La Suprema Corte risolve un dubbio e ne crea un altro in tema di competenza

Con due pronunce, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione con una prima ordinanza consolida fortunatamente un orientamento giurisprudenziale in tema di competenza territoriale del giudizio di merito a seguito di un procedimento cautelare, mentre con una seconda ordinanza alimenta un'incertezza applicativa circa il rapporto tra le sezioni specializzate per l'impresa e le sezioni ordinarie del Tribunale.

Con due pronunce, rese in sede di regolamento di competenza, del 24luglio 2014, la Sesta sezione della Corte di Cassazione con una prima ordinanza Cass., n. 15618 consolida fortunatamente un orientamento giurisprudenziale in tema di competenza territoriale del giudizio di merito a seguito di un procedimento cautelare, mentre con una seconda ordinanza Cass., n. 15619 alimenta un'incertezza applicativa circa il rapporto tra le sezioni specializzate per l'impresa e le sezioni ordinarie del Tribunale. Rilevanza del cautelare ante causam . Orbene, con l’ordinanza del 24 luglio 2014, n. 15618, la Sesta sezione Civile della Corte di Cassazione coglie l'occasione per pronunciarsi su una delicata questione processuale relativa agli effetti, nel successivo giudizio di merito, della mancata eccezione di incompetenza territoriale nel corso del procedimento cautelare ante causam . Ed infatti, era accaduto che nel corso di una controversia instaurata a seguito di un procedimento cautelare ante causam , il Tribunale di Milano avesse dichiarato la propria incompetenza territoriale in favore del Tribunale di Castrovillari. E ciò in base alla constatazione che, nell'ambito del procedimento per sequestro conservativo, nessuna questione di competenza del giudice adito fosse stata posta, con la conseguenza che, considerato il nesso di strumentalità e la sostanziale adesione della parte resistente alla scelta operata da controparte, il giudice del merito non poteva che essere lo stesso che aveva emesso il provvedimento cautelare”. Sul punto, quindi, il Tribunale di Milano aderisce al principio di diritto che aveva affermato la Prima sezione della Suprema Corte con la sentenza n. 5335/2007, secondo cui in mancanza di proposizione, nel corso del procedimento cautelare, di eccezioni in ordine alla competenza del giudice adito, questa si radica in capo allo stesso e vi permane anche con riferimento al giudizio di merito atteso che quest'ultimo è diretto alla conferma o alla riforma del provvedimento adottato in sede cautelare, in un rapporto di strumentalità tra i due procedimenti”. Non esiste nessuna preclusione. Orbene, al di là di altre questioni processuali pure affrontate, la Corte coglie l'occasione per consolidare un orientamento contrario al principio di diritto che riconosce alla mancata proposizione dell'eccezione di incompetenza territoriale nel corso del procedimento cautelare un effetto, per così dire, conformativo sulla competenza del successivo giudizio di merito. Sul punto la Sesta sezione consolida il diverso orientamento – peraltro più conforme alla lettera e allo spirito della legge processuale – già espresso, dopo la sentenza del 2007, dalla Terza sezione con la sentenza n. 2505/10, secondo cui l'omessa rilevazione dell'incompetenza derogabile od inderogabile da parte del giudice o l'omessa proposizione della relativa eccezione ad opera delle parti nel procedimento cautelare ante causam non determina il definitivo consolidamento della competenza in capo all'ufficio adito anche ai fini del successivo giudizio di merito . Ed infatti – oltre che per il rispetto del giusto processo ex art. 111 Cost. - nel giudizio cautelare non opera il regime delle preclusioni relativo alle eccezioni e al rilievo d'ufficio dell'incompetenza, stabilito dall'art. 38 c.p.c., in quanto applicabile esclusivamente al giudizio a cognizione piena. Competenza per il giudizio di merito. Del resto il giudizio di merito è un processo diverso ed autonomo rispetto al procedimento cautelare, con la conseguenza che la competenza del giudice del merito si determina secondo gli ordinari criteri di competenza territoriale senza che possa assumere alcun rilievo il foro individuato per l'instaurazione del procedimento cautelare uniforme. Rapporto tra la sezione specializzata e le ordinarie. Con la sentenza del 24 luglio 2014, n. 15619 la Sesta sezione si pronuncia sul rapporto tra sezione specializzata per le imprese e le sezioni ordinarie del Tribunale in materia e, cioè, se l'individuazione di chi debba decidere dia luogo, oppure no, a una questione di competenza e, quindi, se la relativa decisione possa essere oggetto di regolamento di competenza . Per la Sesta sezione la questione è una questione di competenza poiché, tra l'altro. le sezioni specializzate non sono dislocate presso ogni distretto, ma solo presso alcuni di essi con la conseguenza che il rapporto tra le sezioni specializzate e le altre non è configurabile come rilevante – in quanto regolante le modalità di ripartizione di affari – all'interno del medesimo ufficio giudiziario . Del resto, sia con riferimento alle sezioni specializzate agrarie che a quelle in materia di impresa, si tratta in entrambi i casi di sezioni costituite per legge, per far fronte alla complessità e difficoltà di determinate materie e per soddisfare l'esigenza di una spedita trattazione dei procedimenti affidati a tali sezioni . Proprio in ragione di ciò, tali sezioni devono essere composte da magistrati dotati di specifiche competenze . E' questione di competenza. Ne deriva che la questione relativa all'individuazione del giudice competente nel caso di specie, giudice del lavoro o sezione specializzata configura una questione di competenza in senso proprio, come tale proponibile con il regolamento di competenza.