La riforma Fornero non si applica ai giudizi pendenti (anche di merito)

La nuova formulazione dell’articolo 18 St. Lav., introdotta dalla c.d. Riforma Fornero, non trova applicazione nei giudizi pendenti, alla data di entrata in vigore della novella, nei gradi di merito.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, con la sentenza numero 9098, depositata il 22 aprile 2014. Licenziamento intimato nel 2006, ma giudizio di merito ancora in corso si applica la Riforma Fornero? La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso dal lavoratore per impugnare il licenziamento disciplinare intimatogli nel 2006. Dopo i primi due gradi di giudizio, la Suprema Corte, ritenuta la sanzione datoriale non proporzionata al grado di responsabilità espresso dai fatti accertati, ha cassato la sentenza impugnata, demandando al giudice del rinvio le statuizioni conseguenti all’accertata illegittimità del recesso. Entrato in vigore, nelle more, il nuovo testo dell’articolo 18 St. Lav. – introdotto dall’articolo 1, comma 42, l. numero 92/2012, c.d. Riforma Fornero – il lavoratore ha invocato l’applicabilità del nuovo regime sanzionatorio, quale legge vigente al momento della decisione, non essendo ammessa, in difetto di una specifica disposizione che lo consenta, l’applicazione di una legge soppressa secondo la tesi del lavoratore, lo ius superveniens avrebbe dovuto trovare applicazione nella fattispecie poiché, essendo rimasto inalterato il fatto generatore, veniva a disciplinare esclusivamente gli effetti di tale fatto, verificatosi sotto l’impero della vecchia legge. Il nuovo articolo 18 St. Lav. non si applica ai giudizi pendenti, sia di legittimità che di merito. Nel risolvere la questione, la pronuncia in commento ha richiamato una precedente decisione del giudice di legittimità secondo cui la Riforma Fornero, nel novellare il testo dell’articolo 18 St. lav., non trova applicazione alle fattispecie di licenziamento oggetto dei giudizi pendenti innanzi alla Corte di Cassazione alla data della sua entrata in vigore Cass., numero 10550/2013 . Tale principio vale, non solo con riferimento all’applicabilità dello ius superveniens nei giudizi in corso avanti al giudice di legittimità, ma anche con riferimento ai giudizi pendenti, alla data di entrata in vigore della novella, nei gradi di merito ovvero come nella fattispecie in sede di rinvio. La Riforma Fornero non ha inciso solo sulla sanzione dei licenziamenti illegittimi, ma anche sulla qualificazione giuridica dei fatti. A sostegno di questa interpretazione, la pronuncia in commento ha affermato che la legge numero 92/2012 ha introdotto una nuova, complessa ed articolata disciplina dei licenziamenti, che àncora le sanzioni irrogabili per effetto dell’accertata illegittimità del recesso a valutazioni di fatto incompatibili, non solo con il giudizio di legittimità, ma anche con una eventuale rimessione al giudice di merito che dovesse applicare uno dei possibili sistemi sanzionatori conseguenti alla qualificazione del fatto giuridico determinativo del provvedimento espulsivo. Ed infatti, il nuovo sistema prevede distinti regimi di tutela a seconda delle ragioni comportanti l’illegittimità del licenziamento, con un’evidente incisiva ricaduta sul sistema delle allegazioni e delle prove, non essendosi la novella limitata ad una modifica della sanzione irrogabile, ma avendola ricollegata ad una molteplicità di ipotesi di condotte giuridicamente rilevanti, fra loro diverse, ed alle quali vengono connesse tutele fra loro profondamente differenti. La Riforma Fornero, dunque, ha introdotto un sistema unico che non incide solo sull’apparato sanzionatorio, ma impone un approccio diverso alla qualificazione giuridica dei fatti, incompatibile con una sua immediata applicazione ai processi in corso Cass., numero 10550/2013 . La pronuncia in commento non chiarisce, tuttavia, quale sia la sorte dei licenziamenti intimati prima dell’entrata in vigore della riforma e per i quali, a tale data, non era stato ancora instaurato il relativo giudizio di impugnazione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 