Coltelli, affettatrice e carta da asporto: macellazione commerciale non autorizzata, e non a fini domestici

Confermata l’ammenda inflitta nei confronti di un uomo. Decisivo il rinvenimento di prodotti finiti, insaccati per la precisione, e attrezzature per la lavorazione delle carni, oltre a carta destinata all’asporto per i clienti. Non regge l’ipotesi della destinazione domestica, anche tenendo presenti i quantitativi non limitati.

Macellazione fatta in casa. Ma ciò non significa, automaticamente, che essa sia destinata ad un uso prettamente domestico. Per questo motivo, il macellaio semi-professionista finito sotto accusa è obbligato a pagare mille euro di ammenda per aver violato la normativa in materia di sicurezza alimentare Cassazione, sentenza n. 32903, Terza sezione Penale, depositata il 30 luglio 2013 . Scorta domestica A dare il ‘la’ alla vicenda è il rinvenimento di prodotti alimentari salumi e formaggi e strumenti atti alla lavorazione di tali prodotti , strumenti quali coltelli e affettatrice . Elemento, questo, ritenuto sufficiente per dare corpo all’ipotesi di una attività di macellazione di animali, di produzione e di preparazione di carni in luogo non riconosciuto , attività che impediva che i prodotti potessero essere sottoposti ad ispezione sanitaria ante e post morte, e impediva la possibilità di rintracciare la provenienza degli animali . Ecco spiegata la condanna alla pena di 1.000 euro di ammenda . Pena che, però, viene contestata dall’uomo, il quale, attraverso il proprio legale, sottolinea che ci si trova di fronte a prodotti di origine animale , e comunque disponibili per esigenze domestiche . e macellazione ‘occulta’. Ma le osservazioni proposte dall’uomo vengono respinte dai giudici della Cassazione, i quali, alla luce della vicenda così come ricostruita precedentemente, ritengono acclarati elementi sintomatici dell’attività di macellazione e preparazione di alimenti insaccati in luoghi non conformi alla normativa . A mo’ di esempio, viene ricordata la carta utilizzativa per l’avvolgimento degli alimenti, recante la scritta Macelleria – carni nostrane – servirvi bene per noi è un piacere – la qualità è la forza delle nostre vendite” Come si può, allora, respingere l’idea che ci si trovi di fronte ad una attività di macellazione a fini commerciali ? Come si può sostenere l’idea di alimenti destinati al consumo domestico , anche tenendo presenti i quantitativi non certo limitati? Peraltro, aggiungono i giudici, è inutile il richiamo, fatto dall’uomo, alla presenza di alimenti di origine animale , come gli insaccati , perché anche quelli sono assoggettati alla normativa in materia di sicurezza alimentare . Per queste ragioni, il quadro è chiarissimo si può legittimamente parlare di macellazione ‘vietata’. Conseguenziale è la conferma della condanna, nei confronti dell’uomo, a pagare mille euro di ammenda.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 marzo - 30 luglio 2013, n. 32903 Presidente Squassoni – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1. Con sentenza del 22 febbraio 2011, il Tribunale di Salerno - Sezione Distaccata di Eboli - dichiarava O.L., colpevole del reato di cui all'art. 6 del D. L.vo 193/07, condannandolo alla pena di € 1.000,00 di ammenda. 1.2. Per l'annullamento della sentenza propone ricorso l'imputato a mezzo del proprio difensore fiduciario deducendo, con un primo motivo, violazione di legge per carenza della motivazione afferma la difesa che il Tribunale è pervenuto alla statuizione di condanna solo sulla base del rinvenimento di prodotti alimentari salumi e formaggi e strumenti atti alla lavorazione di tali prodotti coltelli, affettatrice, etc. , senza tuttavia tenere conto degli esiti dell'attività istruttoria dibattimentale ed, in particolare, delle risultanze testimoniali. Con un secondo motivo la difesa deduce violazione di legge per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale art. 6 del D. L.vo 193/07 afferma la difesa che il Tribunale non ha tenuto conto delle disposizioni contenute nell'art. 1 comma 2 del regolamento CE n. 853/04, secondo cui nella ipotesi di prodotti di origine animale trasformati nessun obbligo grava su esso ricorrente in merito all'osservanza del regolamento suddetto, precisando poi che, trattandosi di prodotti per esigenze domestiche proprie, la norma incriminatrice non poteva trovare applicazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile sia per genericità dei motivi sia per la loro manifesta infondatezza. 1.1. Va doverosamente premesso che all'O. è stato contestato il reato di cui all'art. 6 del D. L.vo 193/07 perché effettuava attività di macellazione di animali, di produzione e di preparazione di carni in luogo non riconosciuto ai sensi del Reg. CE n. 853/04 e quindi impediva che prodotti potessero essere sottoposti ad ispezione sanitaria ante e post morte e impediva la possibilità di rintracciare la provenienza degli animali . 