A fronte della presunzione legale da accertamenti bancari, in virtù della quale le movimentazioni di denaro risultanti dai dati acquisiti dall'Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili, il contribuente ha l’onere di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni, non essendo comunque sufficiente una prova generica, ma dovendo il contribuente fornire la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell'estraneità delle stesse alla sua attività.
Il caso. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 17156 del 28 giugno 2018, ha chiarito quali sono i profili probatori in caso di indagini finanziarie. Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia rigettava l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, dichiarando, a conferma della sentenza di primo grado, l’illegittimità dell'avviso di accertamento con il quale l'Ufficio aveva recuperato a tassazione il maggiore reddito d'impresa, determinato, ex articolo 32 d.P.R. numero 600/1973 e 51 del d.P.R. numero 633/1972, sulla base di indagini finanziarie. La CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, osservava che «l'Ufficio, in effetti, a fronte della rilevante rettifica determinata nel volume di affari, pur confermando l'ammontare degli acquisti effettuati, nemmeno in questa sede, fornisce elementi probatori tali da sorreggere adeguatamente la ripresa a tassazione dallo stesso operata» e che, peraltro, l'Ufficio, a fronte della scarna motivazione dell'atto impositivo, non aveva neanche prodotto il PVC, da cui potere trarre maggiori elementi a sostegno dell'accertamento L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso avverso la sentenza della CTR, denunciando, per quanto qui di interesse, la violazione degli articolo 32, comma 1, numero 2 del d.P.R. numero 600 del 1973, 51, comma 2, numero 2 d.P.R. numero 633/1972 nonché degli articolo 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c., per non avere il giudice di appello, a fronte di un accertamento basato su di una indagine bancaria, invertito l'onere della prova a carico della contribuente, in ordine alla specifica riferibilità di ogni prelevamento o versamento sui conti correnti oggetto di verifica ad operazioni non imponibili. Prelevamenti e versamenti operati su conti correnti. Il ricorso, secondo la Suprema Corte, era fondato. Evidenziano infatti i Giudici di legittimità che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'articolo 32, d.P.R. numero 600/1973 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi. E, a fronte di detta presunzione legale, il contribuente è onerato di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del Giudice, il quale è tenuto a individuare, analiticamente, i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio purché grave, preciso e concordante ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell'ammontare e nel contesto complessivo cfr., Cass. numero 19971 del 2016 Cass. numero 22502 del 2011 . In tema di IVA, poi, ribadisce ancora la Corte, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal d.P.R. numero 633/1972, articolo 51, comma 2, numero 2 in virtù della quale le movimentazioni di denaro, nella specie bancarie, risultanti dai dati acquisiti dall'Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili , non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell'affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell'estraneità delle stesse alla sua attività cfr., Cass. numero 4829/2015 Cass. numero 21303/2013 . Movimenti bancari. La Cassazione evidenzia infine che, come già statuito in altre pronunce, «i movimenti bancari operati sui conti personali di soggetti legati al contribuente da stretto rapporto familiare o da particolari rapporti contrattuali possono essere riferiti al contribuente, salva la prova contraria a suo carico, al fine di determinarne i maggiori ricavi non dichiarati, in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla gestione dell'attività imprenditoriale» cfr., Cass. numero 16978 del 2015 numero 20668 del 2014 numero 26173 del 2011 In conclusione, nella specie, il Giudice a quo non si era conformato ai suddetti principi, in quanto, a fronte di un accertamento bancario, con operatività della presunzione legale relativa della imputabilità dei prelevamenti e dei versamenti operati sui conti correnti bancari, non annotati contabilmente, ai ricavi conseguiti, nella propria attività, dalla contribuente, aveva erroneamente ritenuto che l'onere probatorio fosse a carico dell'Ufficio. Conclusioni e osservazioni. L'utilizzazione dei dati risultanti dalle copie di conti correnti bancari non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali a ristretta base azionaria, ai conti formalmente intestati all'ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, o loro familiari, allorché, in assenza di prova contraria, risulti dimostrata dall'Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell'intestazione. E dunque il Giudice d'appello, dopo avere presuntivamente collegato i conti alla società, avrebbe dovuto fare applicazione del meccanismo probatorio in virtù del quale i prelevamenti e i versamenti su conti correnti utilizzati per il compimento di operazioni riferibili alla società contribuente si presumono con presunzione legale inerenti a ricavi non contabilizzati, laddove, come appunto nel caso di specie, la stessa contribuente non avesse dimostrato di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito o che essi non riguardavano l'attività d'impresa. Ciò che era mancato durante il processo era, in sostanza, la prova contraria del contribuente, laddove l’insieme degli elementi dimostrava la più che probabilità della ricostruzione effettuata dall'Ufficio, che presentava i requisiti di gravità, precisione e concordanza posti dall’articolo 2729 c.c Gravità intesa come rilevante contiguità logica col fatto ignoto precisione in quanto il fatto noto da cui la presunzione prendeva le mosse era certo nella sua oggettività e concordanza perché tutti gli indizi erano dello stesso segno e non si contraddicevano tra di loro. E, al fine di superare la presunzione di cui all'articolo 32 d.P.R. numero 600/73, come detto, non è del resto neppure sufficiente una prova generica, ma è necessaria la prova analitica dell'estraneità delle movimentazioni all’attività.
