“Facciamo l’amore”, “Prima lavati”: lui, pastore, rifugge il sapone e si becca una condanna

Assurda vicenda relativa ai complicati rapporti tra moglie e marito. Casus belli le sue pressanti richieste sessuali, una volta tornato a casa dal lavoro, richieste respinte da lei a causa della pessima igiene personale di lui. Ma l’aver comunque costretto la moglie a fare l’amore comporta la condanna per l’uomo, che lavora come pastore, per il reato di violenza sessuale.

Pessima igiene personale. Questo il motivo della lamentazione della donna nei confronti del marito che, appena tornato dalla propria attività di pastore, la ‘obbliga’ a rapporti sessuali non desiderati. Sarebbe bastato un pizzico di buon senso, oltre ad acqua e sapone, per risolvere la questione e invece l’uomo si ritrova condannato per violenza sessuale. Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza n. 980/14 , depositata oggi Rifiuto. Assurda la vicenda approdata nelle aule di giustizia italiane, ancora più assurdo che, su di essa, due addirittura siano i pronunciamenti dei giudici del ‘Palazzaccio’. Come detto, a scatenare la bagarre è la denuncia di una donna, lamentatasi perché obbligata a consumare rapporti sessuali dal proprio marito, rapporti a cui ella era contraria perché l’uomo era solito consumarli al rientro dalla propria attività di pastore, senza praticare alcuna igiene e pulizia del proprio corpo . A sorpresa, dalla Corte d’Appello – ad ottobre 2008 – arriva l’azzeramento dell’accusa di violenza sessuale a carico dell’uomo, ma tale decisione viene subito rimessa in discussione dal ‘Palazzaccio’, laddove si evidenzia che la peculiarità dei motivi del dissenso non eliminava il dissenso medesimo, per cui i rapporti sessuali, laddove imposti con la forza dall’uomo, erano e restavano violenti . Nuovamente interpellati, i giudici di secondo grado cambiano completamente ottica viene confermato, nei confronti dell’uomo, l’ addebito di abusi sessuali ai danni della moglie. Consequenziale la condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione per l’uomo. Abusi. Ebbene, nonostante la contestazione proposta in Cassazione, ancora una volta, dall’uomo, la condanna viene confermata e diventa definitiva come detto, 30 mesi di reclusione per il marito incapace di rispettare il legittimo bisogno di pulizia personale della moglie prima di un rapporto sessuale. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, peraltro, è irrilevante la circostanza che l’unico motivo per cui la donna rifiutava i rapporti sessuali era costituito dalla scarsa igiene del marito e che avrebbe consentito a tali rapporti se egli si fosse previamente lavato . Ciò che conta, davvero, è la sostanza della vicenda la violenza del rapporto sessuale , che si realizza quando, proprio come in questa vicenda, i rapporti vengono imposti . Di nessuna importanza, comunque, le motivazioni che hanno indotto la donna a rifiutare il rapporto sessuale preteso dal coniuge, ossia la mancata igiene dell’uomo che, invece, la donna riteneva indispensabile, atteso il lavoro di pastore svolto dal marito.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 11 giugno 2013 – 13 gennaio 2014, n. 980 Presidente Foti – Relatore Ciampi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 16 aprile 2012 la Corte d’appello di Catania, in sede di rinvio, decidendo sul solo appello proposto da C.M. avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Caltagirone in data 15 novembre 2007, determinava la pena inflitta all’imputato in anni due e mesi sei di reclusione. Questi era stato tratto a giudizio per rispondere dei reati di cui agli artt. 572, 609 bis e 610 c.p. e condannato alla pena di giustizia dal Tribunale di Caltagirone. Con sentenza dell’8 ottobre 2008 la Corte d’appello di Catania assolveva il C. dal reato di cui all’art. 609 bis c.p. poiché il fatto non sussiste e determinava la pena in ordine ai residui reati in anni due mesi uno e giorni dieci di reclusione. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la Procura Generale. La S.C annullava la sentenza della Corte d’appello limitatamente al reato di cui al capo c . La Corte territoriale con la gravata sentenza rigettava i motivi di appello in ordine a tale reato, ritenendo tuttavia sussistente l’ipotesi di minore gravità di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p., rideterminando la pena come sopra indicato. 2. Avverso tale decisione ricorre il C., deducendo la contradditorietà e manifesta illogicità della motivazione. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Nell’annullare, su ricorso dei Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Catania, la sentenza della Corte distrettuale emessa nei confronti dell’odierno ricorrente in data 8 ottobre 2008 e con cui il C. era stato assolto dal reato di cui all’art. 609 bis c.p. in danno della moglie G.L., questa Suprema Corte ha rilevato quanto segue. La Corte di Appello di Catania, con sentenza in data 08/10/08, assolveva C.M. dal reato di cui all’art. 609 bis c.p., perché il fatto non sussiste. La Corte Territoriale argomentava sul punto, asserendo che - pur essendo la donna contraria ai rapporti sessuali, perché l’uomo era solito consumarli al rientro dalla propria attività di pastore, senza praticare alcuna igiene e pulizia del proprio corpo, finiva per poi accettare volontariamente i rapporti sessuali. Trattasi di motivazione carente ed insufficiente, posto che la donna - come evidenziato con motivazione coerente e puntuale del giudice di 1^ grado - non accettava volontariamente i rapporti sessuali, ma li subiva coattivamente. L’uomo, invero - dopo aver immobilizzato con le mani la moglie - le imponeva i rapporti sessuali, senza aderire affatto alle richieste della coniuge di effettuare la necessaria igiene del proprio corpo. Orbene la Corte Territoriale, sul punto de quo, non ha precisato in modo univoco le ragioni per cui i rapporti sessuali imposti coattivamente alla donna dovevano ritenersi comunque consumati consensualmente. Invero la peculiarità dei motivi del dissenso non eliminava il dissenso medesimo, per cui i rapporti sessuali, laddove imposti con la forza dall’uomo, erano e restavano violenti. Va annullata, pertanto, la sentenza della Corte di Appello di Catania in data 08/10/08, con rinvio a detta Corte Territoriale, altra sezione, per nuovo esame in relazione al reato di cui all’art. 609 bis c.p. capo B della rubrica. La sentenza impugnata attenendosi ai rilievi di questa Corte e ritenendo irrilevante la circostanza che l’unico motivo per cui la donna rifiutava i rapporti sessuali era costituito dalla scarsa igiene del marito e che avrebbe consentito a tali rapporti se lo stesso si fosse previamente lavato, ha ritenuto che detta circostanza non elimina la violenza del rapporto sessuale sussistendo il reato di cui all’art. 609 bis c.p. in tutti i casi in cui i rapporti sessuali vengano in qualsiasi modo imposti, essendo del tutto irrilevanti le modalità ed i mezzi utilizzati e le motivazioni che avessero indotto la parte offesa a rifiutare non un astratto rapporto sessuale con il marito, ma il rapporto sessuale da questi preteso e poi imposto senza che avesse praticato quella igiene che la donna riteneva indispensabile atteso il lavoro svolto dal C. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha pienamente osservato l’ambito funzionale del giudizio di rinvio, considerando altresì che le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, in ordine agli abusi sessuali in addebito, risultavano credibili oggettivamente e soggettivamente. Trattasi di un logico apparato argomentativo, che si sottrae all’ulteriore richiesto vaglio di legittimità che non può del resto spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945 . E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e , per effetto della L. n. 46 del 2006, resta immutata la natura dei sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 dei 23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv. 234109 . Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177 Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181 . 4. Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente Corte Cost., sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.