hanno contrapposto al ricorso del P.G. argomenti tesi a ribadire la validità della decisione adottata dalla Corte d'appello. Ed, in particolare, una delle memorie, avanza dubbi di legittimità costituzionale degli articolo 627 e 628 c.p. p nonché dell'articolo 530 c.p.p. in relazione agli articolo 111 e 117 cost. con riferimento all'articolo 6 C.e.d.u. vista l'assenza, nel nostro sistema di un correttivo alla possibilità che una sentenza del giudice di rinvio possa essere impugnata, per così dire ad oltranza , ancorché si sia trattato di due pronunzie di assoluzione, e ciò in aperto contrasto con il principio della ragionevole durata del processo e con il rischio - ventilato in alcune decisione della Corte Europea - che una persona resti per troppo tempo nell'incertezza della propria sorte. Altre argomentazioni difensive, volte a ribadire la validità della decisione impugnata, sono state proposte con memoria del difensore del responsabile civile. In particolare, si fa notare che il giudizio di rinvio non è a conclusione obbligata e, passando in rassegna i punti nodali della vicenda, evidenzia come la corte d'appello abbia - contrariamente a quanto si sostiene nel ricorso - arricchito con indicazioni riparative congruenti i vizi rilevati nella pronuncia del primo rinvio. Considerato in diritto 3. Motivi della decisione - Il ricorso è fondato. 3.1 Ancorché possa apparire particolarmente grave e, sostanzialmente, non si dubita che io sia il fatto che l'accusa mossa all'imputato M. non abbia ancora trovato - e non trovi nemmeno in questa sede - una risposta definitiva dal sistema giudiziario, occorre subito sfrondare il campo dai dubbi di legittimità costituzionale insinuati dalla memoria difensiva a proposito dei rischi connessi alla possibilità che una sentenza possa essere impugnata, per così dire, ad oltranza. A tal proposito, soccorrono sia il testo letterale della norma costituzionale sia considerazioni di ordine logico. Ed infatti, la circostanza che l'articolo 111, sesto comma, cost. statuisca il principio secondo cui le sentenze possono sempre essere impugnate dinanzi alla S.C. di Cassazione sta solo a significare che l'ultimo grado di giudizio è deferito a tale organo giudiziario, non certo alla Corte d'appello, ancorché la stessa si sia già pronunciata due - ovvero come questo caso - persino, tre volte. Di certo, non giova allo scopo evocare il principio della ragionevole durata del processo perché, se è vero che ad un prolungamento dei tempi di decisione si accompagna il patimento dell'imputato per l'incertezza della propria sorte, non va neppure dimenticato che, allo stesso, fa da contraltare anche il patimento della vittima cui spetta altrettanta considerazione visto che il processo è configurato proprio allo scopo di assicurare il rispetto delle regole e, di conseguenza, l'affermazione di principi che conducano, per un verso, alla individuazione del responsabile e, per altro verso, alla riparazione - per quanto possibile - del danno causato dalla violazione delle norme. A ciò, si aggiunga anche il rilievo che, a seguire, i dubbi di legittimità costituzionale avanzati dalla difesa del M. , si finirebbe nel paradosso di dare legittimazione agli errori proprio quando reiterati. In un caso emblematico come quello in esame, infatti, il fatto che questa S.C. sia dovuta intervenire per due volte con pronunzie di annullamento è sicuramente sintomatico dell'accertata verificazione di anomalie nel processo decisionale che non possono sanarsi grazie al fatto di essere state ripetute. La questione di legittimità costituzionale è, quindi manifestamente infondata. 