Troppo breve il lasso di tempo intercorso tra l’arrivo del minore in Italia e la proposizione della domanda del padre, nonché l’età del bambino al momento dell’inizio del giudizio. Circostanze che hanno confermano la residenza abituale a Cuba ed il difetto di giurisdizione del giudice italiano a decidere.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza numero 11915 depositata il 28 maggio 2014, richiamando la Convenzione Aja sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori Aja 5.10.1961 e la Legge numero 218/1995. La vicenda. Su ricorso proposto da un padre cittadino italiano, il Tribunale per i Minorenni disponeva l’affido condiviso del figlio minore nato da una relazione con una donna cubana ad entrambi i genitori con collocamento prevalente presso l’abitazione paterna. La Corte d’Appello, riformando la decisione impugnata dalla madre, riteneva fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano sollevata dalla reclamante. Il padre, pertanto, proponeva ricorso per cassazione che veniva rigettato. Residenza abituale del minore. L’individuazione del giudice deputato a disporre l’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio nonché a decidere le controversie in tema di responsabilità genitoriale deve esser effettuata sulla base del luogo di residenza abituale del minore. Secondo la Corte di Cassazione la “residenza abituale” del minore consiste nel luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazioni Cass. numero 22507/2006 . È proprio in tale luogo che risiede il giudice più vicino al minore in grado di meglio tutelare gli interessi dei bambini “contesi”. Più complesso appare individuare la residenza abituale e, conseguentemente, la giurisdizione, in neonati o in bambini di pochi mesi che non hanno modo di stringere legami solidi con il contesto che li circonda. In tal ipotesi, come nel caso di specie, si ritiene doversi applicare il criterio della stabilità e della durata della presenza del minore in un dato territorio che, di norma, coincide con quello del genitore che rappresenti per il bambino la figura essenziale di riferimento. Competente il giudice cubano e non italiano. Secondo i giudici di legittimità, correttamente la Corte d’Appello ha identificato nello Stato cubano il luogo di residenza abituale ed effettiva del minore in quanto questi era nato e vissuto a Cuba, nell’abitazione dei partenti cubani. Il ricorso del padre al Tribunale per i Minorenni italiano era stato depositato quando il piccolo, di solo 7 mesi, si trovava in Italia da poco più di 2 mesi. Pertanto, il breve lasso di tempo intercorso tra l’arrivo del minore in Italia e la proposizione della domanda del padre, da un lato, e l’età del bambino al momento dell’inizio del giudizio, dall’altra, confermano la residenza abituale a Cuba ed il difetto di giurisdizione del giudice italiano a decidere. Irrilevante il criterio della prevalenza della cittadinanza italiana in caso di doppia cittadinanza. Infondato il motivo di ricorso del padre italiano secondo cui nel caso de quo, essendo il figlio minore anche cittadino italiano, troverebbe applicazione il criterio della prevalenza della cittadinanza italiana ai sensi del secondo comma dell’articolo 19 legge numero 218/1995 secondo cui «se la persona ha più cittadinanze se tra le cittadinanze vi è quella italiana, questa prevale», con conseguente prevalenza anche sul criterio della residenza abituale. I giudici di legittimità contestano che il secondo comma dell’articolo 19 possa venir interpretato ed applicato autonomamente rispetto al primo comma, di cui, anzi, costituisce una specificazione che subordina l’applicazione di tale articolo al fatto che le disposizioni della legge numero 218/1995 richiamino la legge nazionale di una persona, ipotesi certamente non ricorrente nella fattispecie di cui trattasi. E anzi, continuano i giudici, l’articolo 42 della medesima legge di diritto internazionale privato stabilisce che per la competenza nella regolamentazione della protezione dei minori deve esser applicato il criterio della loro residenza abituale.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 29 aprile – 28 maggio 2014, numero 11915 Presidente Santacroce – Relatore Piccininni Svolgimento del processo 1. Con decreto del 18.7.2013 il Tribunale per i Minorenni di Genova disponeva che il minore F.F.L. , figlio di F.M. e Fe.Pe.Ya. il primo cittadino italiano, la seconda cubana , fosse affidato congiuntamente ad entrambi i genitori con collocazione presso l'abitazione del padre ubicata in , prevedendo altresì l'accompagnamento del minore a Cuba, secondo modalità da concordare, per la visita ai parenti ivi residenti. 