Con la circolare n. 20 del 6 giugno 2013, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali fornisce chiarimenti in ordine alle ipotesi di crisi aziendale che determinino la cessazione dell'attività dell'intera azienda ed il relativo trattamento straordinario di integrazione salariale.
Ecco in quali situazioni il Ministero può autorizzare la CIGS fino al computo massimo di trentasei mesi. La norma. L’art. 1, D.L. n. 249/2004 convertito in Legge n. 291/2004 dispone che nelle ipotesi di crisi aziendali che determinino la cessazione dell’intera azienda, di un settore d’attività, di uno o più stabilimenti o parte di essi , il trattamento straordinario di integrazione salariale può essere prorogato per un periodo fino a dodici mesi, purché vi siano programmi di formazione finalizzati alla ricollocazione dei lavoratori, qualora il Ministero accerti nei primi dodici mesi il concreto avvio del piano di gestione delle eccedenze occupazionali. Piani esaustivi a lungo termine. L’intervento normativo diretto alle imprese in cessazione parziale o totale dell’attività introduce quindi la possibilità di tutelare i dipendenti con un trattamento più ampio rispetto a quello dei canonici dodici mesi. Le imprese sono però tenute a presentare, d’intesa con gli Enti locali, un piano biennale che prevede in modo puntuale ed esaustivo gli interventi da adottare per le eccedenze occupazionali non possono perciò fruire della norma i piani di gestione limitati a un arco temporale entro i dodici mesi. Computo massimo di 36 mesi. Diversamente, quando il piano di gestione degli esuberi si articola su un periodo più ampio fino a 24 mesi , il trattamento di CIGS potrà essere autorizzato nel limite del periodo residuo al raggiungimento del computo massimo dei 36 mesi. L’integrazione salariale resta in ogni caso subordinata all’avallo ministeriale, rilasciato in presenza del concreto avvio del piano di gestione eccedenze rimodulato al periodo più esteso.
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