Il cd. “falso innocuo” non rileva nel licenziamento disciplinare del dipendente pubblico

Ai sensi dell’articolo 55–quater, let. d d.lgs. numero 165/2001, secondo il quale il licenziamento senza preavviso è irrogato nei casi di «falsità dei documenti o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni in carriera», il comportamento del dipendente pubblico deve essere sanzionato indipendentemente dalla circostanza che la falsità abbia fatto conseguire il posto di lavoro, essendo sufficiente ad integrare la condotta il fatto di avere prodotto la documentazione o la dichiarazione falsa, al fine o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 11636/16, depositata il 7 giugno. Tale interpretazione non palesa dubbi di legittimità costituzionale, né può trovare applicazione il concetto penalistico di falso innocuo, in quanto la condotta di produrre documenti falsi ed eseguire false dichiarazioni è idonea in sé ad assumere caratteri tali da giustificare il licenziamento, indipendentemente dal fatto che sia integrato un delitto di falso. Il caso. La Corte d’appello di Venezia confermava la sentenza con la quale il giudice di prime cure aveva rigettato l’impugnazione di un licenziamento irrogato per giusta causa dal MIUR ad un insegnante, sul presupposto che la lavoratrice aveva posto in essere falsità documentali e dichiarative ai fini dell’instaurazione del rapporto di lavoro. In particolare, oggetto della contestazione disciplinare era stata la falsa dichiarazione di aver conseguito il titolo finale ad un corso di perfezionamento e aggiornamento professionale in dinamiche relazionali e metodologiche didattiche nei gruppi di apprendimento, titolo il cui conseguimento di per sé non costituiva requisito per il conseguimento dell’incarico. Per tale motivo con il ricorso in Cassazione la lavoratrice ha eccepito la violazione di legge in relazione all’articolo 55-quater lett. d d.lgs. numero 165/2001 che sanzione con il licenziamento disciplinare le false attestazioni commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni in carriera per violazione dei canoni interpretativi della Corte Costituzionale. Le false attestazioni commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro. La lavoratrice ha dunque eccepito che la gravità della condotta, erroneamente ritenuta dai giudici di merito anche in ragione dei precedenti non contestati, senza dare rilievo al falso innocuo, aveva consentito di non valutare la necessità di una gradualità nell’applicazione della sanzione, secondo le indicazioni della Corte Costituzionale, ritenendo altresì non sussistente la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni in carriera. La Suprema Corte ha ritenuto infondato tale motivo di ricorso, posto che la Corte d’appello correttamente aveva rilevato che la sentenza di primo grado aveva ritenuto il licenziamento proporzionato al fatto contestato e che configurava giusta causa di recesso, ai sensi dell’articolo 55–quater lett. d d.lgs. numero 165/2001, ogni falsa attestazione commessa ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni in carriera. E ciò indipendentemente dal fatto che tale falsità abbia fatto conseguire al lavoratore il posto di lavoro, essendo sufficiente il collegamento logico-temporale tra il falso e l’instaurazione del rapporto di lavoro. Il cd. falso innocuo. Come è noto, si parla di falso innocuo o inutile o superfluo quando la condotta, pur incidendo sul significato letterale di un atto falso ideologico o di un documento falso materiale , non incide sul suo significato di comunicazione, così come esso si manifesta nel contesto, anche normativo, della formazione e dell'uso, effettivo o potenziale, dell'oggetto. In tal caso la punibilità del falso è esclusa per inidoneità dell'azione tutte le volte che l'alterazione appaia del tutto irrilevante ai fini dell'interpretazione dell'atto, perché non ne modifica il senso oppure si riveli in concreto inidonea a ledere l'interesse tutelato dalla genuinità del documento, cioè non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico. Ciò posto, nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto irrilevante ai fini della sussistenza della giusta causa di licenziamento la valutazione in merito al falso innocuo, essendo appunto sufficiente che il lavoratore abbia commesso un falso per conseguire un posto di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 aprile – 7 giugno 2016, numero 11636 Presidente Macioce – Relatore Tricomi Svolgimento del fatto 1. La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza numero 606/13, depositata il 18 dicembre 2013, rigettava il ricorso proposto da D.C.L. nei confronti del MIUR e dell’Ufficio scolastico regionale per il Veneto, avverso la sentenza numero 450/12, emessa dal Tribunale di Venezia tra le parti. 