La mera titolarità dell’esercizio commerciale non è sufficiente per desumere un coinvolgimento nel meretricio praticato dalle massaggiatrici

In merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, spetta alla Corte di Cassazione il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 15968 del 10 aprile 2014. Il caso. Il Tribunale di Verona rigettava la richiesta di riesame avanzata da un uomo avverso l’ordinanza di custodia cautelare applicativa degli arresti domiciliari, emessa nei suoi confronti dal gip presso lo stesso Tribunale in quanto indagato dei reati di cui agli articolo 3 nnumero 8 e 4 e 4 nnumero 5 e 7 della legge 75/1958. In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, l’uomo era titolare di un centro benessere all’interno del quale alcune massaggiatrici praticavano, dietro corrispettivo in denaro, atti sessuali con i clienti. Avverso la decisione del Tribunale della libertà l’indagato ricorreva per Cassazione, deducendo diversi motivi di gravame in primis, vizio di motivazione in relazione alla gravità indiziaria, considerato che dalle dichiarazioni rese dai clienti del centro benessere non era in alcun modo emerso un suo coinvolgimento nei fatti oggetto di contestazione, in quanto i soggetti sentiti a sommarie informazioni testimoniali avevano chiaramente affermato di avere pagato la prestazione sessuale direttamente alla massaggiatrice o ad altra ragazza del centro. In secundis, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla valutazione sulla scelta della misura cautelare, avendo i Giudici della cautela omesso di considerare sia lo stato di incensuratezza di esso indagato che, contestualmente, il beneficio della sospensione condizionale della pena in caso di ipotetica condanna da cui deriva, sic et simpliciter, il divieto di applicazione di misure cautelari custodiali. I limiti al sindacato di legittimità in materia cautelare La Terza Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza de qua, ha avuto modo di ribadire alcuni importanti principi di diritto in materia di gravità indiziaria ex articolo 273 c.p.p. . Più specificamente, la Corte Regolatrice, riprendendo il consolidato orientamento di legittimità in materia, ha statuito come il ricorso in materia di misure cautelari deve riguardare esclusivamente la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione, con la conseguenza che il controllo di legittimità non può riferirsi alla ricostruzione dei fatti o censure che si concretizzino nella prospettazione di una diversa valutazione del compendio fattuale. Donde, continuano i Supremi Giudici, il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento cautelare personale è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti, consistenti nell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e nell’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine del provvedimento. L’insussistenza della gravità indiziaria. Nel caso de quo, la Corte di Cassazione ha riscontrato la sussistenza di una inequivocabile lacuna motivazionale in capo al provvedimento impugnato. In particolare, nell’ordinanza impugnata si fa un mero riferimento alla vasta indagine degli inquirenti su numerosi centri benessere all’interno dei quali le massaggiatrici praticavano il meretricio senza, però, fornire alcun elemento concretamente e specificamente indiziante nei riguardi di esso ricorrente. In altri termini, non vengono in alcun modo ricostruiti i rapporti teoricamente sussistenti tra il titolare del centro e le massaggiatrici e, pertanto, non vengono forniti elementi da cui poter ricavare una diretta responsabilità del titolare in termini di sfruttamento della prostituzione. Donde, all’indagato, in termini di gravità indiziaria, i fatti illeciti contestati, non potendo desumere il suo coinvolgimento semplicemente dalla mera titolarità dell’esercizio commerciale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 marzo – 1° aprile 2014, numero 15968 Presidente Teresi – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Verona, con ordinanza del 30.7.2013 ha rigettato la richiesta di riesame presentata avverso l'ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona nei confronti di Z.F. , indagato, unitamente ad altri, per i reati di cui agli articolo 3 numero 8 e 4 nnumero 5 e 7 legge 75/1958 nella sua qualità di titolare di un centro benessere all'interno del quale alcune massaggiatrici praticavano, dietro pagamento, atti sessuali consistiti in toccamenti e masturbazioni. Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia. 2. Con un primo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione in relazione alla gravità indiziaria, rappresentando che l'ordinanza impugnata avrebbe erroneamente valutato le dichiarazioni rese dai clienti del centro benessere, dal contenuto delle quali non emergerebbe il suo coinvolgimento, avendo costoro effettuato il pagamento delle prestazioni in un caso direttamente alla massaggiatrice e, nell'altro, ad una ragazza Europea che sedeva alla cassa. Aggiunge che il Tribunale non avrebbe tenuto conto della compresenza di due centri nella medesima via, cosicché non vi sarebbe certezza di quale sia quello cui si riferivano i clienti sentiti e del fatto che le massaggiatrici, lavorando a cottimo, avrebbero avuto tutto l'interesse ad accaparrarsi i clienti anche con prestazioni illecite all'insaputa dei titolari. 