2. Il provvedimento, impugnato dalla Fe.Pa. , veniva riformato dalla Corte di Appello di Genova, sezione minorenni, che segnatamente riteneva fondata l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano sollevata dalla reclamante. In particolare la Corte territoriale rilevava che l'individuazione del giudice deputato a disporre l'affidamento dei figli nati da genitori non coniugati doveva essere effettuata in ragione del luogo di residenza effettiva ed abituale del minore nel momento di proposizione della relativa domanda che nella specie il minore era nato a Cuba, era sempre vissuto presso la famiglia della madre con i nonni ed il fratellino di tre anni, era giunto in Italia con la madre assistita da un semplice visto turistico, e quindi senza avere l'intenzione di trasferire la residenza in Italia che sulla base della indicata situazione in punto di fatto il tribunale adito non sarebbe stato competente a decidere al riguardo, non essendo in Italia la residenza del minore che l'articolo 1 della Convenzione dell'Aja del 5.10.1961, resa esecutiva con la legge 24.10.1980, numero 742, avrebbe dato rilievo unicamente al criterio della residenza abituale del minore, quale ravvisabile al momento dell'introduzione del giudizio, sicché non sarebbe stato correttamente evocabile il principio della prossimità , basato sulla vicinanza del giudice minorile che il luogo di residenza abituale non avrebbe potuto neppure essere identificato con quello in cui il minore aveva vissuto più a lungo che infine sarebbe stato irrilevante, per quanto di interesse nella vicenda oggetto di esame, il fatto che il minore beneficiasse della doppia cittadinanza, e quindi anche di quella italiana, non essendo quest'ultimo aspetto idoneo a mutare i generali criteri di identificazione del giudice in tema di affidamento e collocazione di minori, determinati in ragione dell'avvertita necessità di assicurare loro la più adeguata tutela per la vita futura ed il corretto sviluppo psicologico. 3. Avverso la decisione F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito l'intimata con controricorso. Entrambe le parti hanno poi depositato memoria. La controversia veniva infine decisa all'esito dell'udienza pubblica del 29.4.2014. Motivi della decisione 4. Con i motivi di impugnazione il ricorrente ha rispettivamente denunciato 1 violazione dell'articolo 111 Cost. sotto il profilo del diritto di difesa e/o della condizione di parità garantita alle parti e dell'articolo 738 c.p.c., per le seguenti ragioni il giudizio davanti alla Corte di appello era stato promosso dalla Fe.Pe. , mentre con la comparsa di costituzione di esso ricorrente era stato proposto reclamo incidentale il relatore designato ed il Procuratore Generale avevano tuttavia omesso di riferire a quest'ultimo riguardo, motivando la detta omissione con la mancata consegna della relativa documentazione la relazione era stata conseguentemente affidata alla difesa di esso ricorrente reclamante incidentale, che tuttavia era stata costretta a riassumere una memoria di ben settanta pagine in soli dieci minuti , a differenza di quanto verificatosi per il reclamante principale, i cui argomenti difensivi erano stati esaustivamente illustrati dal giudice relatore, che ritualmente ne aveva preso visione 2 vizio di motivazione e violazione dell'articolo 1 della Convenzione dell'Aja 1961, nonché delle norme che attribuiscono giurisdizione al giudice del luogo in cui il minore ha la residenza abituale. La Corte territoriale avrebbe infatti errato, innanzitutto, da un punto di vista metodologico, per non aver preventivamente individuato la norma ritenuta applicabile ed aver invece richiamato principi desunti dalla giurisprudenza di questa Corte, che peraltro non sarebbe stata correttamente interpretata. Secondo il ricorrente, il principio di prossimità del minore all'ufficio giudiziario ai fini dell'individuazione del giudice della controversia, risultante dal parametro normativo del luogo della sua residenza effettiva ed abituale, sarebbe invero astrattamente del tutto condivisibile. Tuttavia non altrettanto potrebbe dirsi per l'applicazione effettuata nel concreto dalla Corte di appello, che infatti ne aveva limitato l'operatività soltanto alle ipotesi di individuazione della competenza interna, e non anche quindi a quelle concernenti la ripartizione della giurisdizione. Nella contestata decisione della Corte di appello sarebbero inoltre apprezzabili anche due ulteriori profili di erroneità, consistenti rispettivamente a nel fatto che la cognizione del giudice non potrebbe arrestarsi agli aspetti cristallizzati alla data di proposizione della domanda, ma dovrebbe estendersi a quelli potenzialmente realizzabili in un quadro prospettico b nella acquiescenza che la Fe.Pe. avrebbe implicitamente manifestato alle iniziative adottate dal ricorrente nei suoi confronti 3 vizio di motivazione e violazione degli articolo 3, 4 e 5, III capoverso, della Convenzione dell'Aja 1961 - in relazione all'articolo 3 Convenzione di New York -, 19, comma secondo, l. 218/95 e della normativa attributiva della giurisdizione al giudice dello stato di cui il minore è cittadino. Dal complesso delle disposizioni richiamate si evincerebbe infatti il principio della prevalenza della giurisdizione del giudice nazionale rispetto a quello di abituale residenza del minore. Nel caso poi di doppia nazionalità, come quello in oggetto, dovrebbe comunque prevalere la cittadinanza italiana, e da ciò discenderebbe l'attribuzione della giurisdizione al giudice italiano e la conseguente erroneità del contestato provvedimento adottato. 