3.2 Passando ora al merito delle censure che il P.G. muove alla decisione impugnata, va detto che, innanzitutto, essa coglie nel segno proprio nella parte in cui sottolinea un precipuo vizio che caratterizza la sentenza della corte d'appello, vale a dire, quello di avere ignorato il fatto di stare decidendo in sede di rinvio e di avere, invece, rivisitato i fatti secondo i motivi di impugnazione, per di più con tecnica parcellizzante, e non - come avrebbe dovuto - seguendo le indicazioni fornite dalla S.C. nella precedente decisione di annullamento. Peraltro, si fa giustamente notare, che anche laddove, all'apparenza, i giudici di secondo grado hanno affrontato i temi suggeriti del resto, inevitabili costituendo essi i punti nodali della decisione - quali sono la vantazione della attendibilità degli adulti e quella dei minori - essi hanno finito, sorprendentemente, per appiattirsi sulle medesime considerazioni, e talvolta illazioni, della precedente decisione di altra sezione della corte d'appello già criticata tanto da essere annullata da questa S.C Il vero è che, pur essendo innegabile la difficoltà di districarsi in una vicenda che, con il decorso del tempo e lo stratificarsi di pronunzie giurisdizionali tra loro contrastanti, finisce per risultare sempre più ingarbugliata, lo sforzo decisionale deve essere - tanto più in questa sede di ulteriore annullamento con rinvio - quello di semplificazione e chiarimento. L'impegno è sicuramente agevolato dalle lucide e puntuali critiche che l'odierno ricorrente muove ad una decisione che risulta tanto verbosa quanto, alla fin fine, poco chiara, assertiva, non organica ed, in buona sintesi, manifestamente illogica. Con percorso motivazionale, che ha finito per risultare incoerente, infatti, la valutazione dell'unico dato obiettivo e ragionevole costituito dal malessere dei bambini e dalle prime rivelazioni della piccola A. , ha finito per essere offuscata e confusa con la giusta preoccupazione di evitare il rischio che tali sintomi fossero solo il riflesso di preoccupazioni e timori degli adulti. Il risultato è stato, per un verso, una sopravvalutazione dei temi della attendibilità degli adulti e del possibile fenomeno del contagio e, dall'altro, una banalizzazione di gravi ed importanti segnali di malessere espressi da più minori e confortati persino da riscontri obiettivi. Per di più, nel fare ciò, i giudici di appello hanno completamente ignorato le indicazioni loro fornite in proposito dalla precedente sentenza di annullamento di questa IV sezione. Tanto per iniziare, infatti, ciò che i giudici di questa S.C. avevano detto a proposito del vaglio della attendibilità degli adulti era stato di una chiarezza indiscutibile. Si era, infatti, richiamata l'attenzione sulla esigenza di “prendere le mosse dai giudizi in proposito espressi dal collegio di periti incaricato di sottoporre ad analisi psicopedagogica i minori indicati quali vittime dei riferiti abusi e prendere atto della loro positività. Il collegio peritale, invero, dopo avere avuto diversi colloqui con i genitori dei minori, si è espresso in termini del tutto positivi, avendo riscontrato non solo l'assenza di patologie, ma anche la spontaneità, sincerità ed onestà con cui essi avevano affrontato la delicata situazione”. In particolare, i giudici di legittimità f. 10 , proprio con riferimento ai genitori della piccola A. che per primi avevano denunciato avevano sottolineato “la linearità della condotta e la capacità di gestire con intelligenza ed equilibrio i comportamenti della bambina in una situazione di grave disagio psicologico” e ricordato come, anche nei precedenti giudizi, fossero risultate indiscusse “la coerenza e la linearità delle dichiarazioni dei genitori nonché l'assenza di ragioni di rancore o risentimento degli stessi, nei confronti dell'imputato, che potessero averli indotti ad imbastire accuse calunniose”. E, sempre sul tema della attendibilità degli adulti, la sentenza di annullamento con rinvio - che ha preceduto quella qui impugnata - aveva posto l'accento anche sul fatto che, se qualche dubbio di partigianeria avrebbe potuto raggiungere i genitori dei minori, ben più difficilmente tale ipotesi sarebbe valsa per le maestre che avevano raccolto le confidenze dei minori “posto che, evidentemente, salva la prova contraria, la loro condizione esclude un loro interesse diretto nella vicenda e quindi allontana il pericolo di suggestioni dovute ad un coinvolgimento meramente emotivo”. Ovviamente, i giudici di legittimità avevano rimarcato la piena libertà del giudice di merito di discostarsi da quelle