2. L.D.C. insegnante con contratto a tempo determinato dal 1 settembre 2010 al 30 giugno 2011, presso l’Istituto Comprensivo omissis , aveva impugnato il licenziamento senza preavviso irrogatole con decreto del Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale per il Veneto del 29 agosto 2011, e la conseguente dichiarazione di decadenza dalle graduatorie a esaurimento del personale docente per la scuola primaria, di cui al decreto 14 settembre 2011. 3. Il licenziamento era stato irrogato, dopo la contestazione degli addebiti intervenuta il 16 giugno 2011 e l’audizione dell’interessata, per aver posto in essere falsità documentali e dichiarative ai fini dell’instaurazione del rapporto di lavoro in particolare per aver falsamente dichiarato e attestato il conseguimento del titolo finale di un corso di perfezionamento e aggiornamento professionale in dinamiche relazionali e metodologiche didattiche nei gruppi di apprendimento comportamenti antisociali e ruolo educativo della scuola, promosso per l’anno 2007/2008 dalla Libera Università degli Studi omissis il servizio prestato negli anni scolastici 2007/2008 e 2008/2009 presso la Scuola paritaria materna elementare Coop. soc. Arcobaleno, con sede in via omissis . 4. Il Tribunale rigettava la domanda rilevando che il decreto di licenziamento era stato adottato dall’Ufficio I dell’Ufficio scolastico regionale, secondo le previsioni dell’Amministrazione che aveva articolato la procedura tra Ufficio I e Ufficio territoriale. Rilevava, altresì, che il licenziamento era proporzionato al fatto contestato e che non vi era stato automatismo nella dichiarazione di decadenza ex D.M. numero 44 del 2011. 5. Per la cassazione sentenza di appello ricorre l.D.C. prospettando 4 motivi di ricorso. 6. Resiste il MIUR con controricorso. 7. La ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’articolo 55-bis del d.lgs. numero 165 del 2001, dell’articolo 2 del D.M. 29 dicembre 2009, della Circolare ministeriale numero 88 del 2010. Deduce la ricorrente che il procedimento disciplinare era stato frazionato tra due Uffici l’Ufficio VII, articolazione dell’Ufficio scolastico regionale Veneto, che lo aveva iniziato, e l’Ufficio I, che lo aveva concluso, al quale l’Ufficio VII aveva trasmesso gli atti del procedimento , e che il Direttore generale non era competente ad adottare il provvedimento sanzionatorio conclusivo. 2. Il motivo non è fondato. Ai sensi dell’articolo 1 del D.M. 29 dicembre 2009, l’Ufficio scolastico regionale USR per il Veneto, di livello dirigenziale generale, con sede in Venezia, quale autonomo centro di responsabilità amministrativa, si articola per funzioni e sul territorio in centri di erogazione di servizi amministrativi, di monitoraggio e di supporto alle scuole. L’USR per il Veneto si articola in 13 uffici dirigenziali non generali e in 19 posizioni dirigenziali non generali per l’espletamento delle funzioni tecnico-ispettive. L’articolo 2 del suddetto decreto ministeriale prevede che l’USR si articola per funzioni in numero 6 uffici di livello dirigenziale non generale cui sono demandate determinate competenze, esercitate a livello regionale. In particolare, l’Ufficio I, tra l’altro, cura assistenza legale, gestione del contenzioso, procedimenti disciplinari e conciliazione. Consulenza legale. Istruttoria dei ricorsi straordinari al Capo dello Stato . L’Ufficio scolastico regionale per il Veneto è altresì articolato, sul territorio, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del medesimo D.M. 29 dicembre 2009, in 7 uffici di livello dirigenziale non generale, di cui l’Ufficio VII competente per l’ambito territoriale per la provincia di Venezia. Detti Uffici, come previsto dall’articolo 3, comma 2, lettere h e k , del citato D.M., curano, ciascuno nel proprio ambito territoriale di competenza, tra l’altro disciplina del personale della scuola appartenente ai ruoli provinciali , ogni altro eventuale incarico conferito dal Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale . La Circolare numero 88 del 24 novembre 2010, contenute Indicazioni ed istruzioni per l’applicazione al personale della scuola delle nuove norme in materia disciplinare introdotte dal d.lgs. 27 ottobre 2009, numero 150 , prevede che qualora il responsabile della struttura non abbia la qualifica dirigenziale o nel caso in cui il responsabile abbia tale qualifica, ma la sanzione da applicare sia più grave della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, gli atti sono trasmessi, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all’ufficio per i procedimenti disciplinari individuato ai sensi del comma 4, dell’articolo 55-bis citato, dandone contestuale comunicazione all’interessato. La circolare del Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale del Veneto in data 24 novembre 2010, confermava la individuazione dell’Ufficio I della Direzione generale quale UCPD, cui spetta la gestione dei procedimenti disciplinari