Chiama ripetutamente il 117, nessuna esimente giornalistica per la donna: ha disturbato il servizio telefonico della GdF

Le numerose telefonate, caratterizzate da escandescenza e frasario volgare, hanno determinato in concreto il turbamento della regolarità del servizio telefonico del 117, cagionando un’apprezzabile e ingiustificata discontinuità rispetto ai compiti dell’istituto. Per integrare tale fattispecie di reato è sufficiente il dolo eventuale.

Con la sentenza numero 22474, depositata il 24 maggio 2013, la Corte di Cassazione ha confermato al condanna per una giornalista. Il caso «questo numero non è un call center». Una donna viene condannata, con pena interamente condonata, per interruzione di un pubblico servizio, ex articolo 340 c.p I giudici di merito hanno infatti constatato le numerose chiamate indirizzate al numero 117, servizio messo a disposizione dalla Guardia di Finanza. Ma lei è una giornalista la sua finalità di cronaca era dimostrabile con dei testimoni!La donna ricorre per cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello, pur rilevando l’erroneità dell’eccezione di tardività prospettata del Tribunale nel rifiutare la sua lista di testimoni, a sua volta sbagliando, non avrebbe poi provveduto all’esame dei testi. Con questi l’imputata aveva intenzione di dimostrare che le telefonate erano state fatte per motivi giornalistici elemento che avrebbe dovuto far propendere per l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato o comunque per far ritenere sussistente la scriminante del diritto di cronaca. Peraltro, la sua condotta, avrebbe potuto essere al massimo ricondotta «a maleducazione o petulanza». L’ammissione delle prove no a quelle irrilevanti. La Suprema Corte ricorda che in tema di ammissione di prove, «i parametri con cui valutare l’ammissibilità» non sono quelli previsti dall’articolo 603 c.p.p., cioè il non essere in grado di decidere allo stato degli atti ovvero l’assoluta necessità, bensì quelli dell’articolo 190 c.p.p., secondo cui il giudice può escludere le prove che ritiene superflue o irrilevanti. Nessuna esimente giornalistica c’è il dolo eventuale. Visti le modalità, i tempi ed i contenuti dell’occupazione della linea telefonica, elementi di fatto peraltro non contestati dall’imputata, correttamente la corte territoriale ha ritenuto l’irrilevanza delle testimonianze richieste. L’imputata ha poi dedotto in maniera generica ed assertiva l’esimente giornalistica, senza spiegare in concreto perché ciò avrebbe dovuto far escludere il dolo del reato, visto anche che per integrare tale delitto è sufficiente il dolo eventuale di determinare l’interruzione o il turbamento. Escandescenze e volgarità al telefono. Il reato è stato ritenuto correttamente integrato dalle ripetute telefonate «caratterizzate da escandescenza e frasario volgare e coinvolgenti in successione almeno tre militari oltre a due ufficiali», determinando «in concreto il turbamento della regolarità del servizio telefonico in atto, cagionando un’apprezzabile e ingiustificata discontinuità rispetto ai compiti dell’istituto». Per queste ragioni la Corte di Cassazione respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 -24 maggio 2013, numero 22474 Presidente Garribba – Relatore Citterio Considerato in fatto 1. Riconosciuta colpevole in entrambi i gradi del merito Tribunale di Campobasso 22.11.2007 Corte d'appello di Campobasso 10.1.2013 per il reato di cui all'articolo 340 c.p., consumato in danno del servizio pubblico offerto con il numero telefonico 117 dalla Guardia di finanza, in sede locale fatto del 12.10,2004 , e condannata a pena interamente condonata, R M. ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, enunciando tre motivi - violazione dell'articolo 603 c.p.p. in relazione all'articolo 648 c.p.p., perché la Corte distrettuale, pur avendo affermato l'erroneità del provvedimento con cui il primo Giudice aveva ritenuto tardiva la lista testimoniale della difesa, tuttavia non aveva poi provveduto all'ammissione ed all'esame ei testi tempestivamente indicati, nonostante costoro dovessero riferire sull'aspetto determinante della ragione per la quale l'imputata aveva fatto le telefonate, riconducibili alla sua professione di giornalista, quindi rilevante per la mancanza di elemento psicologico o per la sussistenza della scriminante del diritto