RASSEGNA DELLA CASSAZIONE CIVILE di Maria Rosaria San Giorgio

di Maria Rosaria San Giorgio SEZIONE PRIMA 25 FEBBRAIO 2011, N. 4690 IMPUGNAZIONI CIVILI - IMPUGNAZIONI IN GENERALE - TERMINI - DECORRENZA. Termine breve per impugnare - Decorrenza - Notifica della sentenza - Caratteristiche necessarie. Ai fini della determinazione del termine breve per impugnare, di cui all'art. 326 Cpc, occorre che la notifica della sentenza sia caratterizzata dalla volontà di porre fine al processo, mettendo in moto i termini per l'impugnazione nei confronti sia del notificato sia del notificante e, pertanto, se tale volontà non sussiste, la notificazione è inidonea a segnare il dies a quo del termine breve, non essendo sufficiente la mera partecipazione cognitiva realizzata mediante un atto di esibizione documentale compiuto ad altri fini. Nella specie, la Corte ha ritenuto inidonea la notificazione della sentenza compiuta in un diverso processo, pendente tra le stesse parti, ai sensi e per gli effetti dell'art. 372 Cpc, al dichiarato fine di comprovare che il giudizio non si era definito con sentenza passata in giudicato. Sul tema, Cass. S.U. 3829/07 ha affermato che la notificazione della sentenza nelle forme di cui agli artt. 285 e 170, primo comma, Cpc fa decorrere il termine di impugnazione, a norma dell'art. 326 Cpc non solo per la parte destinataria, ma anche per la parte che ha effettuato la notifica, a tal fine dovendosi attribuire incondizionato rilievo alla scienza legale collegata, dalle stesse norme del codice di rito, al compimento delle predette formalità di notificazione della sentenza, senza che possa darsi ingresso ad accertamenti sulla funzione che nel caso specifico la notificazione stessa possa avere avuto in relazione all'esito del giudizio ed all'intenzione della parte notificante, giacché tali accertamenti, oltre a non trovare fondamento in disposizioni di legge, si porrebbero in evidente contrasto con le esigenze di chiarezza e incontestabilità che sussistono in materia di formazione della cosa giudicata per decorrenza dei termini di impugnazione e con l'indisponibilità delle relative situazioni giuridiche. Nella specie, la Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso per cassazione notificato dopo la scadenza del termine di sessanta giorni di cui all'art. 325 Cpc, computato a decorrere dalla notificazione della sentenza ad iniziativa della stessa parte ricorrente, ha disatteso il motivo di denuncia fondato sulla tesi per cui la notificazione della sentenza d'appello era stata funzionale non già a far decorrere il termine di impugnazione - giacché la controparte non aveva interesse ad impugnare la sentenza a lei favorevole - bensì a far decorrere il termine per la riassunzione del giudizio dinanzi al giudice di primo grado, ex art. 353 Cpc, con la conseguenza che il termine di impugnazione sarebbe decorso dal giorno della scadenza del termine per la riassunzione del giudizio. Successivamente, Cass. 10026/2010 ha precisato che l'art. 326, comma primo, Cpc ricollega la decorrenza del termine breve d'impugnazione non già alla conoscenza, sia pure legale, della sentenza, ma al compimento di una formale attività acceleratoria e sollecitatoria, data dalla notificazione della sentenza effettuata nelle forme tipiche del processo di cognizione al procuratore costituito della controparte, secondo la previsione degli artt. 285 e 170 Cpc. Se la notificazione è eseguita in forma diversa, ed in particolare alla controparte personalmente, essa non vale a far decorrere il termine breve per l'impugnazione non soltanto nei confronti del notificato, ma anche nei confronti del notificante, rispetto al quale non può invocarsi il principio che la parte non può far valere la nullità cui essa stessa ha dato causa art. 157 Cpc , atteso che la notificazione al domicilio reale del soccombente anziché al procuratore costituito non è, per questo solo fatto, inficiata da alcuna nullità, ma realizza soltanto una diversa forma di notificazione rispetto a quella prevista dagli artt. 285 e 170 Cpc, inidonea a far decorrere il termine d'impugnazione. SEZIONE