Corte di Cassazione, sez. V Civile, ordinanza 2 febbraio – 28 giugno 2018, numero 17156 Presidente Bruschetta – Relatore Putaturo Donati Viscido di Nocera Fatto e diritto Rilevato che - con sentenza numero 303/31/11 depositata in data 3 ottobre 2011 e non notificata, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di L.S.R.A. avverso la sentenza numero 508/06/2006 della Commissione tributaria provinciale di Catania, dichiarando, in conferma della sentenza di primo grado, la illegittimità dell’avviso di accertamento numero RJA01T200102, ai fini Irpef, Irap e Iva, oltre sanzioni, con il quale, a seguito di p.v.c. della Guardia di Finanza di Riposto, per l’anno di imposta 2001, l’Ufficio aveva recuperato a tassazione il maggiore reddito d’impresa determinato ex articolo 32 del d.P.R. numero 600 del 1973 e 51 del d.P.R. numero 633 del 1972 - il giudice di appello premetteva che 1 la CTP di Catania aveva accolto il ricorso di L.S.R.A. contro l’Agenzia delle entrate avverso l’avviso di accertamento con il quale per l’anno di imposta 2001, l’Ufficio aveva recuperato a tassazione maggiore materia imponibile, ai fini Irpef, Irap e Iva, a seguito di indagini bancarie 2 aveva proposto appello l’Ufficio eccependo il difetto di motivazione della sentenza impugnata nonché la violazione degli articolo 39, comma 1, lett. d e 32, comma 1, numero 7 del d.P.R. numero 600 del 1973 3 la contribuente aveva controdedotto eccependo la nullità dell’accertamento per carenza di motivazione nonché l’erroneità delle indagini bancarie espletate sul conto corrente del marito - la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, osservava che l’Ufficio, in effetti, a fronte della rilevante rettifica determinata nel volume di affari, pur confermando l’ammontare degli acquisti effettuati, nemmeno in questa sede, fornisce elementi probatori tali da sorreggere adeguatamente la ripresa a tassazione dallo stesso operata e che, peraltro, l’Ufficio, a fronte della scarna motivazione dell’atto impositivo, non aveva neanche prodotto il p.v.c. da cui potere trarre maggiori elementi a sostegno dell’accertamento - avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi - rimane intimata Anna Rosa L.S. - il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 375, secondo comma, e dell’articolo 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’articolo 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, numero 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, 197. Considerato che - con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c., la violazione degli articolo 32, comma 1, numero 2 del d.P.R. numero 600 del 1973 51, comma 2, numero 2 del d.P.R. numero 633 del 1972 nonché degli articolo 2697,2727, 2728 e 2729 c.c. per non avere il giudice di appello, a fronte di un accertamento basato su di una indagine bancaria, invertito l’onere della prova a carico della contribuente in ordine alla specifica riferibilità di ogni prelevamento o versamento sui conti correnti oggetto di verifica ad operazioni non imponibili - con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’articolo 42, comma 2, del d.P.R. numero 600 del 1973, come modificato dall’articolo 1,comma 1, del d.lgs. numero 32 del 2001 dell’articolo 56, comma 5, del d.P.R. numero 633 del 1972 nonché degli articolo 7 della legge numero 212 del 2000 e 3 della legge numero 241 del 1990, per avere erroneamente il giudice di appello ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento per carenza di motivazione anche in considerazione della mancata produzione in giudizio del p.v.c., senza considerare che lo stesso era da ritenersi, conformemente all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, motivato per relationem avendo fatto rinvio al p.v.c. redatto in data 15 dicembre 2004 dalla G.d.F. e consegnato dall’Ufficio in copia alla contribuente - con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3 e 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1,2, e 7 del d.lgs. numero 546 del 1992 nonché degli articolo 112, 210 e 213 c.p.c. per non avere il giudice di appello, nel ritenere essenziale ai fini della decisione l’acquisizione del p.v.c. della GdF, ordinatone la produzione in giudizio a carico della Amministrazione finanziaria - il primo motivo è fondato - in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’articolo 32, del d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi. A fronte di detta presunzione legale il contribuente è onerato di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio purché grave, preciso e concordante ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo Cass. numero 19971 del 2016 Cass. numero 22502 del 2011 - In tema di IVA, ed al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633, articolo 51, comma 2, numero 2 in virtù della quale le movimentazioni di denaro, nella specie bancarie, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili , non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale Cass. numero 4829 del 2015 Cass. numero 21303 del 2013 - va, altresì, ribadito che, come già statuito da questa Corte, i movimenti bancari operati sui conti personali di soggetti legati al contribuente da stretto rapporto familiare o da particolari rapporti contrattuali possono essere riferiti al contribuente, salva la prova contraria a suo carico, al fine di determinarne i maggiori ricavi non dichiarati, in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla gestione dell’attività imprenditoriale Cass. numero 16978 del 2015 numero 20668 del 2014 numero 26173 del 2011 - nella specie, il giudice a quo non si è conformato ai suddetti principi, in quanto, a fronte di un accertamento bancario, con operatività della presunzione legale relativa della imputabilità dei prelevamenti e dei versamenti operati sui conti correnti bancari, non annotati contabilmente, ai ricavi conseguiti, nella propria attività, dalla contribuente, ha erroneamente ritenuto, disattendendo il criterio di distribuzione dell’onere probatorio, che l’Ufficio nemmeno in questa sede, fornisce elementi probatori tali da sorreggere adeguatamente la ripresa a tassazione dallo stesso operata , senza operare, invece, l’inversione a carico della contribuente dell’onere della prova della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale - l’accoglimento del primo motivo rende inutile la trattazione del secondo e del terzo motivo, con assorbimento degli stessi - in conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto, assorbiti il secondo e il terzo, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione affinché esamini il merito della vicenda. P.Q.M. la Corte accoglie il primo motivo di ricorso assorbiti il secondo e il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione.