Eredità: confusione di patrimoni, ma non di posizioni soggettive contrattuali

Non è giuridicamente concepibile, in forza del fenomeno di successione ereditaria, che produce confusione dei patrimoni, la confusione delle due posizioni soggettive contrattuali l’erede non può assumere obbligazioni maggiori di quelle che gravano sul defunto.

Ha così deciso la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 12676 del 5 giugno 2014. Il fatto. Due soggetti stipulano un preliminare di compravendita avente ad oggetto un appartamento facente parte della costituzione di dote della moglie di colui che all’atto della stipula si era qualificato come procuratore speciale, successivamente risultando falsus procurator. Deceduto quest’ultimo, coniuge non proprietario, la promittente acquirente, da subito immessa nel possesso materiale dell’immobile, procedeva ad esperire azione costitutiva nei confronti della moglie, convenuta in proprio e quale erede del marito, al fine di ottenere l’adempimento coattivo del contratto ex articolo 2932 c.c., oltre al risarcimento dei danni subiti. Definitivamente pronunciando, il Tribunale adito provvedeva ad accogliere la domanda attorea. Avverso la detta statuizione veniva interposto appello, il quale veniva accolto sulla base della fondatezza delle deduzioni dell’appellante che affermava l’inefficacia del preliminare de quo per non essere stato, lo stesso, sottoscritto da parte della promittente venditrice quale effettiva proprietaria, non potendo ritenersi espresso il consenso in maniera tacita. Tale sentenza, veniva impugnata dalla promittente acquirente, la quale proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi. In particolare, la ricorrente deduceva, da un lato, che nonostante ai fini del perfezionamento della vendita del bene dovesse considerarsi necessaria non solo la sottoscrizione di entrambi i coniugi, ma altresì un provvedimento autorizzativo dell’autorità giudiziaria, tale formalità era stata espressamente esclusa nell’atto di costituzione di dote, dall’altro, che la qualificazione di inesistenza data al contratto dalla Corte d’appello risultava essere erronea, in quanto il difetto del potere di alienare il bene si risolverebbe nella nullità della vendita stessa, che può essere fatta valere da uno qualsiasi dei due coniugi, ai sensi dell’articolo 190 c.c. il quale nella sua formulazione anteriore alla riforma del 1975 conteneva la disciplina in tema di nullità dell’alienazione della dote. La proprietaria del bene deve sottoscrivere il contratto preliminare. Gli ermellini osservano come, fermo restando che il trasferimento di beni dotali deve avvenire nel rispetto dei requisiti di forma prescritti dagli articolo 1350 e 2721 c.c., resta in ogni caso decisiva la circostanza che la proprietaria del bene non aveva apposto la sua sottoscrizione in calce all’accordo in parola e che, pertanto, non poteva, come correttamente sostenuto dalla Corte territoriale, essere pronunciato il trasferimento coattivo ai sensi dell’articolo 2932 c.c. Il fenomeno della successione ereditaria produce confusione di patrimoni, ma non confusione di posizioni soggettive contrattuali. Nel caso di specie, afferma la Corte, l’erede subentra negli obblighi del de cuius, dichiaratosi procuratore speciale e poiché l’obbligo assunto da questi era, nella sostanza, quello di vendere la cosa altrui, l’erede potrebbe, al più, considerarsi responsabile per l’inadempimento del marito, derivante dalla mancata formale ratifica contrattuale, in quanto «non è giuridicamente concepibile, in forza del fenomeno di successione ereditaria, che produce confusione dei patrimoni, la confusione delle due posizioni soggettive contrattuali». In definitiva, ad avviso della Suprema Corte, l’erede non potrebbe, in nessun caso, assumere obbligazioni maggiori di quelle che gravavano sul defunto marito. Nel caso di specie, si tratterebbe di mere obbligazioni di natura risarcitoria che risultano tra l’altro non provate , atteso che il marito non avrebbe potuto costringere la moglie a prestare il consenso scritto all’alienazione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 11 febbraio - 5 giugno 2014, numero 12676 Presidente Goldoni – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo C.R. nel 1989 aveva promesso in vendita alla odierna ricorrente S.A. un appartamento, sito in OMISSIS , facente parte della costituzione di dote della moglie