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 24 giugno – 24 luglio 2015, n. 15618 Presidente Curzio – Relatore Marotta Fatto e diritto 1 - Con ricorso depositato in data 6/5/2011 innanzi al Tribunale di Milano la Cogetech S.p.A. concessionaria dello Stato per l'attivazione e la conduzione della rete operativa per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento ed intrattenimento e per le funzioni connesse chiedeva di ingiungere alla Royal Games s.r.l. soggetto incaricato della gestione di una parte dei servizi concessori, tra cui la raccolta del denaro giocato attraverso gli apparecchi installati presso i locali degli esercenti ed al socio unico G.F. sull'assunto di una sua responsabilità illimitata ai sensi dell'art. 2462 cod. civ. il pagamento della somma di euro 1.684.968,82 a titolo di `incassi residui' e cioè di quella parte delle somme immesse dai giocatori negli apparecchi che residua dopo l'erogazione dei premi. Successivamente, con ricorso depositato in data 9/5/2011, la Cogetech S.p.A. chiedeva al Tribunale di Castrovillari di voler autorizzare il sequestro dei beni della Royal Games s.r.l. e di G.F Con decreto ingiuntivo n. 21993/2011 del 29/6/2011 il Tribunale di Milano ingiungeva alla Royal Games s.r.l. ed a G.F. il pagamento, in solido, della somma richiesta dalla Cogetch S.p.A Con provvedimento in data 30/6/2011 il Tribunale di Castrovillari autorizzava il richiesto sequestro dei beni fino alla somma di euro 1.300.000,00 e la Cogetech S.p.A. provvedeva ad eseguirlo. In data 7/10/2011 la Cogetech S.p.A. dava avvio, innanzi al Tribunale di Milano, al giudizio di merito ai sensi dell'art. 669 octies cod. proc. civ. con atto di citazione notificato alle parti interessate il procedimento era iscritto al n. 64356/2011 . In tale giudizio la Royal Games s.r.l. ed il F. si costituI.o chiedendo dichiararsi l'incompetenza del Tribunale di Milano ovvero la litispendenza ex art. 39 cod. proc. civ. e comunque contestando la fondatezza della prospettazione attorea e spiegando altresì domanda riconvenzionale. In data 25/10/2011 veniva notificato alla Cogetech S.p.A. atto di citazione in opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 21993/2011 il procedimento era iscritto al n. 66829/2011 e, all'udienza del 28/2/2012, il decreto ingiuntivo opposto veniva dichiarato esecutivo per l'importo di euro 1.392.043,64. In data 24/3/2013, all'esito di una serie di provvedimenti che da ultimo avevano determinato l'assegnazione del proc. n. 64356/2011 e di quello n. 66829/2011 allo stesso giudice, veniva disposta la riunione degli stessi. Con sentenza n. 14819/2014 il Tribunale di Milano, decidendo nel procedimento n. 64356/2011 cui era stato riunito quello iscritto al n. 66829/2001 , dichiarava la propria incompetenza territoriale in favore del Tribunale di Castrovillari. Riteneva il Tribunale decisiva la circostanza che, nell'ambito del procedimento per sequestro conservativo, definito nella fase cautelare innanzi al Tribunale di Castrovillari, nessuna questione di competenza del giudice adito fosse stata posta, con la conseguenza che, considerato il nesso di strumentalità e la sostanziale adesione della parte resistente alla scelta operata da controparte, il Giudice del merito non poteva che essere lo stesso che aveva emesso il provvedimento cautelare. Richiamava, sul punto, la pronuncia di questa Corte n. 5335/2007 ritenendola più convincente della successiva, contraria, n. 2505/2010. Assume la società ricorrente che la decisione del Tribunale di Milano è incorsa in plurime violazioni di legge, e così in quella degli artt. 274, 645, co. 1, 669 ter e 669 octies, 38 e 29 cod. proc. civ., e nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Si duole della operata valutazione della questione della competenza solo in relazione al proc.to n. 64356/2011, senza alcuna considerazione anche di quello - riunito - n. 66829/2011, per il quale vi era la competenza dell'ufficio giudiziario cui apparteneva il giudice che aveva emesso il decreto ingiuntivo tanto che gli stessi Royal Games s.r.l. e G.F. non avevano posto alcuna questione di competenza in sede di atto di citazione in opposizione e che andava individuato quale procedimento preventivamente instaurato. Rileva che la pronuncia di questa Corte richiamata nella sentenza impugnata era riferita ad un caso del tutto diverso e comunque la soluzione cui la stessa era pervenuta era in contrasto con il principio del giusto processo, come chiarito dalla