Restituzione di finanziamento ai soci: bancarotta per distrazione o preferenziale?

Nel caso in cui il creditore si identifichi nello stesso soggetto che assume le vesti di amministratore della società, contestualmente responsabile del depauperamento e della decozione, un atto di disposizione patrimoniale in suo stesso favore, in costanza di insolvenza, integra bancarotta fraudolenta per distrazione e non preferenziale.

La bancarotta preferenziale. Solo apparentemente, come vedremo, pare banale ricordare che la bancarotta preferenziale consiste nel fatto dell’imprenditore che, prima prefallimentare o durante postfallimentare la procedura fallimentare, allo scopo di favorire, a danno dei creditori, uno o taluni di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione. Pur trattandosi di dato altrettanto evidente, ancora una volta è necessario rammentare, dopo il dato letterale della norma, la ratio della incriminazione, che va ricercata nella esigenza di tutelare la par condicio creditorum . La lesività di tale condotta appare, infatti, di tutta evidenza laddove si consideri che proprio questo è il fine della procedura concorsuale, fatte salve le disparità di trattamento che trovino giustificazione nelle cause legittime di prelazione espressamente individuate dalla legge. Il principio tutelato, come con efficace espressione si e già avuto modo di indicare in dottrina, è quello della giustizia distributiva del sacrificio in presenza di una situazione di insolvenza e, dunque, di lesione comunque in atto del patrimonio dei creditori. Alla luce di tali premesse è agevole affermare che nelle ipotesi di bancarotta fraudolenta preferenziale l’operato del fallito non va a differenza che nella bancarotta per distrazione a diminuire la consistenza del patrimonio destinato al soddisfacimento pur parziale dei creditori, bensì ad alterare l’ordine o la parità, comunque stabilita dalla legge, di soddisfazione dei creditori in presenza di una acclarata situazione di insolvenza. La bancarotta fraudolenta patrimoniale . Le condotte che caratterizzano la bancarotta fraudolenta patrimoniale sono la distrazione, l’occultamento, la dissimulazione, la distruzione o dissipazione totale o parziale dei beni dell’imprenditore ovvero il riconoscimento o l’esposizione di passività inesistenti. Tali condotte, secondo la storica dottrina penalistica, sono accumunate dal connotato della diminuzione fittizia od effettiva del patrimonio del debitore in danno dei creditori. L’interesse leso diminuzione effettiva o sottoposto a pericolo diminuzione fittizia , in tali ipotesi, è l’integrità del patrimonio del fallito. Secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente trattasi di reato di pericolo e, secondo l’orientamento prevalente, di pericolo astratto, nel senso che è sufficiente ad integrarlo la mera esposizione al pericolo del bene tutelato, cioè una probabile lesione del bene che, dunque, non deve essere accertata in concreto dal giudice al fine della affermazione della penale responsabilità. Secondo la giurisprudenza, infatti, la dichiarazione di fallimento segna il verificarsi dell’esposizione a pericolo del bene come probabilità di pregiudizio per i creditori. Al fine che ci interessa va ulteriormente chiarito cosa debba intendersi per condotta distrattiva, cioè sia l’estromissione di un bene dal patrimonio dell’imprenditore, che la destinazione di detto bene ad uno scopo diverso da quello doveroso. Distrarre un bene significa, dunque, distoglierlo da una destinazione giuridicamente vincolante e, nello specifico, renderlo inidoneo alla funzione di garanzia generica a favore della generalità dei creditori. Il discrimen tra le due fattispecie. Quanto sopra descritto e, soprattutto, una rigorosa applicazione dei principi costituzionalizzati di tassatività e legalità della fattispecie penale, in uno con la ricerca della ratio della incriminazione, non dovrebbe lasciare dubbi interpretativi di sorta nella distinzione fra le due fattispecie, essendo lo iato delineato dal legislatore profondo ed evidente. Purtuttavia è controversa, sia in dottrina che in giurisprudenza, la riconducibilità all’una o all’altra fattispecie del fatto dell’amministratore che, nell’esercizio delle proprie funzioni, soddisfi un proprio credito verso la società a scapito degli altri creditori, questione che è stata, appunto, oggetto dell’arresto giurisprudenziale che si annota. Se infatti è pacifico che l’amministratore che paga un proprio debito personale con beni del fallimento commette bancarotta per distrazione, e non bancarotta preferenziale, assai controversa è l’ipotesi in cui l’amministratore si ripaghi di crediti propri, vantati nei confronti della società fallita, con il patrimonio della società medesima. La fattispecie è, invero, assai frequente si pensi alle ipotesi dell’amministratore che esegua un finanziamento alla società e, prima del fallimento della stessa, ma in situazione di già appalesatasi insolvenza, provveda a restituire a se stesso i finanziamenti in precedenza operati. L’aspetto peculiare della fattispecie in esame va individuato nel fatto che uno stesso soggetto opera con la duplice veste di amministratore che paga, e