F.A. , atto risalente al 1966. Deceduto il C. , la promissaria acquirente, da subito immessa nel possesso dell'immobile, agiva nel novembre 1998 nei confronti della vedova F.A. , convenuta in proprio e nella qualità di erede del marito, chiedendo l'adempimento coattivo del contratto e il risarcimento dei danni. Contumace la convenuta, dichiarata tale per la tardività costituzione La domanda veniva accolta con sentenza 2 dicembre 2004 del tribunale di Nocera Inferiore. La Corte di appello Salerno con sentenza 15 febbraio 2008, notificata il 2 aprile successivo, ha accolto l'appello della signora F. , rilevando che il preliminare non era stato sottoscritto dall'appellante, il cui consenso non poteva essere dato tacitamente. La promissaria acquirente S.A. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 3 giugno 2008. L'intimata ha resistito con controricorso e ha depositato memoria. Motivi della decisione 2 La sentenza impugnata contiene due errori, discussi in ricorso, ma non decisivi. Il primo errore concerne l'asserita necessità, per perfezionare la vendita del bene parafernale, non solo della sottoscrizione dei coniugi, ma anche della autorizzazione del Tribunale sentenza impugnata pag. 9 . Parte ricorrente ha fatto rilevare che nell'atto di costituzione di dote tale formalità era stata espressamente esclusa. Ha citato fedelmente il testo della specifica clausola contenuta nell'atto costitutivo, verificata in atti “I beni rimangono di proprietà della moglie e possono essere alienati col loro consenso senza autorizzazione dell'autorità giudiziaria”. Tale rilievo non incide in modo risolutivo sulla ratio decidendi, imperniata - a prescindere dalla mancanza di autorizzazione sull'assenza di consenso scritto della odierna resistente, proprietaria del bene. 3 Il secondo errore concerne la definizione del contratto preliminare - concluso dal C. , ma non sottoscritto dalla moglie, proprietaria del bene per averlo ricevuto in dono dal padre, con atto di costituzione di dote - come contratto inesistente. Il ricorso evidenzia che il bene non era stato dichiarato inalienabile nell'atto costitutivo e che tale definizione è quindi erronea. La qualificazione di inesistenza è imprecisa, giacché il difetto di potere di alienare il bene, rilevato dalla Corte di appello sotto più profili, si risolve in nullità della vendita, che può essere fatta valere da uno dei due coniugi dalla moglie anche dopo sciolto il matrimonio , ai sensi dell'articolo 190 c.comma che reca in rubrica nullità dell'alienazione della dote , nel testo anteriore alla riforma. L'articolo 227 della legge numero 151/75 Riforma del diritto di famiglia dispone infatti che le doti e i patrimoni familiari costituiti prima dell'entrata in vigore della presente legge continuano ad essere disciplinati dalle norme anteriori . L'errata definizione non inficia tuttavia il nucleo della decisione, che risale alla mancanza di sottoscrizione da parte di uno dei coniugi, in particolare della moglie, proprietaria dell'immobile. 4 Con il primo motivo la ricorrente si duole che la Corte di appello di Salerno non abbia considerato che l'attrice aveva convenuto la F. anche quale erede del marito C. , dichiaratosi procuratore della moglie che la promessa di vendita sottoscritta dal C. , sarebbe stata ratificabile dalla convenuta, anche in caso di mancanza della procura, che l'acquirente non si era fatta consegnare che gli effetti obbligatori discendenti sul contraente C. si erano trasferiti sulla vedova ed erede che l'obbligazione così assunta sarebbe stata coercibile . La censura non è fondata. Fermo che, come rilevato dai giudici di appello, l'alienazione di beni dotali immobiliari deve rispondere alle esigenze di forma di cui agli articolo 1350 e 2721 cod. civ. Cass. 1034/1971 1482/1953 , rimane decisiva la circostanza che la proprietaria del bene non aveva sottoscritto il contratto preliminare e che quindi non può essere costretta al trasferimento coattivo ex articolo 2932 c.c 4.1 Anche se ella fosse succeduta quale erede al marito - la circostanza è contestata fieramente in controricorso e non risulta accertata dalla sentenza di appello - in ogni caso non sarebbe possibile per questa via il conseguimento della pretesa attorea. L'erede subentra infatti negli obblighi del de cuius e l'obbligo assunto verso la sig.ra S. dal coniuge non proprietario C. era di vendere la cosa altrui, cioè della