1.2. Tanto precisato, il primo motivo è manifestamente infondato avendo il Tribunale spiegato in modo convincente ed esente da vizi logici manifesti le ragioni per le quali andava affermata la responsabilità penale dell'imputato, basandosi su una serie di elementi inequivocabili, ritenuti sintomatici dell'attività di macellazione e preparazione di alimenti insaccati in luoghi non conformi alla normativa vigente basta por mente all'accenno fatto dal Tribunale alla carta utilizzata per l'avvolgimento degli alimenti recante la scritta macelleria - carni nostrane - servirvi bene per noi è un piacere - la qualità è la forza delle nostre vendite ed al rinvenimento di attrezzature di vario tipo atte alla macellazione e di carni suine appese per l'essiccazione, per escludere in radice qualsiasi vuoto motivazionale da parte del Tribunale omissis sostegno del motivo appaiono generiche e soprattutto parziali in quanto circoscritte solo ad alcuni degli elementi presi in esame del Tribunale, con sapiente scarto di quelli che il Tribunale ha, a ragione, ritenuto decisivi ai fini della affermazione della responsabilità. 2. Parimenti infondato in modo manifesto il secondo motivo con il quale si sostiene la inapplicabilità del Regolamento CE n. 853/04 richiamato dalla disposizione incriminatrice contestata. Secondo quanto previsto al comma 1 dell'art. 6 del D. L.vo 193/07 Chiunque, nei limiti di applicabilità del regolamento CE n. 853/2004, effettua attività di macellazione di animali, di produzione e preparazione di carni in luoghi diversi dagli stabilimenti o dai locali a tale fine riconosciuti ai sensi del citato regolamento ovvero la effettua quando il riconoscimento e' sospeso o revocato e' punito con l'arresto da sei mesi ad un anno o con l'ammenda fino a euro 150.000, in relazione alla gravità dell'attività posta in essere . Detta norma è direttamente collegata - per via del richiamo testuale ivi contenuto - al regolamento CE n. 853/04, il quale contiene specifiche norme in materia di igiene per gli alimenti di origine animale, destinate agli operatori dei settore alimentare. Tali norme trovano applicazione per i prodotti di origine animale trasformati e non l'inapplicabilità di tali prescrizioni è invece circoscritta - salvo diversa disposizione di legge - agli alimenti contenenti prodotti di origine vegetale e, per quanto qui rileva, ai prodotti trasformati di origine animale, fermo restando però - per questi ultimi - l'obbligo di ottenere e manipolare tali prodotti utilizzati per la loro preparazione, in conformità ai requisiti fissati dal regolamento. 2.1. Secondo quanto previsto nel successivo comma 3, il Regolamento 853/04 non si applica a alla produzione primaria per uso domestico privato b alla preparazione, alla manipolazione e alla conservazione domestica di alimenti destinati al consumo domestico privato c alla fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore al consumatore finale o ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione a livello locale che riforniscono direttamente il consumatore finale d alla fornitura diretta di piccoli quantitativi di carni provenienti da pollame e lagomorfi macellati nell'azienda agricola dal produttore al consumatore finale o ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione a livello locale che forniscono direttamente al consumatore finale siffatte carni come carni fresche e ai cacciatori che forniscono piccoli quantitativi di selvaggina selvatica o di carne di selvaggina selvatica direttamente al consumatore finale o ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione a livello locale che riforniscono il consumatore finale. 3. Tale essendo il quadro normativo di riferimento, è certo che anche i prodotti trasformati di origine animale come gli insaccati dovessero essere assoggettati all'osservanza delle generali prescrizioni contenute nel comma 1 dell'art. 6 citato quanto al modo di ottenimento di tali prodotti ed alla loro manipolazione è altrettanto certo - per testuale disposizione normativa – che ciò dovesse effettuarsi negli appositi stabilimenti indicati nell’art. 7 del D.L.vo omissis . 4. Così come è da escludere che le limitazioni previste nel comma 2 dell'art. 1 prodotti trasformati di origine animale potessero trovare applicazione nel caso in esame, in quanto, come evidenziato dal Tribunale, era evidente che gli arnesi rinvenuti in un locale terraneo adiacente all'abitazione dell'imputato fossero di natura tale da doversi ritenere utilizzati per la macellazione e la prova il Tribunale l'ha tratta dalle carni suine appese per l'essiccazione e in quantità tale si parla, in sentenza, di banchi di macelleria , macchine per la triturazione delle carni e per la confezione degli alimenti sotto vuoto affettatrice , venti coltelli da escludere che si trattasse di alimenti destinati al consumo domestico avendo il Tribunale evidenziato la prova contraria attraverso l'accenno alla carta per imbustare i prodotti ivi confezionati destinati, quindi, alla vendita . 4.1. Il tenore del comma 3 dell'art. 1 del Regolamento non dà adito a dubbi con riferimento alle ipotesi derogatorie espressamente indicate e tra le quali non rientravano di certo i prodotti rinvenuti, posto che non si trattava neanche di piccoli quantitativi destinati dal fornitore al consumatore finale lett. c del comma 3 citato . Stante, allora, la manifesta infondatezza dei motivi, il ricorso va dichiarato inammissibile segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma - ritenuta congrua - di € 1.000,00, trovandosi il ricorrente in colpa per averle dato causa alla inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.