successiva Cass. n. 2505/2010 secondo la quale il silenzio delle parti sulla competenza nel procedimento cautelare non può determinare una consolidazione della competenza sul giudizio di merito in caso al giudice adito in sede cautelare . Il ricorso è fondato. E' di tutta evidenza che i Tribunale di Milano ha risolto la questione della competenza solo valorizzando il nesso di strumentalità necessaria tra il procedimento cautelare, svoltosi dinanzi al Tribunale di Castrovillari, e quello ordinario di merito iscritto innanzi al Tribunale di Milano al n. 64356/2011, senza tener conto dell'altro procedimento instaurato innanzi al Tribunale di Milano al n. 66829/2011 che, pur iscritto al registro generale in data successiva, era in realtà da considerarsi pendente da epoca precedente rispetto all'altro e cioè dal momento del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo. Questa Corte ha già affermato che, nel caso di continenza ma non diversamente può argomentarsi con riguardo alla connessione - cfr. Cass. 1 ° ottobre 2007, n. 20600 - tra una causa introdotta col rito ordinario ed una introdotta col rito monitorio, ai fini dell'individuazione del giudice preventivamente adito, il giudizio introdotto con ricorso per decreto ingiuntivo deve ritenersi pendente alla data di deposito di quest'ultimo, a condizione che il ricorso e il decreto siano stati successivamente notificati pertanto la notifica del ricorso e del decreto costituiscono la condizione per il verificarsi della litispendenza il cui avveramento retroagisce, a questi fini, al momento del deposito del ricorso si vedano in tal senso, ex mu/tis, Cass. 20 novembre 2013, n. 26959 Cass. 26 aprile 2012, n. 6511 Cass. 15 ottobre 2010, n. 21333 . Del resto, poiché, l'opposizione a decreto ingiuntivo si propone ai sensi dell'art 645 cod. proc. civ. davanti allo stesso giudice che ha emesso il decreto al quale appartiene funzionalmente e inderogabilmente la competenza a decidere, tale competenza non è modificabile per ragioni di continenza o di connessione, siano essi preesistenti o successive così Cass. 18 maggio 2005, n. 10374 Cass. 23 maggio 2003, n. 8165 Cass. 7 dicembre 2000, n. 15528 Cass. 13 luglio 1999. n. 7418 Cass. 10 novembre 1971. n. 3216 . Ciò evidentemente determina, nel caso in cui non vi siano ragioni ostative alla riunione di cause connesse e questa venga come nella specie effettivamente disposta, la prevalenza della competenza immodificabile peraltro, nella specie, nessuna eccezione di incompetenza era stata sollevata in sede di opposizione a decreto ingiuntivo . Né su tale situazione può incidere la circostanza che, in sede di giudizio cautelare ante causam rispetto al procedimento connesso - svoltosi innanzi ad un Tribunale territorialmente diverso da quello del successivo giudizio di merito -, non sia stata posta la questione della competenza. Questa Corte ha, infatti, affermato che l'omessa rilevazione dell'incompetenza derogabile od inderogabile da parte del giudice o l'omessa proposizione della relativa eccezione ad opera delle parti nel procedimento cautelare ante causam non determina il definitivo consolidamento della competenza in capo all'ufficio adito anche ai fini del successivo giudizio di merito, non operando nel giudizio cautelare il regime delle preclusioni relativo alle eccezioni e al rilievo d'ufficio dell'incompetenza, stabilito dall'art. 38 cod. proc. civ., in quanto applicabile esclusivamente al giudizio a cognizione piena. Ne consegue che il giudizio proposto ai sensi degli artt. 669 odies e novies cod. proc. civ., all'esito della fase cautelare ante causam, può essere validamente instaurato davanti al giudice competente, ancorché diverso da quello della cautela - così Cass. 3 febbraio 2010, n. 2505. Tale principio è stato ribadito nelle successive decisioni Cass. 9 dicembre 2010, n. 24869 Cass. 8 giugno 2012, n. 9416 Cass. 26 maggio 2014, n. 11778. Come, in particolare, osservato nella citata decisione n. 9416 del 2012, già con risalente giurisprudenza era stato infatti affermato che la competenza per il giudizio di merito successivo alla procedura di urgenza di cui all'art. 700 cod. proc. civ., deve essere stabilita in base alle norme generali, senza che una preclusione possa derivare dal provvedimento cautelare che pure implicitamente contenga anche l'indicazione di questo giudice, atteso che tale provvedimento non può essere vincolante nel giudizio di merito, che costituisce un nuovo ed autonomo processo e non già la continuazione di quello sommario cfr., Cass., nn. 4204/1986 5760/1992 più di recente la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che l'omessa rilevazione dell'incompetenza derogabile od inderogabile da parte del giudice o l'omessa proposizione della relativa eccezione ad opera delle parti nel procedimento cautelare ante causam non determina il definitivo consolidamento della competenza in capo all'ufficio adito anche ai fini del successivo giudizio di merito, non operando nel giudizio cautelare il regime delle preclusioni relativo alle eccezioni e al rilievo d'ufficio dell'incompetenza, stabilito dall'art. 38 cod. proc. CV ., in quanto