moglie di cui egli, nel preliminare, si era dichiarato procuratore speciale. L'erede risponderebbe pertanto solo della violazione contrattuale, commessa dal marito, discendente dalla mancata ratifica contrattuale Cass. 1708/00 da parte del soggetto falsamente rappresentato, ratifica che la convenuta, quale moglie in regime dotale e unica proprietaria del bene immobile non ha inteso effettuare con la indispensabile forma scritta Cass. 27399/09 . Dal mancato adempimento degli obblighi derivatile quale erede, la F. potrebbe eventualmente essere chiamata a rispondere sotto il profilo risarcitorio, come il defunto marito, ma non è giuridicamente concepibile in forza del fenomeno di successione ereditaria, che produce confusione dei patrimoni, la confusione delle due posizioni soggettive contrattuali. In sostanza quale erede la F. non può assumere obbligazioni maggiori di quelle che gravavano sul defunto marito, di natura, in ipotesi, soltanto risarcitoria eventualmente ex articolo 190 comma 2 c.comma testo originario , poiché il marito non avrebbe potuto costringerla a prestare il consenso scritto all'alienazione. 5 Con il secondo motivo la ricorrente si duole della omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno - da liquidarsi in separata sede - formulata in prime cure. Sostiene che il Tribunale di Nocera non si era pronunciato sulla responsabilità per danni e che la Corte di appello abbia omesso di occuparsi della domanda perché aveva ritenuto inesistente il contratto preliminare. Deduce che qualora la F. fosse dichiarata esente dall'obbligo, quale erede del marito, di dare esecuzione al contratto, non si potrebbe però considerarla sottratta all'adempimento di quell'obbligo per equivalente attraverso cioè il risarcimento del danno, che la signora S. aveva chiesto . La censura è inammissibile per duplice ordine di ragioni. 5.1 Va subito rilevato che essa omette di riportare i precisi termini della domanda risarcitoria formulata in primo grado, come era indispensabile per far comprendere in primo luogo se avesse formulato la domanda risarcitoria, di cui non v'è traccia nella sentenza impugnata in secondo luogo se avesse agito chiedendo il risarcimento dei danni da ritardo nell'adempimento di trasferire la proprietà del bene, da conseguire in via coattiva, ovvero, come ora ventila in ricorso, chiedendo in via subordinata, il risarcimento dei danni da mancata alienazione del bene promessole dal C. . Giova ricordare che nel ricorso per cassazione, qualora una determinata questione giuridica - che implichi accertamenti di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza e specificità del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa Cass. 230/06 1435/13 . La censura deve essere cioè proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito SU 8077/12 . 5.1.1 Inoltre va rilevato che la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell'articolo 112 cod. procomma civ. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell'atto di appello, è tenuta, ai fini dell'astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare - a pena di inammissibilità - che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni Cass. 5087/10 . L'omissione di ogni specificazione è già motivo di inammissibilità del ricorso. 5.2 Mette conto però rilevare, come osservato da parte controricorrente, che la pretesa risarcitoria genericamente considerata, non è stata trascurata dai giudici di merito, ma è stata esaminata e respinta, restando incensurata. Il tribunale di Nocera - l'esame degli atti è sul punto consentito dalla natura processuale del vizio e dalla puntuale difesa – ha infatti rigettato “la domanda di risarcimento danni formulata nell'atto di citazione in giudizio, non avendo parte attrice indicato e provato alcun danno derivante dalla mancata stipula del contratto definitivo”. A fronte del rigetto della domanda, parte attrice avrebbe dovuto proporre - sotto ogni profilo risarcitorio inizialmente dedotto, accessorio o subordinato che fosse - appello incidentale nel costituirsi davanti alla Corte di Salerno. Non lo ha fatto, come rivela l'esame degli atti. Si è pertanto formato il giudicato interno. Anche per questa ragione il secondo motivo risulta inammissibile. Il ricorso va complessivamente rigettato. Ne deriva la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 3.500 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.