Domanda di esatto adempimento e domanda di risoluzione: quando è possibile promuoverle congiuntamente?

Il principio dell’inammissibilità della domanda di adempimento proposta successivamente a quella di risoluzione art. 1453 c.c. , deve ritenersi applicabile alla duplice condizione 1 che la domanda di risoluzione sia stata proposta senza riserve, in quanto, alla luce del principio di buona fede oggettiva, il comportamento del contraente che chieda incondizionatamente la risoluzione è valutato dalla legge come manifestazione di carenza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva, sicché l’esercizio dello ius variandi deve, per converso, ritenersi consentito quando la domanda di risoluzione e quella di adempimento siano proposte nello stesso giudizio in via subordinata 2 che esista interesse attuale dell’istante alla declaratoria di risoluzione del rapporto negoziale, di talché, quando tale interesse venga meno per essere stata la domanda di risoluzione rigettata o dichiarata inammissibile, la preclusione de qua non opera, essendo venuta meno la ragione del divieto di cui al ricordato art. 1453 c.c

Con la sentenza n. 20899 del 12 settembre 2013, la Corte di Cassazione affronta la questione del rapporto tra domanda di esatto adempimento e domanda di risoluzione, indicando le condizioni ed i presupposti perché tali domande possano avanzarsi congiuntamente in un giudizio, anche in via l’una in via subordinata rispetto all’altra. Il caso. La vicenda decisa dalla Cassazione con la sentenza in commento ha origine dall’azione di risoluzione di un contratto di leasing promossa dalla società utilizzatrice dei beni per inadempimento del fornitore e, in subordine, per esatto adempimento e risarcimento del danno. La domanda viene rigettata in primo e secondo grado, sul rilievo dell’inammissibilità della domanda di esatto adempimento proposta successivamente, come emendatio libelli, a quella di risoluzione. Il S.C., per contro, accoglie il ricorso rimettendo la causa innanzi alla Corte di Appello di Roma, rilevando che, qualora non sussista più l’interesse alla domanda di risoluzione, può essere proposta, e quindi esaminata, anche la domanda di esatto adempimento, anche se proposta successivamente o in via subordinata. Azione di risoluzione ed azione di esatto adempimento come e perché. Una volta verificatosi l’inadempimento di una obbligazione, la parte non inadempiente può agire in giudizio chiedendo l’azione di esatto adempimento, la risoluzione del contratto o il risarcimento del danno. Essendo l’azione di risoluzione e quella di adempimento tendenti ad ottenere risultati a tutta evidenza inconciliabili, è necessario un coordinamento delle azioni in questione. La regola generale prevede che la risoluzione possa essere domandata anche quando il giudizio sia stato promosso per ottenere l’adempimento, mentre non può chiedersi l’adempimento quando sia stato richiesta la risoluzione. Domanda di risoluzione e di adempimento congiuntamente solo a certe condizioni. Come visto in precedenza, ai sensi del secondo domma dell’art. 1453 c.c., non è possibile richiedere l’adempimento del contratto quando sia stata domandata la risoluzione dello stesso il che però non esclude la possibilità di formulare tale richiesta, in via meramente subordinata rispetto all’altra. L’esercizio dello ius variandi di cui all’art. 1453 c.c., infatti, è consentito quando la domanda di risoluzione e quella d’adempimento sono proposte nello stesso giudizio proprio in via subordinata non altrettanto può dirsi quando la manifestazione di volontà del contraente che agisce per la risoluzione e per l’adempimento avviene non contestualmente ma in separati giudizi. Risoluzione e adempimento il rapporto tra i diversi interessi. Secondo l’interpretazione data dalla giurisprudenza all’art. 1453 c.c., la manifestazione di volontà diretta alla risoluzione del contratto è dalla legge valutata come mancanza in chi la emette di un interesse a conseguire la prestazione tardiva per l’affidamento che essa determina, non può vincolare, quindi, l’altra parte ad attendere l’esito anche delle azioni successivamente proposte nei suoi confronti. Azione di inadempimento e risoluzione quale prova a carico del creditore? Per quanto concerne l’onere probatorio, si osserva che il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c In particolare, anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento, perché l’eccezione si fonda sull’allegazione dell’inadempimento di un’obbligazione, al quale il debitore di quest’ultima dovrà contrappone la prova del fatto estintivo costituito dall’esatto adempimento. Adempimento o risoluzione gravità dell’inadempimento e valutazione del Giudice. Qualora venga proposta la domanda di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare e di risoluzione del medesimo per inadempimento, il Giudice deve procedere a una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti che le parti si sono addebitati al fine di stabilire se sussista l’inadempimento che legittima la risoluzione la valutazione della gravità dell’inadempimento, prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo, è rimessa al giudice del merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici. Mutatio ed emendatio libelli come e perché. La Corte affronta poi la questione della differenza tra mutatio ed emendatio libelli, proprio in relazione alle due domande di risoluzione e di adempimento di cui si tratta in precedenza. Secondo un consolidato orientamento di legittimità, si ha mutatio libelli quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo si ha, invece, semplice emendatio quando si incida sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum , nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere. Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, richiamando la disciplina processuale vigente all’epoca del giudizio di primo grado, hanno affermato che, del tutto correttamente, la società attrice aveva formulato, all’udienza di prima comparizione, la domanda di adempimento in subordine a quella di risoluzione, già avanzata nell’atto di citazione. Risarcimento danni e mutatio libelli. Come illustrato, il secondo comma dell’art. 1453 c.c. deroga alle norme processuali che vietano la mutatio libelli nel corso del processo, nel senso di consentire la sostituzione della domanda di adempimento del contratto con quella di risoluzione per inadempimento, ma tale deroga non si estende alla domanda ulteriore di risarcimento del danno consequenziale a quelle di adempimento e risoluzione, trattandosi di domanda del tutto diversa per petitum e causa petendi rispetto a quella originaria. In un caso, il S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva statuito sulla domanda risarcitoria, per danni relativi al pagamento di oneri condominiali straordinari, avanzata dagli attori unitamente a quella di risoluzione del contratto di compravendita immobiliare proposta nel corso di un giudizio inizialmente intentato per ottenere il trasferimento dell’immobile ex art. 2932 c.c., con connesso risarcimento da ritardo nel conseguimento del bene stesso.