applicabile esclusivamente al giudizio a cognizione piena, cosicché il giudizio proposto ai sensi degli artt. 669 octies e novies cod. proc. civ., all'esito della fase cautelare ante causam, può essere validamente instaurato davanti al giudice competente, ancorché diverso da quello della cautela cfr., Cass., nn. 2505/2010 24869/2010 . Il principio concordemente desumibile dai richiamati precedenti è quello secondo cui, ai fini dell'individuazione del giudice competente per territorio per la fase di giudizio a cognizione piena, deve farsi riferimento, agli ordinari criteri e, dunque, a quello della prevalenza della competenza immodificabile in caso di opposizione a decreto ingiuntivo anche rispetto ad una causa connessa - riunita - restando privo di rilevanza il foro individuato per l'instaurazione del procedimento cautelare ante causam. L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata, dichiarandosi la competenza del Tribunale di Milano, davanti al quale il processo dovrà essere riassunto nel termini di legge. A tale pronuncia segue la condanna dei controricorrenti al pagamento, in favore della società ricorrente, delle spese del presente regolamento. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e dichiara la competenza del Tribunale di Milano condanna i controricorrenti al pagamento, in favore della società ricorrente, delle spese del presente regolamento, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 24 giugno – 24 luglio 2015, n. 15619 Presidente Curzio – Relatore Arienzo Fatto e diritto Il Tribunale di Trieste, in funzione di giudice del lavoro, con sentenza del 23.12.2014, per quel che rileva nel presente procedimento, dichiarava l'incompetenza per materia del giudice del lavoro, in favore della sezione specializzata delle imprese, con riguardo all'azione risarcitoria proposta, ai sensi dell'articolo 2396 c. c., dalla società Generali Assicurazioni p. a. nei confronti di P.G., nella sua qualità di Direttore generale della società, in relazione al periodo antecedente all'aprile del 2001, - epoca in cui il predetto era diventato amministratore delegato - per i danni derivati dall'errato investimento di titoli della società, per un importo pari a 41,2 milioni dell'epoca, posto in essere quale dirigente. Il giudizio era stato instaurato dalla società, in primo luogo, per l'impugnativa di un accordo transattivo concluso con il P. in data 20.7.2012, che ne aveva disciplinato l'uscita dal gruppo Generali, prevedendo la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con revoca del licenziamento preventivamente intimato e la rinuncia, da parte del dirigente, a tutte le cariche sociali in essere, la corresponsione di un incentivo all'esodo e la rinuncia a qualsiasi domanda azione o pretesa comunque connessa all'esecuzione e cessazione dei rapporti intercorsi tra le parti, nonché un patto di non concorrenza della durata di un anno e mezzo. Il Tribunale adito rigettava le domande tutte di parte ricorrente inerenti al verbale di conciliazione in data 20.7.2012, ritenendo che la transazione conclusa, con effetti novativi, non poteva essere annullata per errore, non essendo quest'ultimo connotato dal carattere dell'essenzialità, né per dolo, e che non potesse accedersi all'ulteriore domanda di risoluzione del contratto di transazione per presupposizione , ovvero per mancato avveramento della situazione di fatto o di diritto tenuta in considerazione dalle parti nella formazione del consenso, come presupposto condizionante la validità ed efficacia del contratto. Quanto alla domanda di risarcimento dei danno azionata nei confronti del P. per gli inadempimenti posti in essere da quest'ultimo come dipendente dirigente nel periodo antecedente l'aprile 2001, il Tribunale rilevava che la diligenza era una modalità del comportamento dell'amministratore, che doveva agire con le dovute cautele, verifiche ed informazioni preventive che gli consentissero di gestire ragionevolmente l'incarico nelle operazioni di maggior rilievo, e che tali oneri incombevano anche ai direttori generali dell'alta dirigenza con compiti di sovrintendenza gestionale, sicché, in particolare per le società assicurative, per le quali vi era una specifica regolamentazione in tema di controlli interni, l'eccesso di potere, quale quello che aveva caratterizzato l'agire del P., e la mancata informativa delle operazioni che andava a compiere concretizzavano una violazione assolutamente consapevole ed intenzionale degli obblighi caratterizzanti la sua duplice attività ed il suo duplice ruolo di dipendente e direttore generale. Nella specie, l'articolo 2396 c. c., nella riserva delle azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società , attribuiva un'azione concorrente di risarcimento del danno derivante dalla violazione degli obblighi di diligenza, fedeltà e lealtà richiamati, incombenti sul direttore generale, ciò nonostante che lo stesso potesse essere adito in giudizio anche con azione di responsabilità sociale, essendo un soggetto nominato per previsione statutaria articolo 2396, prima parte, c. c. . Trattandosi di due azioni concorrenti, soggette alla cognizione di