I costi sostenuti al nero possono essere dedotti anche ove tali costi non risultino dalle scritture contabili, ma da altri elementi, che li rendono certi e precisi, così le fatture di acquisto, pur non registrate, acquisite nel corso di un accertamento ispettivo, possono valere a fare ritenere non superata la soglia di punibilità prevista dalle fattispecie penali e dunque escludere il reato.
Questo il principio affermato dalla Terza sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 37131 del 10 settembre 2013. Rigore tributario e giudiziario. Quando la materia penale tributaria viene lasciata alla Sezione III non mancano pronunce, che si annotano con piacere, in quanto il rigore della normativa tributaria ed il stretto rispetto della legalità devono trovare applicazione e riconoscimento anche allorchè debbano essere utilizzati per escludere la penale rilevanza di condotte, pur palesemente evasive. Non sono infatti, purtroppo, frequenti quelle pronunce che meriterebbero divulgazione anche al di fuori dello stretto novero degli addetti ai lavori perché restituiscono all’azione giudiziaria una immagine di imparzialità e di equidistanza e di tutela del cittadino, di fronte alla legge, e dunque ne rafforzano anche l'autonomia dalle sempre più frequenti aggressioni esterne, politiche e non. Tale questione appare ancor più rilevante allorchè si verta della materia penale tributaria, che attiene all’esercizio della potestà punitiva dello Stato nei confronti del cittadino-contribuente, che si renda inadempiente ai propri obblighi tributari, nei confronti dello Stato stesso. E’ proprio in tali casi, infatti, che alla giurisdizione è richiesta una applicazione rigorosa delle norme non solo a carico, ma anche a discarico del cittadino, che dalla giurisdizione deve sentirsi tutelato anche nei confronti dello Stato - esattore, secondo lo stretto rispetto della legalità. Il caso. Un imprenditore salernitano era stato condannato in primo grado dal Tribunale per infedele dichiarazione commessa nell’anno 2004 e per omessa dichiarazione commessa nell’anno 2005. In entrambi i casi, dunque, il Tribunale di Salerno aveva ritenuto superato la soglia che determina la penale rilevanza delle condotte di cui agli artt. 4 e 5, Dlgs 74/2000. Avverso la pronuncia del Tribunale l’imputato aveva interposto impugnazione alla Corte distrettuale evidenziando che, in sede di accertamento, la Guardia di Finanza aveva rilevato l’esistenza di costi, comprovati da fatture di acquisti di beni e servizi strumentali, che tuttavia non erano stati presi in considerazione, in quanto detti costi non erano stati documentati ed inseriti nelle scritture contabili. La Corte di appello aveva tuttavia confermato la condanna ritenendo scarsamente attendibile la produzione delle mere fatture, soprattutto in quanto non accompagnata da alcuna spiegazione circa la totale mancata annotazione di detti costi nelle scritture contabili obbligatorie. Avverso la sentenza della Corte di Appello propone ricorso per Cassazione l’imputato deducendo la violazione dell’art. 109, comma 4, DPR 917/86, che prevede che le spese e gli oneri afferenti alla produzione del reddito sono ammessi in deduzione anche se non risultano dalle scritture contabili, qualora siano certi e precisi . Secondo la difesa del ricorrente se i giudici di merito avessero correttamente applicato tale norma avrebbero dovuto computare e detrarre come costi quelli documentati dalla fatture offerte in produzione ed, in conseguenza di mero calcolo matematico, la soglia di punibilità prevista negli artt. 4 e 5 del Dlgs 74/2000 non sarebbe stata superata, con conseguente esclusione di rilevanza penale delle contestate condotte di evasione. Elementi certi e precisi anche in caso di contabilità irregolare. La Corte viene dunque chiamata ad interpretare il dettato normativo dell’art. 109, comma 4, TUIR, che, come anticipato, esplicitamente, riconosce rilevanza ai fini della determinazione del reddito imponibile, ai costi che pur non risultino dalle scritture contabili, alla sola condizione che risultino da elementi certi e precisi . Il dettato della norma risponde ad una esigenza di tutela sostanziale del contribuente che non può vedersi negata la deduzione di costi effettivamente sostenuti per il mero dato formale di non averli riportati nelle scritture contabili. Ha errato dunque, secondo la Suprema Corte, la Corte di Appello nel non