Madre single, con neonato, occupa un alloggio Iacp. Nessuno stato di necessità

Confermata la condanna per la donna, che, senza reddito, aveva scelto la soluzione estrema per dare un tetto al proprio bambino. Accettabile solo se il pericolo è attuale e imminente, quindi impossibile legittimare una presa di possesso destinata a protrarsi nel tempo. A maggior ragione se la casa è destinata proprio alle fasce sociali meno abbienti.

Madre single, senza reddito e con un neonato a cui dare un tetto, in tempi rapidi. E purtroppo la domanda per ottenere una casa non ottiene riscontro, alla luce della «assenza di alloggi popolari». Unica scelta, allora, quella di entrare abusivamente in un alloggio, libero, e prenderne possesso. Eppure è da rigettare – come da Cassazione, sentenza numero 9265, Seconda sezione Penale, depositata oggi – l’ipotesi dello «stato di necessità». Occupazione. Unica soluzione, come detto, per la madre single, è prender possesso, abusivamente, di un appartamento, di proprietà dell’Istituto autonomo case popolari. Meglio percorrere questa strada, per salvaguardare il proprio bambino, piuttosto che continuare ad aspettare l’assegnazione di un alloggio Ciò comporta, però, conseguenze in ambito giudiziario sia in Tribunale che in Appello, difatti, ella viene considerata responsabile di «invasione e occupazione arbitraria», e, quindi, condannata. Emergenza. A propria discolpa, però, la donna richiama la propria difficile situazione, ovvero nessun reddito e un bambino a cui dare un tetto. Evidente, a suo avviso, «lo stato di necessità» – elemento su cui viene centrato il ricorso in Cassazione –, soprattutto tenendo presente il bisogno pressante di «evitare conseguenze letali» per il proprio bambino. Per completare il quadro, poi, la donna ricorda anche di aver presentato regolare domanda «per ottenere un alloggio», senza alcun riscontro, però, considerata «la totale assenza di alloggi popolari» in città. Errata, quindi, secondo la donna, la visione del «mero stato di disagio abitativo» Solo temporaneo. La difficile situazione della donna è acclarata, così come è acclarata l’occupazione illegittima dell’alloggio di proprietà dello Iacp. Quale diventa, allora, il nodo gordiano? La valutazione del pericolo Ebbene, ricordano i giudici, laddove si agisce contra ius per «evitare un danno grave alla persona», il pericolo deve essere «imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo». Vanno escluse, quindi, quelle situazioni croniche, destinate, cioè, a protrarsi nel tempo A maggior ragione se si considera che «l’esigenza abitativa è destinata, necessariamente» a dilatarsi, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Tutto ciò comporta che «lo stato di necessità», invocato dalla donna, può essere considerato certificato «solo per un pericolo attuale e transitorio, non certo per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa», anche tenendo presente che proprio gli alloggi Iacp «son destinati a risolvere esigenze abitative di non abbienti». Di conseguenza, l’emergenza lamentata dalla donna – il cui ricorso viene rigettato –, ovvero il bisogno di un tetto per il proprio neonato, non può essere accettata, soprattutto se finalizzata a «legittimare un’occupazione permanente di un’immobile».