conclusioni dei periti, a condizione, ovviamente, che ciò fosse fatto con una coerenza argomentativa dei motivi che, però, non era stata rinvenuta da quei giudici nella decisione portata alla loro attenzione e che non può essere ravvisata neppure in quella qui in esame visto che, nonostante le chiare indicazioni fornite dalla sentenza di legittimità, anche in questo caso i giudici di merito hanno disatteso le considerazioni dei periti sulla base di un argomentare che non si rivela né chiaro né convincente. Ed infatti, dopo alcune considerazioni generali ma poco pertinenti visto che si stava discutendo della attendibilità degli adulti - circa i dettami della c.d. Carta di Noto ed il fatto che le conclusioni peritali non esimono il giudice dal valutare l'attendibilità dei minori alla luce di tutte le risultanze processuali - i giudici di appello, per un verso, hanno dato atto che “anche le tesi difensive non mettono affatto in discussione la buona fede dei genitori” f. 35 ed hanno sottolineato che - sempre nella tesi difensiva - non si esclude che “i minori siano privi di attitudine a testimoniare”, ciò non di meno, per altro verso, all'asserito scopo di verificare la tesi difensiva circa il verificarsi di “fenomeni di etero suggestione, di contagio, di condizionamento emotivo, di falso ricordo” f. 35 , si è inaugurato un nuovo percorso di esame delle dichiarazioni dei minori che non potendo che passare attraverso le parole degli adulti che avevano fatto loro da tramite ha finito, nella sostanza, per ribaltare il giudizio di affidabilità praticamente indiscusso degli adulti attraverso la vera e propria insinuazione che la genesi delle dichiarazioni dei minori sia avvenuta a causa di un contesto di possibili suggestioni da parte di genitori, sia pure in buona fede. La qual cosa ha finito per cancellare, come un colpo di spugna, due premesse date per scontate persino dalla difesa dell'imputato relativamente alla obiettività, attendibilità e genuinità degli interventi degli altri adulti ed alla capacità a deporre dei minori attestate anche dai periti. A tale stregua, sicuramente i giudici del rinvio non hanno fatto buon uso delle indicazioni loro rivolte dalla corte di legittimità. E la cosa appare ancora più evidente passando in rassegna gli esempi sui quali la Corte ha fondato il proprio convincimento che, innanzitutto, finiscono per corrispondere integralmente a quelle argomentazioni, sviluppate dalla prima decisione di assoluzione della Corte d'appello che, però, era stata censurata da questa S.C. con il precedente annullamento con rinvio. I giudici di secondo grado, reiterano, così, il sospetto che le rivelazioni progressive fatte dalla piccola A. , di cui la madre aveva tenuto nota in un diario, fossero state solo il frutto di un assecondare della bimba le preoccupate domande della madre visto che se ne ignora il contenuto e del padre giunto a stilare dei disegni sulla base delle indicazioni della bambina , sì da poter dubitare di essere in presenza di un “un'opera interpretativa delle affermazioni di A. ”. I giudici hanno poi, ribadito il convincimento che gli argomenti a sfondo sessuale fossero stati trattati dalla bambina solo dopo che i genitori, a seguito dell'incontro con la neuropsichiatra Dott.ssa P. , erano stati indirizzati nel sospetto che i malesseri della bambina fossero conseguenza di abusi sessuali. E così, i giudici, pur ricordando che la bimba aveva chiaramente espresso un senso di malessere per la inadeguatezza a fare un lavoretto e, pur riconoscendo che il termine schifoso da lei usato non fosse comune nel lessico dei bambini, hanno ritenuto comunque, di escludere un nesso fra tali sintomi e la figura del M. e ciò, sebbene la stessa parola schifoso , attribuita da A. al M. , fosse stata riferita anche dalla piccola G S. . La stessa cosa è, quindi avvenuta anche quando ella ha riferito di quella persona che l'aveva accompagnata in bagno per costringerla a fare la pipì anche e se lei aveva detto di non avvertirne il bisogno. Opinano, infatti, i giudici che appariva alquanto “inverosimile” f. 46 dare una lettura maliziosa del