valutare attentamente quelle fatture di cui l’imputato aveva chiesto la produzione e della cui esistenza peraltro aveva dato contezza anche la stessa Guardia di Finanza in sede di accertamento ispettivo. Avrebbe dovuto il giudice di merito, quanto meno, verificare tale documentazione onde accertare se dalla stessa potesse o meno ritenersi provata in modo certo e preciso la presenza di costi relativi alla attività oggetto di accertamento. Sul punto dunque la sentenza viene annullata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli per nuovo esame, attenendosi al suddetto principio di diritto. E’ appena il caso di rimarcare come detto principio sia stato da tempo affermato sia dalla giurisprudenza tributaria Comm. trib. reg. Trieste sez. VII, 22 novembre 2010, n. 158 che da quella penale Cass. Pen., Sez., III, 19 febbraio 1990, Pederzoli ma significativa è la sua riaffermazione in un momento in cui si assiste ad una tale demonizzazione della violazioni tributarie si da invocare senza rendersi conto della impostazione meramente demagogica di tale opzione il costante ricorso della sanzione penale di fronte a evasioni fiscali di qualsivoglia natura e soglia. Processo accusatorio e art. 358 c.p.p Resta solo da chiedersi, dal momento che l’esistenza di detti costi era emersa già in sede di indagini preliminari all’accesso della Guardia di Finanza, se non fosse stato doveroso da parte del Pubblico Ministero - stante il dettato dell’art. 358 c.p.p,. che impone allo stesso di svolge re altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini - tener conto di detti costi onde verificare o meno il superamento della soglia di punibilità. Come noto, in realtà, detta norma rappresenta non solo, come autorevoli commentatori Giarda hanno evidenziato una stortura funzionale , ma, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale, condivisa anche da illustre dottrina Pansini , non mira neppure a realizzare il principio di eguaglianza tra accusa e difesa, nè ad attuare il diritto di difesa, quanto a consentire un corretto e razionale esercizio della azione penale da parte del Pubblico Ministero. Se, peraltro, il nostro processo vuol essere ancorato ad un rito accusatorio non vi è chi non veda come non sia tanto la mancanza di sanzione per la violazione del dettato dell’art. 358 c.p.p. a privare di efficacia detta norma, quanta la effettiva impossibilità di avere un Pubblico Ministero che operi come un Giano bifronte , figura non solo, come si è scritto, poco accreditabile ma addirittura inconciliabile con un processo di parti e nella auspicabile prospettiva di una prossima separazione di carriere tra Giudici e Pubblici Ministeri.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 aprile - 10 settembre 2013, n. 37131 Presidente Teresi Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 12 novembre 2012, la Corte d'appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno del 18 marzo 2009, con la quale l'imputato era stato condannato, per i reati di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso in danno dell'erario, nella qualità di amministratore unico di una società, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava nella dichiarazione annuale relativa all'IRES per l'anno di imposta 2004 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo della misura complessiva di Euro 601.056,00 e superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione con imposta IRES evasa pari a Euro 198.348,48 ed imposta Iva evasa pari a Euro 120.241,00, nonché ometteva la presentazione della dichiarazione fiscale ai fini del reddito e dell'Iva per l'anno di imposta 2005, in presenza di componenti positivi di reddito pari a Euro 508.768,00, con imposta IRES evasa pari a Euro 167.893,44 ed imposta Iva evasa pari a Euro 101.754,00. 