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 2 febbraio – 9 marzo 2012, numero 9265 Presidente Cosentino – Relatore Rago Fatto 1. Con sentenza del 29/06/2011, la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza con la quale, in data 23/06/2009, il giudice monocratico del tribunale della medesima città aveva ritenuto B.A. colpevole del reato di cui agli articolo 633 e 639 bis c.p. per avere abusivamente occupato un immobile di proprietà dello IACP di Palermo. 2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputata, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi 1. violazione dell’articolo 54 c.p. per non avere la Corte territoriale riconosciuto lo stato di necessità nonostante dalla documentazione in atti risultasse che la ricorrente non aveva alcun reddito, aveva un figlio neonato completamente a suo carico al quale era necessario «fornire rapidamente un tetto per evitare conseguenze letali per la salute dello stesso». D’altra parte, la domanda per ottenere un alloggio non aveva avuto alcun riscontro stante la totale assenza di alloggi popolari nella città di Palermo. Aveva, quindi, errato la Corte territoriale nel ritenere che la ricorrente versava in uno mero stato di disagio abitativo. 2. violazione dell’articolo , 157 c.p., per non avere la Corte territoriale dichiarato la prescrizione, atteso che il fatto risulta accertato al 27/01/2004. Diritto 1. violazione dell’articolo 54 c.p. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate. In punto di diritto, va ribadito quanto statuito da questa Corte con sentenza numero 36270/2010 che, in una fattispecie di occupazione di immobili, ha escluso la sussistenza dello stato di necessità. Il primo dato di fatto dal quale partire è che l’imputata ha occupato stabilmente l’immobile avendolo trasformato nella sua residenza fissa. Il secondo elemento che viene in rilievo è il dettato dell’articolo 54 c.p., nella parte in cui stabilisce che, per la configurabilità dello stato di necessità la cui prova spetta all’imputato che la invoca , occorre che il pericolo sia “attuale”. Tale ultimo requisito presuppone che, nel momento in cui l’agente agisce contra ius - al fine di evitare “un danno grave alla persona” - il pericolo sia imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio Cass. 3310/1981 riv 148374 . L’attualità del pericolo, per argumentum a contrario, esclude, in linea di massima, tutte quelle situazioni di pericolo non contingenti caratterizzate da una sorta di cronicità essendo datate e destinate a protrarsi nel tempo. Infatti, ove, nelle suddette situazioni, si ritenesse la configurabilità dello stato di necessità, si effettuerebbe una torsione interpretativa del dettato legislativo in quanto si opererebbe una inammissibile sostituzione del requisito dell’attualità del pericolo con quello della permanenza, alterando così il significato e la ratio della norma che, essendo di natura eccezionale, necessariamente va interpretata in senso stretto. Invero, il pericolo non sarebbe più attuale rectius imminente bensì permanente proprio perchè l’esigenza abitativa - ove non sia transeunte e derivante dalla stretta ed immediata necessità “di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona” - necessariamente è destinata a prolungarsi nel tempo. Va, poi, osservato che, venendo in, rilievo il diritto di proprietà, un’interpretazione costituzionalmente, orientata dell’articolo 54 c.p. alla luce dell’articolo 42 Cost., non può che pervenire ad una nozione che concili l’attualità del pericolo con l’esigenza di tutela del diritto di proprietà del terzo che non può essere compresso in permanenza perché, in caso contrario, si verificherebbe, di fatto, un’ipotesi di esproprio senza indennizzo o, comunque, un’alterazione della destinazione della proprietà al di fuori di ogni procedura legale o convenzionale cfr. sul punto, Cass. 35580/2007 riv 237305 Cass. 7183/2008 riv 239447. Quanto appena detto, porta, pertanto a ritenere che lo stato di necessità, nella specifica e limitata ipotesi dell’occupazione di beni altrui, può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio non certo per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria, esigenza abitativa, tanto più che gli alloggi IACP sono proprio destinati a risolvere esigenze abitative di non abbienti, attraverso procedure pubbliche e regolamentate. In conclusione, la doglianza deve ritenersi infondata in quanto una precaria ed ipotetica condizione di salute non può legittimare, ai sensi dell’articolo 54 c.p., un’occupazione permanente di un immobile per risolvere, in realtà, in modo surrettizzio, un’esigenza abitativa. 2. violazione articolo 157 c.p. il reato è di natura permanente, sicchè il dies a quo per la prescrizione va calcolato dalla sentenza di primo grado pronunciata in data 23/06/2009 di conseguenza, ad oggi, il termine di prescrizione anni sette e mesi sei non è ancora decorso. 3. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.