5. È infondato il primo motivo di ricorso, risultando all'evidenza insussistente la denunciata violazione del diritto di difesa e della condizione di parità delle parti, asseritamente derivante dall'omessa relazione in udienza sul ricorso incidentale, da parte del giudice nominato come relatore. Stando a quanto rappresentato dallo stesso ricorrente, l'omissione sarebbe stata imputabile ad un semplice disguido interno dell'ufficio mancata consegna della documentazione al giudice designato per la relazione , e non già all'esecuzione di provvedimenti irritualmente emessi. In ogni modo è certo che non vi è stata alcuna lesione dei due diritti di difesa e di rispetto della parità delle parti, posto che è stato espressamente consentito al difensore del F. di illustrare direttamente le proprie ragioni e non risulta che, per l'esercizio del relativo diritto, sia stato assegnato un tempo limitato ed inadeguato circostanza adombrata, con notazioni peraltro del tutto generiche nella illustrazione del motivo , come pure indirettamente si desume dalla mancata indicazione delle questioni che, ove non si fosse verificato il disguido segnalato, avrebbero potuto essere oggetto di una trattazione più adeguata, in grado cioè di poter in astratto più convenientemente incidere sul merito della decisione. 6. È ugualmente infondato il secondo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha censurato la statuizione in tema di giurisdizione denunciandone l'erroneità sotto diversi aspetti. 6.1 Ed infatti è insussistente, o comunque irrilevante, il preteso errore di metodo consistente nella mancata preventiva individuazione della norma applicabile , perché la Corte di appello ha invece fatto esplicito riferimento all'articolo 1 della Convenzione dell'Aja del 5.10.1961 quarta pagine della sentenza , ed in ogni modo la denunciata violazione sarebbe configurabile ove erroneamente applicata la normativa vigente, ipotesi dunque che prescinde dalla correttezza metodologica seguita. 6.2 È privo di pregio anche il rilievo secondo cui dal complesso delle iniziative adottate dalla Fe.Pe. dovrebbe desumersi una sua acquiescenza rispetto alle iniziative del F. , e ciò sotto il duplice aspetto che la questione appare nuova, non risultando essere stata prospettata in precedenza, e che la sua eventuale delibazione presupporrebbe una valutazione di merito, non consentita in questa sede di legittimità. 6.3 Resta infine l'ultimo aspetto considerato nella trattazione del motivo, vale a dire quello relativo alla determinazione del parametro utilizzabile al fine della individuazione del giudice chiamato a decidere, individuazione che sarebbe errata, sia perché non si sarebbe tenuto debito conto del fatto che il criterio della residenza abituale del minore incontestabilmente applicabile nella specie sarebbe espressione del criterio di prossimità/vicinanza , al quale sarebbe funzionalmente collegato, sia perché l'accertamento della residenza abituale dovrebbe essere effettuato privilegiando una prognosi prospettica per il più compiuto soddisfacimento degli interessi del minore, anziché sulla base di una interpretazione statica dei dati esistenti al momento del giudizio. 6.3 a Invero al riguardo va osservato che, come correttamente evidenziato dalla Corte di appello, trova applicazione nella specie l'articolo 1 della già citata Convenzione dell'Aja del 5.10.1961, che attribuisce al giudice del luogo di residenza abituale del minore la competenza ad adottare le misure tendenti alla protezione della sua persona e dei suoi beni. La stessa Corte ha poi ritenuto che la determinazione del luogo di residenza abituale, individuabile quale centro dei legami affettivi del minore, dovesse essere effettuata sulla base della situazione oggettiva esistente all'atto di introduzione del giudizio e, in applicazione dei detti criteri, ha poi stabilito che il luogo di residenza abituale del piccolo F.F.L. fosse a , nella città di . La soluzione appare corretta e quindi condivisibile, alla luce delle seguenti considerazioni è principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in sintonia fra l'altro con quanto affermato nel Regolamento CE numero 2201/2003 articolo 8 e nella Convenzione dell'Aja del 25.10.1980 articolo 8 , che per i provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale secondo le previsioni degli articolo 330 e segg. c.c. e per quelli in tema di giurisdizione sui provvedimenti de potestate rileva il criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda per i primi comma 13/17746, comma 12/1984, comma 06/2171, comma 