racconto della bimba visto che quello di accompagnare in bagno i bimbi era proprio compito precipuo del bidello, M. . Come, però, si diceva in precedenza, ferma restando la libertà del giudice di merito di dare ai fatti la lettura che si preferisce, è doveroso che essa sia il risultato di un ragionamento coerente in cui si tenga conto anche delle altre emergenze. Ciò non sembra abbiano fatto i giudici di appello, nella specie, quando hanno semplicemente ignorato le critiche che già in precedenza erano state rivolte all'altra sentenza in cui erano stati sviluppati questi medesimi argomenti cui, però, quei giudici di legittimità avevano obiettato osservando, ad esempio, che il fatto che la precedente corte d'appello che aveva usato lo stesso argomento non aveva neppure considerato “sia pure per escluderla, la possibilità che proprio l'intervento della neuropsichiatra, che aveva indicato ai coniugi le migliori tecniche di interrogazione della bimba, poteva aver loro consentito di avviare un più proficuo dialogo con la figlia per indurla a confidarsi fino a rivelare progressivamente i racconti più scabrosi” f. 20 . Ma l'esempio più evidente di come il percorso argomentativo dei giudici di merito sia stato unidirezionale lo si rinviene nel modo in cui essi hanno sottovalutato il dato obiettivo - da essi stessi riferito - f. 46 che la piccola A. “quando ha dovuto dare un nome al soggetto che le creava disagio e che, fino ad allora aveva indicato come la sua ombra . aveva parlato di un maschio . magro, nanerottolo, con occhiali verdi, baffi neri e pizzetto nero”. A tale riguardo, il ricorrente sostiene che tale descrizione corrisponde perfettamente alle fattezze fisiche dell'imputato . Non è certo questa la sede per un simile apprezzamento di fatto ma è, però, qui, possibile constatare come gli stessi giudici di appello non abbiano speso una parola per negare che ciò che sostiene il P.G. ricorrente sia vero e si siano semplicemente limitati a sottolineare in senso materiale - v. f. 46 il fatto che A. nel fare tale - indubitabilmente molto precisa e peculiare - descrizione di fattezze umane avesse detto che l'uomo si chiamava M. e, dopo avere riportato la precisazione della bimba . “non è Gi. perché lui è bravo, è l'altro, a scuola sono tutti bravi tranne il ciuccio . numero numero r. si comprende aliunde che, nel lessico della bambina si trattava di un gioco, a forma di biberon gigante, prima molto amato ma poi detestato ” i giudici concludono che “sembra evidente che si tratti della risposta alla domanda rivolta dai genitori di individuare il soggetto cattivo all'interno della scuola che l'aveva disturbata”. La frase appare perfino incomprensibile nella sua ovvietà, ciò che è illogico è che in essa sia quasi implicita un'attestazione di disvalore della rivelazione per il solo fatto di rappresentare la risposta alla del tutto verosimile e comprensibile richiesta dei genitori di indicare l'uomo che le creava malessere. Il percorso motivazionale prosegue in modo sempre meno coerente nel momento in cui gli stessi giudici attestano che nella scuola, a parte Gi. , “l'unico maschio che svolgeva compiti vicini ai bambini era proprio B. ” ma si affrettano a sottolineare che, quest'ultimo non era ben visto dai genitori. La circostanza, attestata anche dalle parole della piccola I. che in seguito avrebbe dichiarato che quel bidello le faceva paura - v. f. 47 , viene nuovamente spiegata dai giudici di appello con la considerazione che - come deposto da una delle maestre - M. aveva dei modi bruschi, privi della necessaria delicatezza. Al contempo, i giudici di merito, rinnovano la già criticata affermazione della precedente decisione della Corte d'appello secondo cui il fatto che M. non fosse visto di buon occhio sarebbe stato alla base della sua identificazione . Come, però, bene stigmatizza il ricorrente, f. 4 , le incertezze sulla individuazione del nome di B. ed il suo stesso apparire presentano una precisa e logica chiave di lettura del tutto trascurata dai giudici di merito i quali, in primo luogo, non hanno considerato che proprio le esitazioni possono