giudici diversi Tribunale ordinario nella sezione specializzata per l'azione di responsabilità, giudice dei lavoro, ex articolo 2396 c. c. proponibili da soggetti diversi e disciplinate da norme processuali differenti, la competenza doveva essere valutata dal giudice in ragione dei petitum e della causa petendi dedotti dall'attore, sì che le controdeduzioni dei convenuto rilevavano soltanto quando fossero volte a dimostrare che le domande erano state proposte innanzi al giudice adito in modo artificioso al fine di sottrarle al giudice naturale. Nel caso all'esame, era ritenuto dal Tribunale strumentale e capzioso sostenere che il direttore generale - soggetto comunque ad azione di responsabilità ex articolo 2396 c. c. - per violazione della diligenza richiesta nell'adempimento dei suoi doveri di amministratore e gerente della società, potesse, nello stesso tempo, per gli stessi fatti, essere convenuto in giudizio per i danni derivati dalla violazione dei doveri di diligenza propri del suo essere anche lavoratore subordinato. Osservava il Giudice adito che la strumentalità dell'azione proposta innanzi al giudice dei lavoro era evidente in ragione della mancanza degli estremi di gravità per un'azione di cui all'articolo 2392 e ss. c. c., come desumibile dal contenuto dei documenti dimessi da parte resistente, nonché dal verbale prodotto dalla stessa. In particolare, era stato ritenuto da quest'ultima che la quantificazione e prova degli effettivi e prevedibili danni causalmente derivati dagli inadempimenti dei P. e di altro dirigente erano aleatori e non attendibili e che anche per gli investimenti indiretti era da escludere che dagli stessi fosse derivato un pregiudizio per la società, ovvero che esistessero condotte illecite o viziate da conflitto di interesse ascrivibili al predetto, tanto da concludere per l'esistenza di un quadro indiziario di inadempimento e danno difficilmente sostenibile in giudizio. Peraltro, prima di azionare una domanda risarcitoria nei confronti del P., nella sua qualità di dipendente e lavoratore subordinato, sarebbe stata necessaria - secondo il Tribunale - una previa contestazione degli addebiti, trattandosi di carenze e violazioni aventi natura e valenza disciplinare. La mancanza di una previa contestazione rendeva di per sé pretestuosa anche l'eventuale azione risarcitoria, ritenuto che la condotta della società, che aveva tollerato condotte assai gravi, quali gli eccessi di delega e le omesse comunicazioni al consiglio, era stata idonea ad ingenerare nel dipendente l'affidamento nella irrilevanza delle condotte allo stesso ricondotte, con riguardo al principio generale di immediatezza della contestazione ex articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori. Infine, doveva aversi riguardo, agli stessi fini, alla circostanza che un procedimento rapido quale quello del lavoro avrebbe consentito di bloccare l'adempimento dell'accordo concluso con altro dipendente, che, all'epoca, non era stato ancora eseguito dalla società. Secondo il Tribunale anche l'impossibilità, alla luce delle prospettazioni attoree e della contestazioni del resistente, di individuare un ambito distinto tra i doveri del lavoratore subordinato - mai contestati nel corso del rapporto di lavoro - e i doveri del P. quale Direttore generale, rendeva evidente l'incompetenza del giudice adito, come previsto dalle norme di cui all'articolo 144 ter disp. att. c.p.c. in relazione all'articolo 50 bis c.p.c., che riguardavano propriamente le azioni di responsabilità ex articolo 2396 c.c Avverso il capo della decisione che dichiara l'incompetenza del giudice del lavoro in ordine all'azione risarcitoria, ricorre, per regolamento di competenza, la società Assicurazioni Generali p.a., rilevando che, se pure l'articolo 2396 c.c. estende al Direttore generale nominato dall'assemblea o per statuto le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori, ciò comporta solo che la legittimazione ad agire ai sensi degli artt. 2393 cc. e ss. competa anche ad altri soggetti e non anche la sottrazione del direttore alla normale responsabilità che ogni dipendente ha nei confronti del datore di lavoro, né è idonea a mutarne i contenuti che l'articolo 2392 c.c. richiamato dall'articolo 2396 c.c. ribadisce in termini pressoché identici a quelli di cui all'articolo 2104 c.c Osserva la società che la norma di cui all'articolo 2396 c.c. incide solo nel senso di rendere applicabili anche al Direttore generale le regole della responsabilità degli amministratori in caso di violazione dei doveri allo stesso incombenti, pur non essendo il predetto assimilabile, quanto a competenze, all'amministratore, e non si traduce nel dare ingresso a un regime di responsabilità sostitutivo nei confronti dei predetto, il quale resta pur sempre un lavoratore subordinato e continua ad essere sottoposto al regime di responsabilità proprio di tale categoria di lavoratori. Sotto il profilo processuale, rilevano le Generali Ass.ni che la sentenza non ha fatto corretta applicazione dei principi in tema di tutele e rimedi risarcitori riconosciuti dall'ordinamento a fronte dell'inadempimento del Direttore