Il dipendente a cui sono stati negati gli incentivi riesce, con la revoca della vecchia domanda, proposta prima degli accordi tra azienda e sindacati, e la riproposizione di una nuova istanza, a beneficiare degli incentivi economici.
Il caso. Una spa chiede alla Corte di Cassazione l'annullamento della sentenza della Corte d'appello che, in riforma della decisione di primo grado, aveva accolto la domanda di un dipendente, condannando la società a corrispondergli l'incentivo economico di 30 milioni di lire previsto dall'azienda «per tutti i dipendenti che, per qualsiasi motivo, lasceranno il servizio a tutto il 1 luglio 2001». Il dipendente ha diritto a percepire l'incentivo? Dopo una attenta ricostruzione della successione di accordi aziendali, delibere datoriali e domande del lavoratore in merito, la sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 14412/2013 depositata il 13 maggio scorso, rileva che l’azienda aveva più volte prorogato la ricollocazione in altri servizi, compresa la possibilità di favorire l'esodo anticipato con il pagamento di un incentivo 30 milioni di lire appunto. La prima domanda è antecedente al comunicato aziendale. La motivazione addotta dall’azienda per negare il corrispettivo al lavoratore si fondava sul fatto che l’istanza era stata presentata in data antecedente all'emissione del comunicato con cui veniva resa nota la delibera del Consiglio di amministrazione. Prima domanda revocata dal lavoratore, che ne presenta una nuova e diversa. Ma il lavoratore, secondo la S.C., ha diritto al corrispettivo, anche perché, mentre egli era in attesa della risposta alla domanda del 24 novembre 2000 precedente al comunicato di sottoposizione a visita dell'INPS ai fini del collocamento in quiescenza, «aveva revocato tale domanda e in data 5 gennaio 2001 aveva proposto una richiesta, nuova e diversa, di lasciare il servizio». In conclusione, visto il rigetto del ricorso da parte della Corte di legittimità, la società dovrà pagare anche le spese di giudizio.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 febbraio – 13 maggio 2013, numero 11412 Presidente Roselli – Relatore Curzio Ragioni della decisione 1. La CSTP - Azienda della mobilità spa chiede l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di Salerno, pubblicata il 14 gennaio 2010, che, riformando la decisione di primo grado, ha accolto la domanda del dipendente C C. , condannando la società ricorrente a corrispondergli l'incentivo economico di L. 30.000.000 previsto dall'azienda per tutti i dipendenti che, per qualsiasi motivo, lasceranno il servizio a tutto il 1 luglio 2001 . 2. Il ricorso consta di un unico motivo, così rubricato violazione e falsa applicazione dell'articolo 1362 c.c. - omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione . 3. Il lavoratore si è difeso con controricorso. 4. La questione oggetto della controversia consiste nello stabilire se il C. avesse o meno diritto a percepire l'incentivo su indicato. 5. La Corte ha ricostruito l'intera vicenda ed in particolare la successione di accordi aziendali, delibere datoriali e domande del lavoratore. 6. L'azienda in data 24 ottobre 2000, aveva concordato con i sindacati un'intesa sul personale inidoneo da ricollocare in altri servizi, compresa la possibilità di favorire l'esodo anticipato con il pagamento di un incentivo. 7. Il Consiglio di amministrazione il 30 gennaio 2001 deliberò di corrispondere L. 30.000.000 ai dipendenti che si fossero dichiarati disponibili al collocamento in quiescenza. 8. La società con comunicato al personale del 16 febbraio 2001 dichiarò che intendeva corrispondere l'incentivo anche a quei dipendenti che avessero inoltrato la domanda entro il 31 marzo 2001. 9. Con ulteriore comunicato al personale del 15 marzo 2001 la società definitivamente precisò Facendo seguito al precedente comunicato del 16 febbraio 2001 si rappresenta che questa azienda in via del tutto eccezionale e senza ulteriore proroga, corrisponderà l'incentivo economico di L. 30.000.000 lordi a tutti quei dipendenti che, per qualsiasi motivo, lasceranno il servizio a tutto il 1 luglio 2001 . 