essere “sintomatiche della assoluta obiettività” dei genitori di A. e, comunque, non hanno spiegato come mai, nonostante il pregiudizio di cui si fa comunque carico ai signori F. , il nome di B. sia emerso per la prima volta “durante la visione di un cartone animato e dunque non in occasione delle interrogazioni dei genitori” f. 20 . Il vero è che, come già avevano sottolineato i giudici che avevano pronunciato l'annullamento con rinvio - commentando argomentazioni che la presente sentenza ha meramente replicato - il tema della attendibilità dei racconti fatti dalla piccola A. cosi come venuto a conoscenza attraverso le parole dei suoi genitori è stato trattato e concluso dai giudici del rinvio con un approccio, per così dire di tipo autistico . In altri termini, pur dando atto perché obiettivamente esistenti delle conclusioni peritali e delle inquietanti emergenze dei racconti di A. e degli altri minori, essi sono, poi, pervenuti - immotivatamente - ad un giudizio di sostanziale inattendibilità degli stessi. Senza entrare nel dettaglio degli inquietanti e scabrosi particolari raccontati dai bambini dall'episodio del serpente alle palline di cacca è sicuramente stata chiara questa S.C. quando, nel commentare la precedente decisione aveva osservato che con il proprio decisum, quei giudici di merito esattamente come i presenti hanno finito per avallare, non solo l'idea che i genitori di A. e gli altri adulti sarebbero stati inattendibili perché le cose loro asseritamente riportate dai bambini erano frutto di un processo di auto ed etero suggestione ma hanno addirittura ammesso la eventualità di essere al cospetto di soggetti pronti a tutto al punto da metterle sulla bocca racconti di sessualità anche deviata, imbarazzanti persino per un adulto racconti che, a questo punto, dovrebbero ritenersi frutto delle perverse fantasie degli stessi genitori, evidentemente inaffidabili”. Anche questo collegio, infatti, conviene con i precedenti giudici di questa S.C. sul fatto che la descrizione, da parte di A. di atti sessuali tanto crudi e specifici, “se si esclude che abbia avuto origine da un'esperienza effettivamente vissuta dalla bimba, non potrebbe che essere il frutto di suggestioni determinate non tanto da un errato approccio al problema da parte dei genitori, quanto di una loro fantasia perversa”. Di ciò non sembrano essersi fatti carico nemmeno i presenti giudici di rinvio che, perseverando, hanno ignorato il preciso invito loro rivolto a spiegare come fosse stato possibile che una bambina che viveva in un ambiente sano come indiscutibilmente attestato sin dalla sentenza di primo grado , seguita da genitori che i periti hanno concordemente giudicato positivamente, fosse stata in grado di descrivere una scena dai significati chiari per un adulto aduso a conoscere le vicende di un atto sessuale ma inimmaginabile da parte di una bimba in tenera età come era A. , se non per averla personalmente vissuta. Nel racconto della bambina, infatti, B. si era abbassato i pantaloni e le mutande, scoprendo un “pisello enorme che sembrava un serpente ., più grande di quello del papà” egli aveva, poi, con delle forbici, “tagliato il serpente che aveva attaccato al pisello”. Il racconto della bambina era stato corroborato da su un foglio che poi ella aveva arrotolato formando una specie di tubo che si era portato alla bocca, mimando quello che l'uomo le avrebbe fatto. Sorprendente è anche al precisazione che “in bocca il serpente era molliccio e sembrava che si sciogliesse”. I precedenti giudici di legittimità, al riguardo avevano censurato l'affermazione di inverosimiglianza fatta dalla corte d'appello sul rilievo che non sarebbero state comprensibili le ragioni del taglio del preservativo e dell'uso stesso del profilattico e neppure la descrizione del pene che, essendo presumibilmente in erezione, era stato invece descritto come qualcosa di molliccio che si scioglieva . Nell'occasione questa S.C. aveva obiettato che non erano state considerate una serie di possibilità “che il taglio del preservativo potesse riferirsi alla confezione al cui interno esso era