Vettura dimenticata nel parcheggio: proprietario condannato per abbandono di rifiuto pericoloso

Per due anni il veicolo è rimasto nell’area di sosta nelle vicinanze di un impianto sportivo. Fatali le condizioni in cui esso è stato rinvenuto logico parlare di inidoneità all’uso, e altrettanto logico dedurre la volontà di abbandono del proprietario. Di conseguenza è lecito catalogare la carcassa dell’automobile come rifiuto speciale.

Più che un parcheggio, quasi un’occupazione del territorio! Così, con ironia, si può valutare la scelta di un uomo di piazzare, a ‘tempo indeterminato’, la propria vecchia vettura nell’area dedicata alla sosta nelle vicinanze di un campo sportivo. Ma, per la Giustizia, la condotta dell’uomo, ironia a parte, è assai grave, catalogabile come abbandono di un rifiuto pericoloso. Consequenziale la condanna alla pena di 2mila euro di multa. Cassazione, sentenza numero 20492, sez. III penale, depositata oggi Da ‘cestinare’. Ad adottare la linea dura già i giudici del Tribunale, che considerano pericolosa l’azione compiuta dall’uomo, che ha abbandonato la propria vettura, a settembre 2008 – due anni dopo, invece, il ritrovamento –, «in pessimo stato di conservazione e priva di vari componenti presso il parcheggio di un campo sportivo». E questa visione viene condivisa anche dai giudici del ‘Palazzaccio’. Respinte, quindi, le contestazioni mosse dall’uomo in Cassazione, laddove egli ha ritenuto non corretta la ‘catalogazione’ della «carcassa dell’auto abbandonata» quale «veicolo fuori uso e rifiuto speciale». Per i giudici, difatti, la vettura, di proprietà dell’uomo, «trovata, in pessimo stato di conservazione e priva di vari componenti, presso il parcheggio di un campo sportivo», era evidentemente valutabile come «veicolo fuori uso» e, quindi, come «rifiuto speciale». Decisivi due elementi la «volontà di abbandono, da parte del proprietario», da un lato, e la «oggettiva inidoneità del veicolo a svolgere la sua funzione», dall’altro.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 aprile – 19 maggio 2014, numero 20492 Presidente Teresi – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 22 gennaio 2013 il Tribunale di Termini Imerese, sezione distaccata di Cefalù, ha condannato P.M. - imputato per il delitto di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a , l. 210/2008 per avere abbandonato un rifiuto pericoloso un'automobile su un'area pubblica - alla pena di € 2.000 di multa, riqualificando il reato nella fattispecie di cui agli articoli 184, 256 e 192 d.lgs. 152/2006. 2. Ha presentato ricorso il difensore sulla base di due motivi. Il primo motivo denuncia violazione degli articoli 2 c.p., 3, comma 2, e 13, comma 1, d.lgs. 209/2003, 184, 256 e 192 d.lgs. 152/2006, 530 c.p.p., nonché vizio motivazionale, contestando la qualificazione del reato operata dal giudice. Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 162 bis c.p., 178, lettera c , 516, 517, 522, 525, comma 3, c.p.p. e 141, comma 4 bis, disp. att. c.p.p., non essendo stato l'imputato ammesso ad oblazione, nonostante la riqualificazione da delitto a contravvenzione oblabile, ex articolo 141, comma 4 bis, disp. att. c.p.p. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. 3.1 Il primo motivo contesta la riqualificazione dei reato operata dal giudice di merito, avendo quest'ultimo definito la carcassa dell'auto abbandonata in modo incontrollato nel settembre 2008 quale veicolo fuori uso e rifiuto speciale con conseguente richiamo al d.lgs. 152/2006. Su questo argomenta il ricorrente, omettendo però uno specifico confronto con quanto correttamente evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, che ha richiamato una pertinente giurisprudenza di questa Suprema Corte per qualificare il veicolo come fuori uso e quindi come rifiuto speciale , così da applicare appunto la fattispecie di cui agli articoli 184, 256 e 192 d.lgs. 152/2006 abbandono incontrollato di veicoli fuori uso costituenti rifiuti speciali , come vigente nel settembre 2008 quando fu consumato il reato, e precisamente applicando l'articolo 256, comma 1, lettera a , del citato decreto non avendo ritenuto certa la natura