PRIMA 25 FEBBRAIO 2011, N. 4690 RESPONSABILITÀ CIVILE - AMMINISTRAZIONE PUBBLICA - IN GENERE. Rinuncia all'esercizio dell'attività assicurativa - Successiva adozione del decreto di liquidazione coatta amministrativa - Illegittimità - Danno ingiusto - Valutazioni del giudice. Nel caso in cui venga introdotta, avanti al giudice ordinario, una domanda risarcitoria, ai sensi dell'art. 2043 cc, per illegittima adozione del decreto di liquidazione coatta amministrativa, a causa della carenza di potere della P.A., avendo la società nella specie rinunciato all'esercizio dell'attività assicurativa, il giudice, nel valutare l'esistenza di un danno contra ius, non può prescindere dal sostrato di fatto che aveva determinato l'intervento ispettivo dell'organo di vigilanza ISVAP e poi del Ministero, con addebito di sanzioni nei confronti della società. Nella specie, la Corte ha escluso l'esistenza del danno ingiusto, rilevando che non era venuto meno il potere-dovere di vigilanza in capo alla P.A., previsto dagli artt. 71, 72 e 80 dell'allora vigente Dpr 449/1959, e che la società non aveva fornito prova della infondatezza o arbitrarietà delle contestazioni mosse nei suoi confronti. La responsabilità della P.A., ai sensi dell'articolo 2043 cc per l'esercizio illegittimo della funzione pubblica è configurabile qualora si verifichi un evento dannoso incidente su un interesse rilevante per l'ordinamento ed eziologicamente connesso ad un comportamento della P.A. caratterizzato da dolo o colpa, non essendo sufficiente la mera illegittimità dell'atto a determinarne automaticamente l'illiceità. Ne consegue che il giudice ordinario è chiamato ad applicare un criterio di imputazione della responsabilità non correlato alla sola illegittimità del provvedimento, bensì ad una più complessa valutazione, estesa all'accertamento della colpa e della connotazione dell'azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto. Stante la diversità di ambito del giudizio dinanzi al giudice ordinario sulla domanda risarcitoria rispetto a quello - che si svolge dinanzi al giudice amministrativo - rivolto all'accertamento della illegittimità del provvedimento impugnato e al suo conseguente annullamento, deve escludersi che la pronuncia del giudice amministrativo di annullamento del provvedimento impugnato determini una preclusione da giudicato nel giudizio civile e impedisca all'autorità giudiziaria ordinaria l'esercizio del potere-dovere di procedere ad autonomo esame degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria azionata. Principio affermato da Cass. 15259/06 in una fattispecie relativa all'accertamento di responsabilità di un comune per i danni derivati alla società concessionaria per la costruzione di un complesso alberghiero a causa dell'annullamento in sede di autotutela della concessione . Già Cass. S.U. 500/99 aveva chiarito v. poi in senso conforme Cass. 6005/07 e 12282/09 che nel caso in cui venga introdotta, avanti al giudice ordinario, una domanda risarcitoria, ai sensi dell'art. 2043 cc, nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, il giudice deve procedere, in ordine successivo, alle seguenti indagini a in primo luogo, deve accertare la sussistenza di un evento dannoso b deve, poi, stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l'ordinamento a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo c deve, inoltre, accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile ad una condotta della P.A. d infine, deve verificare se detto evento dannoso sia imputabile a responsabilità della P.A., considerando che tale imputazione non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell'illegittimità del provvedimento, richiedendosi, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana. SEZIONE PRIMA 25 FEBBRAIO 2011, N. 4690 IMPUGNAZIONI CIVILI - CASSAZIONE RICORSO PER - PROCEDIMENTO - DECISIONE DEL RICORSO - CASSAZIONE CON RINVIO - IN GENERE. Istanza di rimessione alla Corte di giustizia della CE - Proponibilità. L'istanza di rimessione alla Corte di giustizia della CE può essere proposta anche nel giudizio di rinvio, la cui natura