di cronaca - violazione dell'articolo 340 c.p., perché la condotta dell'imputata avrebbe potuto essere riconducibile a maleducazione o petulanza, mai integrando l'interruzione o il turbamento del servizio sarebbe mancato anche l'elemento soggettivo, avendo la donna agito per ottenere un'intervista dal comandante regionale - il reato sarebbe prescritto. Ragioni della decisione 2.1 Il primo motivo è infondato, nei termini che seguono. Si evince dalla sentenza d'appello che la Corte distrettuale ha giudicato non legittima la decisione del Tribunale di non ammettere la lista testi presentata dalla difesa. Tuttavia, il Giudice di secondo grado non ha proceduto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per l'esame di tali testi, argomentando che mancava alcuna incertezza nella ricostruzione dei fatti e risultavano pertanto irrilevanti le circostanze su cui i testi della difesa avrebbero dovuto deporre. Va premesso che in tempi recenti questa Corte ha ribadito che, in tema di ammissione di prove ed anche nel giudizio di appello, quando si discute di prova diretta o di prova contraria, i parametri con cui valutare l'ammissibilità non sono quelli del primo o del terzo comma dell'articolo 603 c.p.p. il non essere in grado di decidere allo stato degli atti ovvero l'assoluta necessità bensì quelli dell'articolo 190.1 c.p.p. Sez.6, sent 8700/2013 . Orbene, nel caso di specie mentre la Corte d'appello ha spiegato che attese le modalità, i tempi ed i contenuti dell'occupazione della linea telefonica, tutti elementi di fatto non contestati dall'imputata, i contenuti delle testimonianze indicate nella lista erano irrilevanti, la difesa ha dedotto con il ricorso che, per contro, tali deposizioni avrebbero dovuto comprovare che le chiamate sarebbero state fatte nell'esercizio dell'attività di giornalista, dalla qual cosa avrebbe dovuto risultare o mancante l'elemento psicologico del delitto di cui all'articolo 340 c.p. o presente la scriminante del diritto di cronaca. Ma, si deve osservare, la stessa ricorrente precisa che in effetti nella lista testi originaria il contenuto delle testimonianze richieste era stato indicato solo con riferimento alle circostanze “di cui al capo di imputazione”. Nel ricorso l'abbinamento tra le testimonianze e l'attività giornalistica che avrebbe determinato le telefonate è poi prospettato in termini assertivi e del tutto generici, senza in particolare spiegare perché l'ipotetica ragione “giornalistica” avrebbe dovuto escludere il dolo del reato di cui all'articolo 340 c.p., tenuto conto che il costante insegnamento di questa Corte sul punto è quello della sufficienza del dolo eventuale di determinare l'interruzione o il turbamento Sez. 6, sent 8996/2010, 22422/2005, 36354/2003, 33062/2003 . Da ultimo, la prospettazione dell'attività giornalistica quale causa delle telefonate risulta in definitiva prospettata per la prima volta nel processo solo con il ricorso, non risultando il tema - che è invece di stretto merito - essere stato dedotto con l'atto d'appello. Ed allora, il giudizio di irrilevanza delle non ammesse deposizioni in primo luogo ha utilizzato un parametro consono all'articolo 190 c.p.p. in secondo luogo risulta oggetto di uno specifico apprezzamento della Corte distrettuale, non immediatamente incongruo ai termini in fatto della vicenda quali ricostruiti dalla sentenza di secondo grado, né contraddittorio o manifestamente illogico infine è destinatario di censura difensiva del tutto generica. 2.2 Il secondo motivo è manifestamente infondato. La Corte d'appello ha spiegato specificamente perché l'ora di ripetute telefonate della M. al numero 117, caratterizzate da escandescenze e frasario volgare e coinvolgenti in successione almeno tre militari oltre a due ufficiali, aveva determinato in concreto il turbamento della regolarità del servizio telefonico in atto, cagionando un'apprezzabile e ingiustificata discontinuità rispetto ai compiti d'istituto. 2.3 Il terzo motivo è manifestamente infondato. Risultano dagli atti cause di sospensione della prescrizione per complessivi due anni cinque mesi e nove giorni, con cui la ricorrente non si confronta, sicché il reato non si è prescritto. 2.4 Il ricorso va pertanto rigettato. Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa al caso, di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.