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, rilevando, con unico motivo di doglianza, la violazione delle disposizioni incriminatrici, nonché dell'art. 109, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986. Si sostiene nel ricorso che la Corte distrettuale avrebbe travisato i fatti, affermando che l'imputato aveva dedotto il mancato superamento della soglia di punibilità limitandosi a produrre una quantità indiscriminata e scarsamente controllabile di fatture per acquisti, documentazione facente parte anch'essa delle scritture contabili, da ritenersi a loro volta inattendibili, omettendo una qualsivoglia giustificazione in ordine alla mancata annotazione dei costi deducibili dell'attività imprenditoriale. La difesa ritiene contraddittoria l'affermazione della Corte con la quale, da un altro, si evidenzia che la Guardia di Finanza in sede di accertamento aveva rinvenuto l'esistenza di costi e, dall'altro, si afferma che l'imputato avrebbe solo asserito l'esistenza di tali costi, senza mai darne compiuta prova. Non si sarebbe, poi, preso in considerazione quanto affermato dall'ufficiale della Guardia di finanza e dal funzionario dell'Agenzia delle entrate, i quali avevano precisato che i costi, pur dedotti, non erano mai stati presi in considerazione ai fini dell'accertamento. Conseguentemente la stessa difesa impugna espressamente l'ordinanza reiettiva della richiesta di ammissione di prova documentale fatta, ex art. 507 cod. proc. pen., all'udienza del 18 marzo 2009. Né sarebbe sufficiente, sul punto, la motivazione adottata dalla sentenza impugnata, secondo cui l'imputato, pur deducendo di avere sostenuto rilevanti costi connessi all'attività svolta, documentabili con fatture, ai fini del mancato superamento della soglia di punibilità, non ha fornito giustificazioni ragionevoli della mancata annotazione in contabilità degli asseriti costi, né ha mai ragionevolmente spiegati i motivi dell'omessa dichiarazione dei redditi per gli anni di riferimento. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è fondato. Il complesso delle argomentazioni difensive ruota intorno alla motivazione data dalla Corte d'appello circa l'inapplicabilità nel caso di specie dell'art. 109, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi motivazione rilevante ai fini del superamento delle soglie quantitative di punibilità fissate dalla legge. 3.1. - Tale disposizione prevede, come noto, che le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che, pur non risultando imputati al conto economico, concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi. Il legislatore ha inteso, dunque, consentire la deduzione dei costi sostenuti al nero anche ove tali costi - come è ovvio - non risultino dalle scritture contabili, ma da altri elementi, a condizione che questi ultimi siano certi e precisi . Per escludere l'applicabilità della disposizione in questione non è, perciò, sufficiente affermare che i costi riportati in deduzione non risultano dalle scritture contabili, perché, qualora si abbia contezza degli stessi, ad esempio desumendone l'esistenza dalle fatture di acquisto di beni e servizi acquisite nel corso dell'accertamento ispettivo, è necessario procedere comunque alla loro valutazione, quanto meno al fine di evidenziare la mancanza del requisito della certezza e della precisione della documentazione dalla quale essi emergono. 3.2. - Tale essendo la portata della norma richiamata, deve rilevarsi, quanto al caso di specie, che la certezza e la precisione richieste dalla stessa relativamente ai costi sostenuti al nero non sono escluse per il solo fatto che l'imputato non abbia mai fornito una benché minima ragionevole giustificazione della mancata annotazione in contabilità di detti costi, né per la presenza di irregolarità, sia pure macroscopiche, nella tenuta delle scritture contabili. Né può essere ritenuta insufficiente a tal fine - come invece fa la Corte d'appello - la circostanza che la produzione difensiva abbia per oggetto una quantità indiscriminata e scarsamente controllabile di fatture per acquisti, documentazione facente parte anch'essa delle scritture contabili, da ritenersi a loro volta inattendibili. Nel valutare i costi sostenuti al nero, il giudice di merito ha, infatti, come sopra precisato, l'onere di procedere ad una disamina analitica dei documenti dai quali essi sono fatti derivare, non potendosi far coincidere la mancanza di elementi certi e precisi relativi a detti costi con l'irregolarità, anche macroscopica, della tenuta della contabilità. 4. - La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata, con rinvio alla Corte d'appello di Napoli, la quale, facendo applicazione del principio di diritto enunciato sub 3.1., procederà a nuovo giudizio, fornendo un'adeguata motivazione orca la deducibilità, nel caso di specie, dei costi sostenuti al nero dalla società dell'imputato, previo analitico esame della relativa documentazione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Napoli per nuovo esame.