chiusa determina solo una preclusione endoprocessuale inidonea ad ostacolare l'applicazione del diritto comunitario. Nella fattispecie si trattava di ammissibilità della procedura concorsuale di liquidazione coatta amministrativa in caso di rinunzia all'esercizio dell'attività assicurativa. Nell'ipotesi di cassazione per violazione di norme di diritto, in sede di giudizio di rinvio o di impugnazione della sentenza emessa dal giudice di rinvio - aveva affermato Cass. 6986/04 - non è ammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma considerata ed interpretata dalla Corte di Cassazione, attesa la definitività del principio di diritto enunciato in relazione ai presupposti logici necessari della pronuncia di annullamento. In senso contrario, Cass. 27082/07 ha ritenuto che l'eccezione di illegittimità costituzionale può essere proposta anche nel giudizio di rinvio, ancorché si riferisca alla medesima norma su cui si basa il principio di diritto formulato dalla Corte di Cassazione, atteso che l'effetto vincolante di detto principio nel giudizio di rinvio opera con esclusivo riferimento all'interpretazione del contenuto della norma, non anche con riguardo alla sua validità costituzionale, la cui attestazione non compete al giudice ordinario. SEZIONE PRIMA 24 FEBBRAIO 2011, N. 4580 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE O UTILITÀ - SOGGETTI PASSIVI. Procedura espropriativa nei confronti dei proprietari catastali - Legittimità - Diritto alla indennità - Sussistenza in capo agli stessi - Pretesa dei creditori pignoratizi - Fondatezza - Esclusione. La procedura espropriativa prevista dalla legge 865/1971 va iniziata e proseguita nei confronti dei proprietari iscritti nei registri immobiliari, ai quali deve essere effettuato il pagamento delle dovute indennità. Nella specie, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza che aveva ritenuto erronea la pretesa dei creditori pignoratizi. Il principio secondo il quale la procedura espropriativa prevista dalla legge 865/1971legittimamente si svolge, per quanto riguarda il soggetto passivo, nei confronti dei proprietari iscritti negli atti catastali il cui elenco, ai sensi dell'art. 10 legge cit., deve essere allegato a corredo della relazione esplicativa dell'opera da realizzare, mentre, ai sensi dell'art. 13 della medesima legge, la pronuncia del decreto di espropriazione deve essere effettuata sulla base dei dati risultanti dalla documentazione di cui all'art. 10 è stato enunciato da Cass. 21622/04, che ne ha tratto la conclusione che lo svolgimento dell'espropriazione nei confronti del proprietario catastale e la mancata notifica del decreto di esproprio al proprietario effettivo comportano soltanto che quest'ultimo non sia soggetto al termine di decadenza per l'opposizione alla stima impedendone il decorso , ma non costituiscono, in particolare, motivo di carenza del potere espropriativo che legittimi il proprietario stesso ad invocare l'illiceità dell'occupazione del fondo al fine di ottenere il risarcimento del danno corrispondente al valore del bene. Infatti - osserva la Corte - l'effetto traslativo della proprietà alla mano pubblica si verifica alla data della pronuncia del decreto anzidetto nei confronti del proprietario catastale e indipendentemente dalla successiva notificazione del provvedimento, la quale, rispetto al decreto medesimo, avente natura di atto non recettizio, non è né elemento integrativo, né requisito di validità, né condizione di efficacia, avendo solo la funzione di far appunto decorrere il termine di opposizione alla stima, onde la relativa mancanza non impedisce che detto proprietario, nel termine di prescrizione decennale dalla pronuncia dell'indicato decreto non trovando applicazione le disposizioni di cui all'art. 19 legge 865/1971 e 51 legge 2359/1865, contenenti previsioni di più brevi termini per l'opposizione medesima che postulano l'esistenza di una rituale notificazione del provvedimento ablatorio , possa autonomamente agire per la determinazione dell'indennità afferente alla proprietà da lui acquisita e successivamente espropriata.