generale ai propri doveri violazione degli artt. 409 e 413 c.p.c , degli artt. 2393 e 2396 c. c., dell'articolo 3, comma 2, del d. I. 17/2012, convertito dalla legge n. 27/2012, dell'articolo 50 bis c.p.c. e dell'articolo 144 ter disp. att. c.p.c. , osservando che, diversamente da quanto sostenuto dalla sentenza, vi era lo spazio per consentire una duplicità di azioni e ciò in dipendenza di quanto previsto dall'articolo 2396 c.c., che, dopo avere esteso ai direttori generali nominati dall'assemblea o per statuto la disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori, fa testualmente salve nei confronti dei medesimi direttori le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società. Rileva che la prima di esse è azionabile ad iniziativa dell'assemblea e dagli altri soggetti di cui all'articolo 2393 c.c., a differenza dell'altra, proponibile dal consiglio di amministrazione, e che le tutele riguardano non solo responsabilità disciplinari, ma anche risarcitorie. Evidenzia, infine, la ricorrente che è il consiglio di amministrazione ad avere il potere direttivo, gerarchico e disciplinare verso il direttore generale ed è deputato a valutarne l'operato e che, quindi, sarebbe incoerente che lo stesso organo non possa, a fronte di fatti disciplinarmente rilevanti, agire se non in relazione a condotte diverse da quelle gestorie, difficilmente immaginabili, senza considerare che l'azione deliberata dall'organo assembleare è discrezionale, a differenza di quella dell'organo amministrativo. Conclude rilevando che la società ha esercitato l'azione giuslavoristica che, come tale, rientra nella competenza del giudice adito che, invece, si è dichiarato incompetente al riguardo. Il P. ha resistito con memoria ai sensi dell'articolo 47, 5° comma, c.p.c II Pubblico Ministero, nella persona del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, ha concluso per l'inammissibilità dei ricorso per regolamento di competenza. Entrambe le parti hanno depositato memorie, ai sensi dell'articolo 380 ter, 2° comma, c.p.c L'articolo 14, co. 1, del d. Igs. 51/98, in materia di istituzione del giudice unico di primo grado, ha previsto che l'articolo 48 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 è sostituito dal seguente Art. 48. Composizione dell'organo giudicante . - In materia civile e penale il tribunale giudica in composizione monocratica e, nei casi previsti dalla legge, in composizione collegiale . L'articolo 1 co. 1 del d. Igs 5/2003 sul rito societario - poi abrogato dalla I. 69/2009 - ha stabilito che Si osservano le disposizioni del presente decreto legislativo in tutte le controversie, incluse quelle connesse a norma degli articoli 31, 32, 33, 34, 35 e 36 del codice di procedura civile, relative a a rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti le società di fatto, l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori eQ nerali delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative . Infine, il d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, art, 1, come sostituito dall'articolo 2 dei d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella L. 24 marzo 2012, n. 27 - vigente al momento dell'instaurazione dei presente giudizio - ha istituito le sezioni specializzate in materia di impresa e, con riguardo al diritto delle società, ha stabilito all'articolo 2 che Le sezioni specializzate sono altresì competenti, relativamente alle società di cui al Libro V, Titolo V, Capi V, VI e VII, e Titolo VI, del codice civile, alle società di cui al regolamento CE n. 2157/2001 del Consiglio, dell'8 ottobre 2001, e di cui al regolamento CE n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, nonchè alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società costituite all'estero, ovvero alle società che rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e coordinamento, per le cause e i procedimenti a relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore qenerale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonchè contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derI.ti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati . Come si evince dal contenuto di tali disposizioni, la normativa ha inciso dapprima sulla natura collegiale dell'organo giudicante, quindi sul rito normativa, questa, successivamente abrogata ed, infine, sulla competenza delle sezioni specializzate, in materia di impresa, a giudicare, tra le altre, sulle azioni di responsabilità da chiunque promosse, tra gli altri, anche contro il direttore generale. L'articolo 2396 c. c. prevede che le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori si applicano anche ai direttori generali nominati dall'assemblea o per disposizione dello Statuto, in relazione ai compiti loro affidati, salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società. La questione che si pone preliminarmente è quella della ammissibilità del regolamento di competenza avverso la deC.toria di incompetenza del giudice del lavoro in favore della sezione specializzata dei Tribunale delle imprese. Questa Corte ha, in un primo tempo, ravvisato una questione di competenza