raccolto, che l'uso dello stesso fosse determinato dall'esigenza di non lasciare sulla bambina tracce organiche dell'abuso, che la descrizione del pene molliccio, che sembrava che si sciogliesse, potesse riferirsi, nel racconto della bambina, alla fase finale dell'atto sessuale, allorché il pene non era più in erezione, che l'impressione che lo stesso si scioglieva potesse rappresentare la descrizione della sensazione provata dalla bambina al momento dell'eiaculazione”. Orbene, di fronte a siffatte angolazioni prospettiche tese a criticare la inadeguatezza della interpretazione data ai fatti dai precedenti giudici di merito, anche nella sentenza qui in commento ci si imbatte in attestazioni di inverosimiglianza f. 133 ss. in questo caso connesse a mere impressioni del giudicante secondo cui, non essendo quelle parole il risultato di un patrimonio linguistico di un bimbo in così tenera età, si sarebbe stati al cospetto di mere interpretazioni della madre soggiungendosi che, sia pure inconsapevolmente, quest'ultima avrebbe finito per elaborare un siffatto turpe racconto. In via di mera ipotesi, la eventualità non può essere esclusa ma, per essere validamente sostenibile deve essere confortata, in primo luogo, da una precisa replica alle obiezioni già fatte dai giudici del rinvio circa il fatto che i genitori di A. , davanti ai disturbi comportamentali manifestati dalla figlia nel mese di ottobre, secondo quanto emerge dagli atti, avevano seguito un percorso del tutto coerente rivolgendosi, inizialmente, ad un pediatra e, quindi, su consiglio del medico, ad una neuropsichiatra secondariamente, la tesi dei giudici di merito non tiene in alcun conto l'intero contesto che è emerso dal processo anche attraverso le testimonianze delle maestre e dei genitori degli altri bambini. Nuovamente, i giudici d'appello, nella decisione qui in discussione hanno portato avanti la tesi della suggestione collettiva e del contagio ignorando, però, del tutto le obiezioni che ad essa erano già state rivolte da questa S.C. nella sentenza con cui era stata annullata quella precedente che aveva sposato la stessa linea . Giustamente si era, infatti, sottolineato che, restando indubitabile la possibilità per la corte del rinvio di manifestare un giudizio opposto a quello del primo giudice, ciò si sarebbe potuto - e dovuto - fare solo dopo un attento esame di tutti i comportamenti e delle emergenze processuali che evidenziavano un sicuro giudizio positivo dei periti anche rispetto agli altri genitori. Il tutto, senza tralasciare di soggiungere che la tesi dei giudici di appello - oltre ad andare nuovamente nella direzione opposta alle conclusioni degli esperti - risulta alquanto semplicistica nell'ipotizzare che possa essere bastato il diffondersi delle notizia degli abusi denunciati da A. perché, in varie altre famiglie di altri minori, i genitori potessero collezionare agevolmente, con metodo auto ed etero suggestivo, dichiarazioni simili da parte dei rispettivi figli con buona pace di qualsiasi pericolo per la evoluzione psichica dei piccoli - da immaginare sostanzialmente costretti a raccontare fatti scabrosi da loro mal vissuti - ed anche con buona pace del fatto che, a ben vedere, tali genitori non avevano un peculiare interesse persecutorio nei confronti dell'imputato né, ancor meno, ragioni di interesse alcuno ad allinearsi alla disgraziata vicenda loro riportata dai genitori di A. . Il discorso potrebbe diventare molto più lungo se portato nel dettaglio ma, a convincere definitivamente della incongruità ed illogicità della motivazione con cui i giudici di appello hanno definito la vicenda, soccorrono le reali assenze di risposte ai gravi malesseri denunciati da A. e da altri bimbi e le risposte piuttosto banalizzanti e frutto di un giudizio di soggetti certamente non esperti del settore con cui, non solo, sono state fatte affermazioni in libertà a proposito del prototipo di pedofilo - ma si è anche preteso di spiegare sia i disturbi comportamentali comuni manifestati dai bimbi che quelli apertamente sessualizzati di A. e degli altri piccoli. Ed infatti, alquanto