inerenti le infrazioni di maggiore gravità e, di conseguenza, l’adozione del provvedimento di chiusura dei procedimenti stessi, con la conseguenza che, nel caso di infrazioni di maggiore gravità, agli Uffici scolastici territoriali spetta lo svolgimento dell’attività istruttoria, la predisposizione del relativo fascicolo disciplinare ed, infine, la trasmissione dello stesso all’Ufficio I della Direzione generale. Ciò tenuto conto che la competenza in tema di disciplina del personale della scuola appartenente ai ruoli provinciali , attribuiva agli Uffici scolastici territoriali solo la competenza a svolgere l’attività istruttoria necessaria all’emanazione del provvedimento di chiusura del procedimento disciplinare, e che per quanto riguardava il personale della scuola appartenente ai ruoli nazionali docenti nella scuola secondaria di secondo grado la competenza in materia disciplinare, intesa quale competenza allo svolgimento dell’attività istruttoria, degli Uffici territoriali discendeva da conferimento della Direzione generale, ai sensi della citata lettera k , dell’articolo 3, comma 2, del D.M. del 2009. Alla luce della ricostruzione del quadro normativo di riferimento, correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto che non sussistevano le prospettate violazioni della competenza, con riguardo allo svolgimento del procedimento disciplinare in questione e all’adozione dell’atto di recesso, considerato, altresì, che il Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale, nel sottoscrivere il provvedimento disciplinare aveva agito nella qualità di superiore gerarchico del dirigente dell’Ufficio I, articolazione dell’USR, il quale all’epoca era persona fisica priva di firma. 2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato il vizio di violazione di legge. Violazione del principio della necessità della previa contestazione della recidiva ai fini della considerazione dei precedenti a fini sanzionatori. Violazione del diritto di difesa e violazione del principio del contraddittorio. La ricorrente deduce che il decreto disciplinare prendeva in considerazione due precedenti, ai fini dell’irrogazione della sanzione disciplinare, senza che gli stessi fossero stati contestati. 2.1. Il motivo non è fondato. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare Cass. numero 23924 del 2010 , in tema di licenziamento disciplinare, la preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore incolpato deve riguardare, a pena di nullità del licenziamento stesso, anche la recidiva o comunque i precedenti disciplinari che la integrano , ove questa rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata . La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di detto principio che richiama, atteso che, chiamata a verificare, come il giudice di primo grado, se il licenziamento fosse stato irrogato sulla base non solo della gravità della condotta contestata in sé, ma anche sulla base di una recidiva non precedentemente contestata, con congrua motivazione, ha escluso che si fosse verificata tale ipotesi, perché il provvedimento di licenziamento faceva mero riferimento al fatto che l.D.C. aveva falsificato il verbale di un consiglio di classe e aveva prodotto un certificato falsamente attestante il perseguimento della laurea in giurisprudenza quali fatti pregressi, che non avevano inciso sulla valutazione della gravità della condotta contestata, ma avevano indotto l’amministrazione a eseguire controlli anche sulla veridicità dei documenti e delle dichiarazioni allegate alla domanda di aggiornamento/permanenza in graduatoria. Pertanto, il licenziamento veniva irrogato esclusivamente per avere posto in essere le falsità documentali e dichiarative già indicate, relative al conseguimento del titolo finale del corso di perfezionamento, e al servizio prestato negli anni 2007/2008 e 2008/2009, e tali condotte costituivano condotte pienamente idonee in sé a fondare il licenziamento. 3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la censura di violazione di legge in relazione all’articolo 55-quater, comma 1, lettera d, del d.lgs. numero 165 del 2001 per violazione dei canoni interpretativi indicati dalla Corte costituzionale sentenze numero 336 del 1996, 125 del 1995, 134 del 1992 . L.D.C. espone che la gravità della condotta, erroneamente ritenuta dai giudici di merito, anche in ragione dei precedenti non contestati, senza dare rilievo al falso innocuo, aveva consentito di non valutare la necessità di una gradualità nell’applicazione della sanzione, secondo le indicazioni della Corte costituzionale, ritenendo, altresì,non sussistente la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale. 3.1. Il motivo non è fondato. La Corte d’Appello ha rilevato che la sentenza di primo grado aveva ritenuto che il licenziamento era proporzionato al fatto contestato e configurava giusta