3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla valutazione sulla scelta della misura applicata, non avendo i giudici specificato le ragioni per le quali gli arresti domiciliari dovessero ritenersi adeguati anche a fronte della incensuratezza dell'indagato. Rileva, poi, che non sarebbe stato considerato il tempo trascorso dalla commissione dei fatti e si sarebbe anche trascurato la circostanza che lo stesso Tribunale, in diversa composizione, nel valutare le posizione di altri soggetti coinvolti nella medesima indagine, aveva ritenuto adeguata la meno afflittiva misura dell'obbligo di dimora. 4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge, osservando che il Tribunale non avrebbe considerato che l'indagato, in quanto incensurato, avrebbe potuto beneficiare della sospensione condizionale della pena, operando così il divieto di applicazione di misure cautelari custodiali. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 5. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati. Va preliminarmente ricordato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari personali deve riguardare esclusivamente la violazione specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione entro i limiti indicati dalla norma, con la conseguenza che il controllo di legittimità non può riferirsi alla ricostruzione dei fatti o censure che, seppure formalmente rivolte alla motivazione, si concretino in realtà nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già prese in considerazione dal giudice di merito v. Sez. VI numero 11194, 22 marzo 2012 Sez. V, numero 46124, 15 dicembre 2008 . Con specifico riferimento al ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame, in merito alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, si è inoltre osservato che alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie . SS. UU numero 11, 2 maggio 2000. V. anche Sez. IV numero 26992, 20 giugno 2013 Sez. IV numero 22500, 8 giugno 2007 . In definitiva, come pure si è osservato, il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento cautelare personale è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti, consistenti nell'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e nell'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine del provvedimento Sez. III numero 40873, 18 novembre 2010, V. anche Sez. IV numero 26992, 20 giugno 2013, cit. . 6. Ciò posto, deve rilevarsi che, anche entro l'ambito della limitata cognizione attribuita a questa Corte nei termini dianzi specificati, emerge con chiarezza la sussistenza della lacuna motivazionale dedotta dal ricorrente. Premesso infatti un generico richiamo al provvedimento applicativo della misura oggetto di impugnazione, il Tribunale osserva che i fatti attribuiti al ricorrente sono stati accertati nell'ambito di una più vasta indagine, sulla quale, però, non viene fornita alcuna indicazione ulteriore, limitandosi l'ordinanza impugnata a specificare che la stessa riguardava alcuni “centri benessere” all'interno dei quali, secondo le sommarie informazioni acquisite dai clienti, alcune cittadine cinesi, impiegate come massaggiatrici, praticavano il meretricio. Fatta questa premessa, con riferimento alla posizione dell'odierno ricorrente i giudici del riesame, dopo aver ricordato che nei suddetti centri, i massaggi praticati si completavano, talvolta, con la masturbazione del cliente, rileva che la l'attività di sfruttamento della prostituzione risulterebbe dalle dichiarazioni di due clienti, uno dei quali C.S. avrebbe riferito di aver pagato la prestazione direttamente alla cassa e non alla donna che lo aveva masturbato. Sulla base di tale unico elemento viene dunque rilevata la sussistenza di validi elementi indizianti in capo all'indagato. 7. Si tratta, tuttavia, ad avviso del Collegio, di una affermazione del tutto apodittica, che non fornisce alcuna giustificazione del percorso logico seguito dai giudici per collegare la persona del ricorrente all'attività di prostituzione svolta all'interno dell'esercizio del quale è titolare. Non viene infatti spiegato quali siano i rapporti effettivamente intercorrenti tra il ricorrente e le massaggiatrici, come era concretamente organizzata l'attività di queste ultime, quali condotte specifiche possano aver configurato lo sfruttamento dell'altrui prostituzione. Il provvedimento impugnato difetta, dunque, non soltanto della necessaria specificazione dei gravi indizi di colpevolezza, ma anche della elencazione descrittiva degli elementi di fatto sulla base dei quali la misura è stata applicata. Tale evenienza risulta ancor più evidente dall'esame dei verbali delle sommarie informazioni richiamate dal Tribunale e che il ricorrente ha allegato in copia al ricorso, poiché uno dei clienti del “centro benessere” B.L.S. ha riferito di aver corrisposto di sua iniziativa una “mancia” direttamente alla massaggiatrice per la masturbazione, pagando poi alla cassa la tariffa stabilita per il massaggio, mentre l'altro C.S. , ha riferito che la massaggiatrice non aveva chiesto alcun corrispettivo per la masturbazione e che l'intero importo pattuito era stato pagato ad una ragazza “Europea” che lo aveva accolto all'ingresso e che sedeva alla cassa. In entrambi i casi manca, dunque, qualsiasi riferimento al ricorrente, al quale i fatti illeciti contestati risultano essergli stati attribuiti, in mancanza di ulteriori precisazioni da parte dei giudici del riesame, sulla base della mera titolarità dell'esercizio commerciale. 8. Il rilevato difetto di motivazione impone, pertanto, l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. La natura assorbente del motivo di gravame appena esaminato esonera questa Corte dalla trattazione degli ulteriori motivi di ricorso. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Verona.