assertivamente, le obiettive emergenze in proposito sono state risolte con riferimento al cambio di classe e/o di maestra ovvero alla scoperta del sesso . Nuovamente, si deve qui sostenere - in modo concorde alla precedente decisione di annullamento - che è sicuramente nelle prerogative dei giudice di merito optare per una delle possibili interpretazione cui le vicende umane normalmente prestano il fianco ma, nel fare ciò, si deve fornire una motivazione coerente con le emergenze processuali ed intrinsecamente logica e che - soprattutto - esamini la vicenda nella sua complessità. Orbene, non vi è dubbio che, anche a tale proposito, la decisione in esame è censurabile. Ed infatti, nelle proprie assertive prese di posizione essa impugnata ha seguito una linea esattamente opposta di segmentazione e parcellizzazione finendo per dare la sensazione che l'esame di ciascun dettaglio sia avvenuto fuori dal contesto . La cosa è clamorosamente chiara se si considera che i giudici di merito non hanno dato risposta ad un semplice interrogativo posto loro dalla precedente decisione di questa S.C., e cioè, come sia stato possibile che “nello stesso contesto temporale, bambini in tenerissima età, tranquilli e dediti ai giochi tipici dell'età, appartenenti ad ambienti familiari sani e consapevoli, privi di tensioni o problematiche particolari, se si eccettua quello del piccolo W. , orfano di madre, e tuttavia attentamente seguito dal padre, appartenenti alla stessa scuola, ma a sezioni diverse, abbiano improvvisamente iniziato a a tenere comportamenti, del tutto simili tra loro, strani ed anomali rispetto a quelli pregressi, che segnalavano, evidentemente, condizioni di chiaro disagio ad un certo punto, tutti i bambini hanno manifestato insonnia, aggressività anche verso sé stessi, rifiuto della scuola, incubi, paure prima mai manifestate b a raccontare storie a sfondo chiaramente sessuale che, in ragione della loro età, non potevano far parte del loro patrimonio di esperienze storie che, pur differenti in talune parti, in altre presentavano chiare affinità, in quanto caratterizzate da palpazione e manipolazione delle parti intime, baci con la lingua, rapporti orali, ovvero vaginali o anali, quantomeno tentati c a riferire di minacce ricevute per non denunciare gli abusi d a manifestare comportamenti chiaramente sessualizzati, atteggiamenti, cioè, di valenza sessuale, del tutto impropri in bambini di così tenera età S. palpeggiava e baciava sulla bocca la madre e pretendeva di farle la pipì addosso, A. sovrapponeva due pupazzi, maschio e femmina, ed ansimava riproducendo un rapporto sessuale, W. palpeggiava gli organi genitali del padre e gli chiedeva di dargli la lingua e di fare l'amore Gi. rilevava un'infiammazione nella zona genitale della figlia, oltre alle cicatrici in zona anale, la madre di R. notava lividi al sedere, alle gambe ed alle braccia della figlia ”. Si potrebbero, poi, soggiungere ulteriori dettagli obiettivi evidenziati dal ricorrente concernenti il rinvenimento sia nella cantina della scuola indicata dai bambini come uno dei luoghi in cui erano stati condotti che nell'armadietto del M. , di indumenti e parrucche la cui presenza troverebbe una spiegazione nei racconti dei bambini secondo cui le persone che avrebbero fatto con loro le cose denunciate si sarebbero camuffate da pagliacci ma che è stata semplicisticamente liquidata dai giudici con l'ipotesi che si trattasse di oggetti portati a scuola dai familiari per travestimenti periodici senza che, però, la spiegazione si attagli, ad esempio, anche al pezzo di pongo modellato a forma di fallo che, come chiosa il ricorrente “non aveva alcuna ragione di trovarsi in una scuola materna ma che assume un in equivoco significato nel contesto dei racconti dei bambini”. Risulta, quindi, altamente illogico da parte dei giudici di merito non avere commentato la cosa in alcun modo ma essersi limitati a spiegazioni banalizzanti e, comunque, inadeguate, in parte già segnalate in precedenza nel riassumere le ragioni del ricorrente e che sono emblematicamente testimoniate anche solo dalla giustificazione