marzo – 22 aprile 2014, numero 9098 Presidente Lamorgese – Relatore Bandini Svolgimento del processo Con sentenza in data 28.1-4.2.2010 la Corte d'Appello di Catanzaro, in riforma della decisione di primo grado, rigettò la domanda, proposta da C.R. , volta a far accertare l'illegittimità del licenziamento intimatole in data 29.3.2006 dalla Intesa Sanpaolo spa, alle cui dipendenze aveva prestato attività lavorativa avverso tale sentenza la C. propose ricorso per cassazione fondato su tre motivi. Questa Corte, con sentenza numero 2013/2012, rigettato il primo motivo, accolse i restanti, cassò la pronuncia impugnata e rinviò alla Corte d'Appello di Reggio Calabria. Rilevò questa Corte, per ciò che qui particolarmente interessa, che la sentenza d'appello non aveva fatto corretta applicazione dei principi in tema di proporzionalità fra la sanzione irrogata e la condotta addebitata, così pervenendo alla conferma della legittimità di una sanzione che appare, in realtà, sperequata rispetto all'effettivo disvalore della condotta della lavoratrice ed al grado di intensità della violazione della buona fede contrattuale che la stessa richiede in relazione alla necessaria prognosi di un futuro proficuo svolgimento del rapporto di lavoro concluse quindi questa Corte stabilendo che doveva ritenersi che la sanzione irrogata appare non proporzionata al grado di responsabilità che esprimono i fatti accertati, dovendosi al riguardo ribadire che il grave inadempimento degli obblighi contrattuali che costituisce il presupposto della nozione legale di giusta causa risulta incompatibile con comportamenti del lavoratore che, per le loro concrete modalità e per il contesto di riferimento, ed in particolare per l'esistenza di una conforme prassi aziendale, nota al datore di lavoro, appaiono insuscettibili di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e di determinare la irreparabile lesione del vincolo fiduciario che ispira la relazione di lavoro di tal che la sentenza impugnata andava cassata in relazione alle censure accolte e la causa doveva essere rimessa ad altro giudice di pari grado, che avrebbe provveduto in ordine alle statuizioni conseguenti all'accertata illegittimità del recesso . Riassunto il giudizio, il Giudice del rinvio, con sentenza del 23.11-24.12.2012, rigettò gli appelli proposti avverso le sentenze di primo grado, stabilendo che doveva tuttavia detrarsi dalla somma spettante a titolo di pagamento delle retribuzioni dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione quanto già ricevuto dalla lavoratrice in corso di causa. A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui specificamente rileva, la Corte territoriale osservò che - la sentenza rescindente della Corte di Cassazione aveva dichiarato definitivamente e irrevocabilmente nel merito l'illegittimità del licenziamento intimato, demandando al Giudice del rinvio soltanto la statuizioni conseguenti all'accertata illegittimità del recesso - le sanzioni per tale illegittimità erano quelle previste dall'articolo 18 legge numero 300/70 nel testo anteriore alla novella di cui alla legge numero 92/12, in quanto la normativa sostanziale sui licenziamenti prevista da quest'ultima trova applicazione, pur in assenza di norme transitorie sul punto, per i licenziamenti intimati dopo la sua entrata in vigore e, al più, per quelli intimati prima ma comportanti, per il preavviso, la cessazione successiva del rapporto lavorativo, laddove, nel caso di specie, il licenziamento e la sua efficacia risalivano al 2006. Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale resa in sede di rinvio, l'Intesa Sanpaolo spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria. L'intimata C.R. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, nonché vizio di motivazione, la ricorrente assume che la sentenza impugnata, senza la benché minima argomentazione, aveva condiviso in toto le conclusioni rassegnate nella pronuncia rescindente in ordine all'illegittimità del licenziamento, con ciò rigettando altresì la domanda subordinata di derubricazione della giusta causa in giustificato motivo, pur sottolineando, ai fini della regolamentazione delle spese, l'estrema gravità della condotta della lavoratrice e il consistente danno patrimoniale arrecato alla parte datoriale il che avrebbe dovuto condurre al riconoscimento della inevitabile improseguibilità del rapporto di lavoro. 