05/2877, comma 03/1058, comma 01/9266, comma 99/1238, per i secondi comma 12/1984, comma 11/16864 il minore è nato a l' OMISSIS , ivi aveva vissuto fino al 23.4.2012 data di ingresso in Italia nella famiglia della madre con i nonni ed il fratellino di tre anni e quindi, tenuto conto che per la tenera età del bambino per il quale è sorta controversia la madre inevitabilmente rappresentava la sua figura essenziale di riferimento , il luogo della sua residenza è stato esattamente identificato con quello dell'abitazione dei parenti cubani, presso la quale era collocato il ricorso del F. al Tribunale dei Minorenni, la cui decisione ha dato luogo al decreto impugnato, è stato proposto il 14.6.2012, vale a dire quando il bambino aveva compiuto da poco sette mesi. Il breve intervallo di tempo intercorso tra l'arrivo del minore in Italia e la proposizione della domanda del padre, da una parte, e l'età del bambino al momento dell'inizio del giudizio - che esclude in radice la possibilità della creazione di un effettivo e stabile centro di interessi diverso da quello originario -, dall'altra, danno dunque conferma dell'esattezza del giudizio formulato dalla Corte di appello. Né a diverse conclusioni possono indurre i rilievi formulati dal F. , che dopo aver invocato l'applicazione del principio di prossimità basato sulla vicinanza del giudice minorile e di quello, affermato in via giurisprudenziale, secondo il quale il luogo di residenza non è quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto, ha pure sostenuto la necessità di una valutazione in prospettiva per stabilire se il cambiamento di abitazione presenti rilevante probabilità di tradursi in una nuova effettiva e stabile collocazione del centro della vita e d'interessi del minore . Quanto al primo aspetto, il criterio stabilito dalla citata convenzione dell'Aja esclude la possibilità di applicazione di altri criteri da esso divergenti quanto al secondo, il principio giurisprudenziale evocato è quello espressamente affermato dalla Corte di appello quarta pagina quanto al terzo, la sollecitata valutazione prospettica contrasta con il criterio della residenza abituale, interpretato nel senso sopra delineato. 7. È infine infondato anche il terzo motivo, con il quale F. ha sostenuto che, essendo il figlio Lorenzo cittadino italiano, il criterio della cittadinanza avrebbe dovuto prevalere, ai fini della determinazione della giurisdizione, su quello della residenza abituale. La prospettazione è innanzitutto basata sul fatto che l'articolo 1 della citata Convenzione dell'Aja, pur fissando il criterio della residenza abituale del minore per l'individuazione del giudice competente, precisa anche che il principio è applicabile, salve le disposizioni degli articoli 3, 4 e 5, terzo capoverso . Nella specie tuttavia il richiamo risulta del tutto irrilevante, non rientrano il caso oggetto di esame in alcuna delle ipotesi delineate nei citati articoli, consistenti nel riconoscimento, negli Stati contraenti, di un rapporto di autorità risultante dalla legislazione interna dello Stato nella possibilità, per lo Stato di cui il minore è cittadino, di adottare misure a tutela del minore, ove le circostanze lo esigano nella persistente efficacia delle misure adottate dallo Stato in cui era la precedente residenza abituale, nell'ipotesi di trasferimento della stessa. Il ricorrente ha però sostenuto l'erroneità della decisione impugnata anche sotto altro profilo, e cioè in ragione del disposto dell'articolo 19, secondo comma, della legge 218/95 il riferimento alla Convenzione di New York è stato invero effettuato soltanto per un richiamo ai principi ivi stabiliti, che costituirebbero una chiave interpretativa della normativa nel senso suggerito , che più precisamente recita che se la persona ha più cittadinanze e fra queste vi è quella italiana è appunto il caso del figlio del ricorrente , quest'ultima prevale. Anche quest'ultima notazione risulta tuttavia inconsistente, innanzitutto, perché il secondo comma dell'articolo 19 in questione va interpretato alla luce del primo comma, di cui costituisce una ulteriore specificazione, che subordina l'applicazione della norma al fatto che le disposizioni della legge numero 218 richiamino la legge nazionale di una persona, ipotesi certamente non ricorrente nella specie. In ogni modo l'articolo 42 della stessa legge stabilisce che la protezione dei minori è regolata dalla più volte menzionata Convenzione dell'Aja che impone, come criterio determinativo della competenza nella regolamentazione della relativa materia, quello della loro residenza abituale. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.700, di cui Euro 4.500 per compenso, oltre agli accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità ed i dati identificativi dei soggetti indicati. Rileva infine l'inapplicabilità dell'articolo 13, comma 1 quater d.P.R. numero 115 del 2002, poiché il processo risulta esente dal contributo.