causa di recesso, e poneva in luce come trovasse applicazione l’articolo 55-quater, lettera d, del d.lgs. numero 165 del 2001, secondo il quale il licenziamento senza preavviso è irrogato nei casi di falsità dei documenti o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni in carriera . Il comportamento del dipendete pubblico è, dunque, sanzionato indipendentemente dalla circostanza che la falsità abbia fatto conseguire il posto di lavoro, essendo sufficiente a integrare la fattispecie la condotta di avere prodotto la documentazione o la dichiarazione falsa, al fine o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro. Tale interpretazione non palesa dubbi di legittimità costituzionale, né può trovare applicazione il concetto penalistico di falso innocuo, in quanto la condotta di produrre documenti falsi ed eseguire false dichiarazioni è idonea in sé ad assumere caratteri tali da giustificare il licenziamento, indipendentemente dal fatto che sia integrato un delitto di falso. 4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotto il vizio di violazione di legge per falsa applicazione dell’articolo 8, comma 3, lettera c, del D.M. numero 44 del 12 maggio 2011 che prevede Non possono partecipare alla procedura coloro che siano stati dichiarati decaduti da un impiego statale, ai sensi dell’articolo 127, primo comma, lettera d, del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 57 numero 3, per aver conseguito l’impiego mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile o siano incorsi nelle sanzioni disciplinari previste dal vigente contratto collettivo nazionale del comparto Scuola - licenziamento con preavviso e licenziamento senza preavviso - o nella sanzione disciplinare della destituzione , per violazione dei canoni interpretativi di illegittimità derivata. La ricorrente espone che la suddetta disposizione, in ragione di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza numero 329 del 2007, non poteva dare luogo a decadenza automatica dalle graduatorie. 4.1. Il motivo non è fondato. La Corte d’Appello applica la suddetta disposizione in modo costituzionalmente orientato secondo i principi affermati da Cotte cost. con la suddetta sentenza numero 329 del 2007 che ha afferma L’articolo 128, secondo comma, del d.P.R. numero 3 del 1957 persegue due obiettivi conformi alla Costituzione. Il primo è di vietare l’instaurazione del rapporto di impiego con soggetti che abbiano agito in violazione del principio di lealtà, che costituisce - come notato - uno dei cardini dello stesso rapporto articolo 98 Cost. . Il secondo è di tutelare l’eguaglianza dei concorrenti, pregiudicati dalla sleale competizione con chi abbia partecipato alla selezione con documenti falsi o viziati articolo 97 Cost. . Tuttavia, esso non è conforme al principio, che è alla base della razionalità che domina il principio di uguaglianza sentenza numero 16 del 1991 di cui all’articolo 3 Cost., di adeguatezza tra illecito amministrativo e sanzione affermato da questa Corte a partire dalla sentenza numero 270 del 1986 . Infatti, la preclusione prevista nell’articolo 128 censurato colpisce per una durata illimitata nel tempo e automaticamente, senza distinzione, tutti i comportamenti dalle varie fattispecie di reato in tema di falsità alla produzione di documenti viziati da invalidità non sanabile rientranti nell’area della decadenza dall’impiego disciplinata dall’articolo 127 dello stesso testo unico. Ne discende la necessità che l’amministrazione valuti il provvedimento di decadenza emesso ai sensi dell’articolo 127, primo comma, lettera d, dello stesso decreto, per ponderare la proporzione tra la gravità del comportamento presupposto e il divieto di concorrere ad altro impiego potere di valutazione analogo a quello riconosciuto da questa Corte ai fini dell’ammissione al concorso, con riferimento alla riabilitazione ottenuta dal candidato sentenza numero 408 del 1993 . La discrezionalità che l’amministrazione pubblica eserciterà in tal modo sarà limitata dall’obbligo di tenere conto dei presupposti e della motivazione del provvedimento di decadenza, ai fini della decisione circa l’ammissione a concorrere ad altro impiego nell’amministrazione . Ed infatti, la Corte d’Appello ha posto in evidenza come, secondo quanto già rilevato dal Tribunale, non si era verificato alcun automatismo nella pronuncia ella dichiarazione di decadenza dalle graduatorie, ex articolo 8, comma 3, lettera c, del D.M. numero 44 del 2001, perché valevano le medesime considerazioni già svolte in ordine all’estrema gravità e alla reiterazione delle condotte, che era stata valutata dalla Pubblica amministrazione. 5. Il ricorso deve essere rigettato. 6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. 7. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro duemilacinquecento per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.