pericolosa del rifiuto. Nel caso di specie, invero, si trattava di un'automobile, risultata di proprietà dell'imputato, trovata in pessimo stato di conservazione e priva di vari componenti il 17 settembre 2010 presso il parcheggio di un campo sportivo. Al riguardo, dunque, il giudice di merito ha richiamato la giurisprudenza di legittimità in ordine appunto alla categorizzazione in rifiuto speciale, che insegna come, per qualificare un veicolo fuori uso e quindi rifiuto speciale , rilevano la volontà di abbandono da parte del proprietario e la oggettiva inidoneità del veicolo a svolgere la sua funzione oltre a Cass. sez. III, 20 dicembre 2011-20 febbraio 2012 numero 6667 e a Cass. sez. III, 13 aprile 2010 numero 22035, citate dal Tribunale, si veda la recente Cass. sez. III, 2 aprile 2013 numero 40747, per cui in tema di gestione dei rifiuti, deve essere considerato fuori uso in base alla disciplina di cui all'articolo 3 D.Lgs. 209/2003, sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privo delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, sia quello che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata . La conseguentemente esatta applicazione, alla luce della giurisprudenza nomofilattica, della normativa pertinente operata dal Tribunale rende quindi inconsistente il primo motivo. 3.2 Il secondo motivo lamenta la mancata fruizione dell'oblazione come conseguenza della riqualificazione del delitto di cui al capo di imputazione in una fattispecie contravvenzionale oblabile. Ad avviso del ricorrente, operata la riqualificazione il Tribunale avrebbe dovuto sospendere la decisione e con ordinanza ad hoc applicare a suo favore il combinato disposto di cui agli articoli 162 bis c.p.p. e 141, comma 4 bis, disp. att. c.p.p., rimettendo in termini l'imputato perché si avvalesse dell'oblazione. Ciò tanto più considerato il fatto che la riqualificazione era stata espletata dal giudice in modo del tutto autonomo nella sentenza, senza specifica istanza in tal senso della difesa. La prospettazione del ricorrente non tiene conto della giurisprudenza di questa Suprema Corte sull'argomento. In particolare, quanto all'ammissione all'oblazione a seguito di modifica dell'originaria imputazione, S.U. 28 febbraio 2006 numero 7645 impongono per adire alla procedura oblativa la specifica istanza della parte, che nel caso di specie, come ammette lo stesso ricorrente, non è stata mai proposta prima della decisione del giudice Nel caso in cui l'imputato, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, abbia presentato istanza di oblazione subordinata ad una diversa e più favorevole qualificazione giuridica del fatto, dalla quale discenda la possibilità di essere ammesso all'oblazione stessa, il giudice, se effettivamente procede a tale modifica, deve attivare il meccanismo di cui all'articolo 141, comma quarto bis, c, p. p., anche all'esito dell'istruttoria dibattimentale nel caso in cui ometta di pronunciarsi sull'istanza o si pronunci applicando erroneamente la legge penale, tale omissione o errore potrà essere fatta rilevare in appello, attraverso il meccanismo di cui all'articolo 604, comma settimo, c, p. p., ovvero, in caso di sentenza inappellabile, con ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606, comma primo lett. c , c.p.p. cfr. pure Cass. sez. III, 26 agosto 1999 numero 10634 . Se, dunque, il giudice opera la riqualificazione giuridica del fatto nella sentenza, anche in difetto di preventiva istanza in tal senso dell'imputato, non si configurano i presupposti della restituzione nel termine dell'imputato stesso per la richiesta di oblazione, il che non integra, d'altronde, alcuna lesione del suo diritto di difesa cfr. Cass. sez. III, 19 ottobre 2011-2 aprile 2012 numero 12284, che per un caso di tal specie ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 162, 162 bis c.p., 521 c.p.p. e 141 disp. att. c.p.p. in relazione agli articoli 3 e 24 Cost. laddove non prevedono tale restituzione nel termine . Anche il secondo motivo risulta pertanto manifestamente infondato. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, numero 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.