Condotte discontinue e limitate nel tempo? Non importa, il reato sussiste comunque

Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia non assume rilievo il fatto che gli atti lesivi si siano alternati con periodi di normalità nella condotta dell’agente e di accordo con i familiari, poiché, data la natura abituale del delitto in oggetto, l’intervallo di tempo tra una serie e l’altra di episodi lesivi non fa venir meno l’esistenza dell’illecito. La condotta ben può comprendere, dunque, momenti di pausa.

È quanto emerge dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 19514 del 12 maggio 2014. Il caso. Il gup di Nola condannava una donna per maltrattamenti in famiglia in particolare, le condotte poste in essere dall’imputata erano collegate ad una situazione patologica connotata da discontinuità comportamentale che la donna non aveva mai voluto curare seriamente. Tale stato di fatto era confermato dalle testimonianze del marito, dei genitori adottivi e della figlia dell’imputata. La Corte d’Appello di Napoli riconosceva all’appellante le circostanze attenuanti di cui all’articolo 89 Vizio parziale di mente e 62-bis c.p. La donna ricorre per cassazione, censurando la decisione di merito che non avrebbe tenuto conto del carattere occasionale delle sue condotte e dell’assenza di pericolosità sociale. La discontinuità della condotta non esclude il reato. Il ricorso non merita accoglimento ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia non assume rilievo il fatto che gli atti lesivi si siano alternati con periodi di normalità nella condotta dell’agente e di accordo con i familiari, poiché, data la natura abituale del delitto in oggetto, l’intervallo di tempo tra una serie e l’altra di episodi lesivi non fa venir meno l’esistenza dell’illecito. La condotta ben può comprendere, dunque, momenti di pausa e può essere posta in essere anche per un periodo limitato di tempo. L’elemento psicologico è dato dal dolo generico. Per quanto riguarda l’elemento psicologico del reato di maltrattamenti in famiglia, è costituito dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a sofferenze continuate nel caso oggetto di esame, il fatto che la donna abbia sempre rifiutato le cure per risolvere i suoi problemi psichiatrici e di alcoldipendenza offre conferme alla sussistenza dell’elemento psicologico. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 aprile – 12 maggio 2014, numero 19514 Presidente Ippolito – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 6 marzo 2013, la Corte d'Appello di Napoli ha riformato in parte - riconoscendo all'appellante le circostanze attenuanti di cui all'articolo 89 e 62 bis cod. penumero - la sentenza dei 18 gennaio 2012, con la quale il G.U.P. di Noia condannava A.A.A. per i reati di cui agli articolo 572 cod. penumero capo a , 610 cod. penumero capo b e 56 e 610 cod. penumero capo c commessi in data 2 ottobre 2011. Il giudice di seconde cure ha rilevato come le dichiarazioni della persona offesa I.P., marito dell'imputata, appaiano scevre da alcun intento calunniatorio e trovino conferma sia nelle narrazioni dei genitori adottivi e del fratello dell'imputata - che hanno sostanzialmente confermato una situazione di profondo disagio personale della congiunta, legato essenzialmente alla nascita della seconda figlia -, sia nella documentazione sanitaria attestante i ricoveri dell'imputata, sia nella situazione di abuso alcolico, non adeguatamente fronteggiato dall'imputata, che si era rifiutata di seguire un trattamento terapeutico. Ad ulteriore conforto, la Corte ha ricordati i fatti avvenuti sotto la diretta percezione dei verbalizzanti in occasione dell'arresto di A. in flagranza del 2 ottobre 2011 e le dichiarazioni rese dalla stessa figlia dell'imputata, sovrapponibili a quelle rese dal padre, dallo zio e dai genitori adottivi della madre. La Corte territoriale, preso atto delle conclusioni del perito psichiatrico, ha quindi ritenuto sussistenti i presupposti per la diminuente di cui all'articolo 89 cod. penumero e, dato atto dell'avvio del percorso terapeutico da parte dell'imputata, ha stimato a lei concedibili le circostanze attenuanti generiche. 2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l'Avv. P.C., difensore di A.A.A., chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi 2.1. Inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 42 cod. penumero , atteso che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente considerato che i disturbi comportamentali dall'assistita certificati dalla documentazione sanitaria - legati ad una sindrome depressiva ed all'abuso di alcol - dimostrano l'insussistenza dell'elemento psicologico del reato di maltrattamenti, tenuto conto del fatto che gli episodi aggressivi e violenti denunciati dalle persone offese non erano abituali, ma legati all'occasionale assunzione di alcolici. 2.2. Contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, atteso che la Corte napoletana non avrebbe adeguatamente soppesato le denunce del marito dell'imputata e non avrebbe considerato l'assenza di pericolosità sociale dell'assistita, la mancanza di alcuna sofferenza psichica delle figlie - ingiustificatamente private della presenza materna - e la totale assenza della figura paterna. 3. In udienza, il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza. In linea generale, deve essere rilevato come il ricorrente, da un lato, riproponga rilievi di natura squisitamente di merito, volti a sollecitare una diversa valutazione in fatto, preclusa in questa fase dalle funzioni di legittimità dall'altro lato, muova censure del tutto generiche alla ricostruzione dei fatti operata dal giudice di seconde cure, il quale - contrariamente a quanto dedotto - risulta avere accuratamente valutato le emergenze dell'istruttoria dibattimentale. 2. Con specifico riguardo al primo motivo di ricorso, giova evidenziare che la Corte territoriale, dopo avere ripercorso i diversi contributi probatori, ha ritenuto provato che A.A.A. abbia posto in essere reiterati comportamenti vessatori e violenti in danno dei familiari, che cagionavano agli stessi sofferenze fisiche e morali. I giudici d'appello hanno attentamente valutato la circostanza che le condotte penalmente rilevanti dell'imputata A. erano collegate ad una situazione patologica connotata da discontinuità comportamentale, tale da giustificare, in linea con quanto concluso dal perito, il riconoscimento del vizio parziale di mente in relazione ad un disturbo della personalità borderline ed a dipendenza da alcol. La Corte territoriale ha inoltre posto in luce come la ricorrente non abbia mai inteso seriamente curare tale patologia, rifiutando terapie e i ricoveri ed interrompendo l'unico ricovero cui si era sottoposta. Il giudice a quo ha dunque concluso che i fatti, così come ricostruiti, integrano il contestato reato di cui all'articolo 572 cod. penumero , rilevando che esso non può essere escluso dalla discontinuità delle condotte maltrattanti né dal fatto che esse siano poste in essere per un arco di tempo limitato, dovendo l'abitualità essere valutata con riferimento alla sofferenza fisica o morale inflitta alle persone offese. Nel giungere a tali conclusioni, i giudici di secondo grado hanno fatto buon governo dei consolidati principi in materia, anche di recente riaffermati da questo giudice di legittimità, alla stregua dei quali, ai fini della configurabilità del delitto in oggetto, non assume rilievo il fatto che gli atti lesivi si siano alternati con periodi di normalità nella condotta dell'agente e di accordo con i familiari, poiché, data la natura abituale del delitto in oggetto, l'intervallo di tempo tra una serie e l'altra di episodi lesivi non fa venir meno l'esistenza dell'illecito Cass. Sez. 6, numero 8396 del 07/06/1996 - dep. 12/09/1996, Vitiello, Rv. 205563 . La condotta ben può dunque comprendere dei momenti di pausa Cass. Sez. 6, 29 maggio 2012 Micciché . D'altra parte, integra l'elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se per un limitato periodo di tempo Cass. Sez. 6, numero 25183 dei 19/06/2012, Rv. 253041 Cass. Sez. 6, 13/12/2013 Ezoa e altro . Non può, infine, essere condivisa la tesi difensiva circa l'insussistenza del dolo del reato in oggetto in considerazione della sindrome depressiva dell'imputata e della sua inclinazione ad abusare di bevande alcoliche. Come questa Corte ha avuto modo - del tutto condivisibilmente - di affermare, l'elemento psicologico del reato di maltrattamenti in famiglia è costituito dal dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo o i soggetti passivi a sofferenze fisiche e morali continuate, di tal che il fatto che i singoli episodi costituenti, nel loro complesso, la condotta criminosa siano commessi durante lo stato di ubriachezza è fatto irrilevante, atteso che l'ubriachezza non esclude il dolo Cass. Sez. 3, numero 3141 del 25/02/1994, Ascari, Rv. 198708 . D'altronde, nel caso di specie, risulta dagli atti che A. ha consapevolmente rifiutato di sottoporsi alle cure necessarie per risolvere i suoi problemi psichiatrici e di alcoldipendenza, il che offre ulteriore conferma alla sussistenza dell'elemento soggettivo. 3. Con riguardo al dedotto difetto di motivazione, in primo luogo, va ribadito che, come già sopra evidenziato, il provvedimento in esame si appalesa motivato in modo puntuale, completo e logico. D'altra parte, va rimarcato come le censure dedotte nell'atto d'appello, da un lato, siano state oggetto di accurata disamina da parte della Corte territoriale, soprattutto quella concernente l'attendibilità delle dichiarazioni del marito della A. - laddove si è evidenziato che lo stato di disagio familiare provocato dalle continue violenze dell'imputata è stato riferito non solo da questi, ma anche dai genitori adottivi dell'imputata e finanche dalla figlia A. di otto anni - dall'altro lato, involgano circostanze - quali l'assenza di pericolosità sociale dell'assistita e la totale assenza della figura paterna - del tutto ininfluenti ai fini della integrazione del reato di maltrattamenti in famiglia. 4. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma a favore della Cassa della Ammende, che si ritiene congruo fissare nella misura di 1000 euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.