in relazione alla ripartizione delle controversie tra Tribunale ordinario e Sezioni specializzate in materia di tutela della proprietà industriale ed intellettuale, antecedentemente all'awenuto assorbimento di queste ultime da parte del Tribunale delle imprese cfr. Cass. 23.9.2013 21762, Cass.18.5.2010 n. 12153, Cass. 14.6.2010 n. 14251, Cass. 20690/2009, Cass. 19.6.2008 n. 16744, in tema di competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, ai sensi dell'articolo 3 d. Igs. 27.6.2003 n. 168, differenziandosi l'ipotesi in cui si profilasse una questione di concorrenza sleale pura , esulante dalla competenza delle sezioni specializzate . In particolare, con richiamo a Cass. 15151/2001 e Cass. 736/2001, si ragionava sulla falsariga di quanto argomentato in relazione alle sezioni specializzate agrarie, con riguardo alla considerazione che il legislatore aveva avuto della particolare qualificazione tecnica attribuita ai componenti non togati delle dette sezioni, per le quali era pacifica la ricomprensione delle questioni relative all'attribuzione degli affari alle stesse, owero al giudice ordinario, nell'ambito di quelle di competenza tra le tante, sulla specifica questione, v. Cass. 13.3.2007 n. 5829, Cass. 26.7.2010 n. 17502, Cass. 16.7.2008 n. 19512 Il descritto orientamento giurisprudenziale è stato, tuttavia, superato, essendosi la giurisprudenza successiva attestata sulla diversa configurazione della questione come relativa alla ripartizione di funzioni tra sezioni ordinarie e specializzate di uno stesso tribunale, che non implica l'insorgenza di una questione di competenza, per attenere alla distribuzione degli affari giurisdizionali all'interno dei medesimo ufficio, con conseguente inammissibilità del regolamento di competenza eventualmente proposto cfr. Cass. 22.11.2011 n. 24656, Cass. 20.9.2013 n. 21668 e, da ultimo, Cass. 23.5.2014 n. 11448 . Tanto premesso, questo Collegio ritiene che, a fronte di tali orientamenti contrastanti, vi siano valide e fondate ragioni per aderire al primo di essi. Ed invero, in primo luogo deve considerarsi che il legislatore, nel delineare i compiti assegnati alle sezioni specializzate espressamente si riferisce a quelli attribuiti sotto il profilo della competenza, diversamente da quanto stabilito, in ambito terminologico, con riferimento al giudice del lavoro, al quale è riconosciuta un'autonoma funzione nell'ambito della competenza del tribunale articolo 413 c.p.c. competenza del Tribunale, in funzione di giudice del lavoro , in seguito all'istituzione del giudice unico di primo grado. Per altro verso, la circostanza che le sezioni specializzate non sono dislocate presso ogni distretto, ma solo presso alcuni di essi, rende palese che il rapporto fra le sezioni specializzate e le altre non è configurabile come rilevante - in quanto regolante le modalità di ripartizione di affari - all'interno del medesimo ufficio. Sotto tale aspetto, potrebbe, invero, determinarsi, con inammissibile asimmetria del sistema, che la natura del rimedio muterebbe a seconda che la pronuncia di declinatoria di competenza sia emessa dal giudice del lavoro, o da altro giudice ordinario, a favore della sezione specializzata in materia di impresa, nell'ambito di un Tribunale presso il cui distretto non è dislocata alcuna sezione specializzata, ovvero in un Tribunale nel cui distretto tale sezione sia invece istituita, con la conseguenza che, in tale secondo caso, si verterebbe in un'ipotesi di ripartizione di affari all'interno di un unico ufficio e nell'altro di questione proponibile con il rimedio del regolamento di competenza. Ciò condurrebbe a privare le parti ed il giudice degli strumenti di cui agli artt. 42 e ss. c.p.c. soltanto in alcuni casi e non in altri sostanzialmente equiparabili, con palese violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost. Infine, deve osservarsi anche che lo stesso legislatore qualifica come specializzate le sezioni che compongono il Tribunale delle imprese, con un aggettivo che è, significativamente, quello utilizzato dall'articolo 102, 2° comma, Cost., e che connota anche le sezioni cui sono affidate le controversie agrarie, le cui attribuzioni nel senso di competenza per materia in senso proprio sono pacifiche. II richiamato articolo 102, comma 2, Cost., d'altro canto, prevede, poi, espressamente che le sezioni specializzate che possono essere istituite presso gli organi ordinari possano essere composte anche con la partecipazione di cittadini idonei Qstranei alla magistratura e non certo solo con tale partecipazione, il che vale ad escludere che le sezioni specializzate in materia di impresa possano essere differenziate da quelle agrarie solo perché composte solo da giudici togati. Ed invero, si tratta in entrambi i casi di sezioni costituite per legge, per far fronte alla complessità e difficoltà di determinate materie e per soddisfare l'esigenza di una spedita trattazione dei procedimenti affidati a tali sezioni. Proprio in ragione di ciò, tali sezioni devono essere composte da magistrati dotati di specifiche competenze articolo 2, comma I, d. lgs. 168/2003 . Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi che la questione sollevata configuri una questione di competenza in senso proprio, come tale proponibile con il regolamento di competenza. Superato il profilo di dedotta inammissibilità dei rimedio proposto, occorre avere riguardo alla norma dell'articolo 2396 c. c., che fa salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società, e valutare se, a prescindere dalla natura concorrente o alternativa dell' azione di responsabilità in senso proprio e di quella a carattere giuslavoristico, l'azione proposta nel presente giudizio sia stata validamente incardinata presso il giudice dei lavoro. Al riguardo è sufficiente richiamare, per la parte rilevante indirettamente ai fini di causa, i principi affermati da questa Corte in tema di attribuzione della competenza al giudice dei lavoro, secondo cui la determinazione della competenza deve essere fatta in base al contenuto della domanda giudiziale, salvo che nei casi in cui la prospettazione ivi contenuta appaia prima facie artificiosa e finalizzata soltanto a sottrarre la cognizione della causa al giudice predeterminato per legge. Detto principio, valevole anche per la competenza per territorio, non può essere derogato dalle contestazioni del convenuto circa la sussistenza del rapporto, né dalla domanda riconvenzionale, che, a norma dell'articolo 36 cod. proc. civ., è conosciuta dal giudice competente per la causa principale, purché non ecceda la sua competenza per materia o valore. Anche nell'ipotesi di connessione di cause ai sensi dell'articolo 40 la proposizione di domanda riconvenzionale non può determinare lo spostamento di tutta la causa ad altro giudice per ragioni di competenza territoriale, in quanto la norma prevede soltanto che nei casi di cui agli artt. 31, 32, 34, 35 e 36, le cause cumulativamente proposte o successivamente riunite, siano trattate e decise con rito ordinario, salva l'applicazione del solo rito speciale quando una di esse rientri tra quelle indicate negli artt. 409 e 442 dello stesso codice cfr. Cass. 17.5.2007 n. 11415 . Nel caso esaminato, va premesso che non vi sono i presupposti per l'applicabilità dell' articolo 40 c.p.c., in quanto non ricorrono le ragioni modificative della competenza per ragioni di connessione cause accessorie, di garanzia, cumulo soggettivo, accertamento incidentale, eccezione di compensazione, domanda riconvenzionale , sicché la competenza deve essere determinata alla stregua dei criteri sopra menzionati, con riferimento al petitum ed alla causa petendi. E proprio con riguardo a tali criteri, deve ritenersi che il Tribunale abbia proceduto indebitamente a valutazioni riferite alla mancata contestazione di addebiti al P., ovvero alla ritenuta possibilità di esito sfavorevole dell'azione di responsabilità sociale nei confronti del predetto, secondo prognosi già effettuata in seno alla società sulla base di pareri forniti da consulenti incaricati, laddove l'esame della questione pregiudiziale doveva fermarsi alla valutazione dell'astratta possibilità di proposizione della controversia, peraltro intentata dal consiglio di amministrazione e non deliberata dall'organo assembleare, dinanzi al giudice dei lavoro. Secondo tale impostazione, non sussiste dubbio alcuno sul fatto che l'azione era proponibile senz'altro dinanzi al giudice dei lavoro, in base alla salvezza contenuta nell'articolo 2396 c. c., senza che possa ritenersi che la relativa prospettazione sia strumentalmente ed artificiosamente volta a sottrarre la stessa al giudice predeterminato per legge, che nella specie ben poteva essere, per quanto detto, proprio il giudice dei lavoro. Si tratterà evidentemente, una volta ritenuto validamente radicato il giudizio de quo in base ai criteri sulla competenza richiamati, di valutare se sussistano nel merito gli elementi fondanti il tipo di responsabilità dedotta a carico dei Direttore generale, nonché, preliminarmente, il profilo attinente alla legittimazione attiva della parte ricorrente, sub specie di individuazione dell'organo societario deliberante. In conclusione, deve dichiararsi, quanto all'azione di responsabilità del Direttore Generale per le condotte allo stesso ascritte in relazione al periodo precedente al 2001, la competenza del Tribunale di Trieste in funzione di giudice del lavoro, davanti al quale la causa deve essere riassunta a termini di legge. La peculiarità delle questioni trattate e la loro complessità giustificano la compensazione tra le parti delle spese dei giudizio per regolamento. Essendo stato il ricorso proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, occorre dare atto della insussistenza dei presupposti per l'applicabilità dell'articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - dei rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014 . Nella specie l'accoglimento dei ricorso esclude la sussistenza degli indicati presupposti. P.Q.M. La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Trieste in funzione di giudice del lavoro. Compensa tra le parti le spese del regolamento. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell'articolo 13 comma 1 bis del citato d.p.r