1.1 Il suddetto motivo è manifestamente infondato, atteso che questa Corte, come inequivocabilmente risulta dal contenuto della pronuncia rescindente nei termini già diffusamente esposti nello storico di lite , aveva già stabilito, decidendo sul punto nel merito, l'illegittimità della sanzione espulsiva irrogata, sicché al Giudice del rinvio, come del resto espressamente demandatogli, non restava altro spazio decisionale se non quello afferente alle conseguenze dell'accertata illegittimità del recesso. 2. Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, nonché vizio di motivazione, la ricorrente invoca l'applicabilità alla fattispecie del regime sanzionatolo introdotto dalla legge numero 92/12, quale legge vigente al momento della decisione, non essendo consentito, in difetto di una specifica disposizione che lo consenta, l'applicazione di una legge soppressa il ridetto ius superveniens avrebbe dovuto infatti trovare applicazione nel caso di specie poiché, essendo restato inalterato il fatto generatore, veniva a disciplinare esclusivamente gli effetti di tale fatto, verificatosi sotto l'impero della vecchia legge. 2.1 La questione sollevata con il suddetto motivo è già stata affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte, che l'ha risolta ritenendo che l'articolo 1, comma 42, della legge 28 giugno 2012, numero 92, nel novellare il testo dell'all. 18 dello Statuto dei lavoratori, non trova applicazione alle fattispecie di licenziamento oggetto dei giudizi pendenti innanzi alla Corte di Cassazione alla data della sua entrata in vigore cfr. Cass., numero 10550/2013 . Il suddetto principio, enunciato, nel caso esaminato, con riferimento all'applicabilità dello ius superveniens nei giudizi pendenti avanti alla Corte di Cassazione, trova peraltro applicazione anche con riferimento ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della novella nei gradi di merito ovvero, come nel caso all'esame, in sede di rinvio. Ciò perché, come condivisibilmente osservato nel testé ricordato precedente di legittimità, a cui va qui data continuità, con la legge numero 92/12 è stata introdotta una nuova, complessa ed articolata disciplina dei licenziamenti, che ancora le sanzioni irrogabili per effetto della accertata illegittimità del recesso a vantazioni di fatto incompatibili non solo con il giudizio di legittimità, ma anche con una eventuale rimessione al giudice di merito che dovesse applicare uno dei possibili sistemi sanzionatori conseguenti alla qualificazione del fatto giuridico determinativo del provvedimento espulsivo ed invero il nuovo sistema prevede distinti regimi di tutela a seconda delle ragioni comportanti l'illegittimità del licenziamento, con un'evidente incisiva ricaduta sul sistema della allegazioni e delle prove, non essendosi la novella limitata ad una modifica della sanzione irrogatale, ma avendola ricollegata ad una molteplicità di ipotesi di condotte giuridicamente rilevanti, fra loro diverse, ed alle quali, appunto, vengono connesse tutele tra loro profondamente differenti si tratta dunque, in sostanza, di Un sistema unico che non incide sul solo apparato sanzionatorio ma impone un approccio diverso alla qualificazione giuridica dei fatti incompatibile con una sua immediata applicazione ai processi in corso cfr, Cass., numero 10550/2013, cit., in motivazione . 3. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all'articolo 13, comma 1 quater, dprnumero 115/02. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 4.100,00 quattromilacento , di cui Euro 4.000,00 quattromila per compensi, oltre accessori come per legge da atto della sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 13, comma 1 quater, dpr numero 115/02, introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge numero 228/12.