data dai giudici all'obiettivo riscontro di degli esiti cicatriziali nella zona anale della piccola G. . Questi ultimi, infatti, vengono riferiti ad un prurito e ad un'attività di trattamento della bambina a seguito di una dermatite alle gambe senza che però segni di analogo sfregamento fossero stati rinvenuti, appunto, sulle gambe f. 126 . Il vero è che, più la si analizza, più la sentenza impugnata riflette il vizio originario -segnalato dal ricorrente - di non avere tenuto conto delle precise indicazione che le erano venute dalla sentenza con cui questa S.C. le aveva rinviato gli atti ed, anzi, di essere incorsa esattamente nel medesimo errore denunciato dalla Corte per la precedente decisione, da essa annullata di avere operato, cioè, solo una lettura parziale dei contesti probatori relativi a ciascuno dei minori coinvolti finendo con il “frazionarli e parcellizzarli, isolando i diversi episodi per rilevarne incongruenze ed inverosimiglianze, contraddizioni e dubbi che un più complessivo esame degli elementi probatori acquisiti avrebbe potuto chiarire ovvero dissipare”. A seguito della giusta evidenziazione del P.G. ricorrente, perciò risulta nuovamente incongruo che i giudici di merito nel commentare i racconti dei bambini a proposito del luogo in cui sarebbero Stati condotti la trappola di cui parla la piccola G. - corrispondente effettivamente ad un passaggio scomodo e normalmente non utilizzato di cui la polizia aveva accertato l'esistenza “una grata sollevata la quale e scendendo alcuni gradini si accedeva al piano interrato, composto dalla cantina, dal locale caldaia e da un piccolo locale da cui si poteva accedere all'asilo o alla casa del custode” - si siano diffusi nel commentare la scarsa utilità e sicurezza di un simile passaggio ma non abbiano risposto all'unico argomento sottolineato dalla S.C., consistente nell'interrogativo su come avesse potuto, una bimba di 4 anni, essere al corrente di quel passaggio e del posto cui esso conduceva e che ella aveva descritto con tanta dovizia di dettagli. Alla luce di questa ed altre discrasie analiticamente evidenziate dal P.G. nel proprio ricorso v. f. 13 , è, quindi ben possibile concludere che la sentenza in esame si è sottratta al confronto con i temi che pure molto chiaramente la decisione di annullamento di questa S.C. aveva evidenziato e non si possono che ribadire i rilievi da quest'ultima effettuati a proposito della mancanza di una visione di insieme delle esperienze che il processo ha fatto venire a galla vistone che - soggiunge la S.C. – “ha, viceversa, ampiamente apprezzato il giudice di primo grado, le cui argomentazioni ed osservazioni in merito, pur pertinenti ed approfondite, sono state, però, sostanzialmente ignorate dalla corte territoriale, dalla quale era lecito attendersi un'altrettanto approfondita riflessione” . Ne è risultata, per contro, una visione rigida dei fatti, avulsa dalle conclusioni dei periti e dalla logica secondo cui, specie per materie come quella qui in esame, si deve tener conto anche della peculiarità dei tempi di rivelazione e di emersione dei fatti, della capacità espressiva dei minori ma anche dei livelli di comunicazione esistenti tra genitori e figli sì da non potersi - come avvenuto nella specie - una volta delegittimata nei modo criticabile sopra riportato la credibilità dei primi dichiaranti - accomunare indistintamente tutte le ulteriori situazioni degli altri minori quasi fosse normalmente consequenziale che, apprendendosi di abusi in danno di una bimba di un'altra classe , sussista una sorta di doveroso adeguamento delle famiglie di altri bimbi a siffatti turpi racconti. È, quindi, avviso di questo Collegio che i giusti rilievi del P.G. meritino accoglimento e che la decisione impugnata debba essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano per un nuovo esame della vicenda alla luce dei rilievi qui mossi e che, sostanzialmente, ribadiscono le ulteriori ed omologhe considerazioni fatte da questa S.C. in sede di precedente rinvio. P.Q.M. Visti gli articolo 615 e ss. c.p.p Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.