10.Con nota del 26 marzo 2001 l'azienda negò l'incentivo al C. , spiegando le ragioni del rigetto con successiva nota del 13 giugno 2001 lei ha chiesto l'avvio della procedura per essere sottoposto a visita presso l'INPS allo scopo di essere collocato in quiescenza per invalidità con istanza del 24 novembre 2000 e quindi in data precedente all'emissione del comunicato del 16 febbraio 2001. Nulla rileva che lei è stato sottoposto a visita presso l'INPS in data 22 febbraio 2001 . 11. La Corte ha ritenuto che il diritto negato dall'azienda con tale comunicazione, invece sussista perché il C. , mentre era in attesa della risposta alla domanda del 24 novembre 2000 di sottoposizione a visita dell'INPS ai fini del collocamento in quiescenza, aveva revocato tale domanda e in data 5 gennaio 2001 aveva proposto una richiesta, nuova e diversa, di lasciare il servizio. 12. La Corte spiega, da un lato, perché la rinuncia alla prima domanda fosse possibile e legittima e, dall'altro, spiega che l'INPS accertò solo l'inidoneità alla guida, e non a qualsiasi tipo di attività, come invece sarebbe stato necessario ai fini dell'accoglimento dell'istanza. 13. La Corte afferma poi che la nuova domanda risulta tempestiva rispetto ai tempi fissati dall'azienda per concedere l'incentivo, essendo pervenuta quando il collocamento in quiescenza non era ancora stato perfezionato. 14. Con l'unico motivo di ricorso la CSTP sostiene che la sentenza della Corte è omissiva perché non ha valutato la comunicazione aziendale del 16 febbraio 2001. Il motivo non è fondato perché la Corte ha considerato tutte le comunicazioni aziendali, svolgendo un ragionamento unitario ed organico. Non può sostenersi che non abbia considerato tale comunicazione. In realtà, per questa via il ricorso tende ad ottenere una nuova e diversa valutazione di merito, il che non è possibile in sede di giudizio di legittimità, posto che la valutazione della Corte nel suo complesso è adeguatamente e coerentemente motivata. 15. La sentenza inoltre, per la società ricorrente, avrebbe violato l'articolo 1362 c.c. in base al quale assume valore fondamentale il senso letterale delle parole . Ed in particolare avrebbe male interpretato il significato letterale dei termini dimissioni , inoltreranno e l'espressione collocamento in quiescenza . 16. Anche questa censura non è fondata, perché la Corte basa il suo ragionamento sulla revoca della prima istanza e la tempestività della seconda. Prescinde quindi dal punto oggetto di tale censura. Censura che, peraltro, indica la violazione di una norma, l'articolo 1362 c.c., la quale, lungi dall'imporre in via esclusiva il canone dell'interpretazione letterale, impone di ricercare l'intenzione delle parti e di non limitarsi al senso letterale delle parole . 17. Con ulteriore censura si sostiene che il medesimo canone sarebbe stato violato dalla Corte laddove ha ritenuto che la seconda istanza costituisca revoca della precedente e sia idonea e tempestiva, assumendo che essa era completamente estranea al nuovo incentivo. Anche questa censura attiene al merito, perché concerne l'interpretazione che la sentenza formula della seconda istanza. 18. Infine, si sostiene che la sentenza sarebbe contraddittoria quando, da un lato afferma che fu accolta la prima istanza del C. e dall'altro ritiene che la stessa sia stata revocata. Se si legge la sentenza con attenzione si rileva che non vi è nessuna contraddizione nel pensiero espresso dalla Corte perché la sentenza spiega che la revoca era possibile ed intervenne prima dell'accoglimento dell'istanza. Il ragionamento quindi è pienamente coerente. 19. In conclusione, tutte le censure contenute nell'unico motivo di ricorso sono infondate. 20. Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio e vengono liquidate secondo i parametri previsti dal D.M. Giustizia, 20 luglio 2012, numero 140 cfr. Cass. Sez. unumero 17405 e 17406 del 2012 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 50,00 Euro per esborsi e 4.000,00 Euro per compensi professionali, oltre accessori di legge, con distrazione all'avv. Carlo Pisapia, dichiaratosi anticipatario.