dunque dispone dei beni della società, e di creditore preferito in quanto riceve in pagamento dette somme. La soluzione del caso in esame. Proprio questo il caso di specie sottoposto al vaglio della Suprema Corte l’amministratore di una società, che versa in una situazione di conclamata insolvenza, si auto rimborsa pregressi finanziamenti personali disposti in favore della società stessa. La Corte di Appello di Firenze aveva ricondotto la fattispecie alla ipotesi di bancarotta patrimoniale per distrazione, ma contro tale capo della sentenza ricorre agli Ermellini il difensore dell’imputato, richiamandosi a quella giurisprudenza che afferma la configurabilità del delitto di bancarotta preferenziale e non patrimoniale per distrazione in caso di restituzioni ai soci di finanziamenti da questi concessi in precedenza alla società. La giurisprudenza richiamata dal ricorrente Cass. Penumero Sez. V, 07/03/2008, numero 14908 Frigerio , infatti, in ipotesi di restituzione di finanziamenti ai soci, aveva ritenuto configurabile la mera e meno grave ipotesi preferenziale sulla base del rilievo che « - essendo estranei a questi apporti di denaro la natura di conferimenti di capitale di rischio - rappresentano il sorgere di un effettivo ed esigibile credito chirografario in capo ai soci, senza che da ciò consegua effettivo depauperamento dell'asse patrimoniale ». Ciononostante, nel caso che ci occupa, la Suprema Corte stigmatizza l’ipotesi in cui il creditore si identifichi nello stesso soggetto che ha il ruolo di amministratore della società, responsabile del depauperamento delle risorse della società e della decozione il rimborso a se stesso di un credito costituisce fatto ben diverso e più grave rispetto alle mera volontà di privilegiare un creditore in posizione paritaria rispetto ad altri. Ne consegue, pertanto, la legittimità della condanna per bancarotta fraudolenta per distrazione e non per mera bancarotta preferenziale. ed il contrario orientamento . Tuttavia la dottrina prevalente ed una giurisprudenza minoritaria non condividono tale orientamento, ritenendo più corretto l’inquadramento di una simile condotta nell’ambito della bancarotta preferenziale di cui all’articolo 216 comma 3 l.f., in quanto, di fatto, l’amministratore, con la restituzione a se medesimo del finanziamento, altro non fa se non favorire se stesso in danno degli altri creditori. Come correttamente si è osservato, in tale ipotesi, laddove il credito dell’amministratore sia effettivamente esistente, non si verifica alcun depauperamento del patrimonio posto a garanzia dei creditori e, dunque, nessuna offesa a tale oggettività giuridica, ma solo all’interesse dei creditori a veder rispettata la par condicio . Non solo. Una attenta, come dovrebbe essere, osservanza del principio di tassatività e di legalità non può non fare rimarcare come sia l’articolo 216 che l’articolo 223 l.f., nel prevedere l’incriminazione dell’amministratore per bancarotta preferenziale, non distinguono il caso in cui l’amministratore paga un credito effettivo a se stesso dal caso in cui lo paga ad un terzo in violazione della par condicio . Ed allora pare abbastanza evidente come l’interpretazione adottata dalla Suprema Corte nel caso in esame si ponga in contrasto sia con la lettera della legge che con la ratio sottesa alla due fattispecie, non configurandosi alcun depauperamento del patrimonio del fallito, ma solo una messa in pericolo dell’interesse dei creditori a veder rispettate le disposizioni normative che disciplinano una ripartizione egalitaria di detto attivo fallimentare.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 luglio - 6 novembre 2012, numero 42710 Presidente Ferrua – Relatore Micheli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17/06/2011, la Corte di appello di Firenze, terza sezione penale, confermava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Livorno il 25/11/2009 nei confronti di D.F.V. , al quale era stata irrogata la pena di anni 5 di reclusione per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e per distrazione, con riguardo a due società fallite la Ilexvetro S.r.l. e la Enibank S.p.a. di cui si assumeva essere stato amministratore. Il D.F. era stato altresì condannato al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno in favore della curatela del fallimento Enibank, costituitasi parte civile. 1.1 La Corte territoriale ricostruiva in motivazione le vicende che avevano portato alle contestazioni di reato mosse all'imputato, ed in particolare - la costituzione nel 1992 della Vetreria Englass S.r.l., di cui il D.F. era divenuto amministratore - la successiva chiusura dell'attività nel 1996, seguita comunque da eventi apparentemente significativi quali il trasferimento di sede, l'ampliamento dell'oggetto sociale, un aumento di capitale comunque non versato e il mutamento di denominazione in Ilexvetro S.r.l. - la vendita di tutte le attrezzature e materie prime della società medesima, fra il dicembre 1996 e il maggio 1997, alla Englass S.r.l., costituita il 31/10/1996 ed amministrata parimenti dal D.F. , senza che emergesse prova della corresponsione del prezzo di quelle alienazioni, né del versamento dell'IVA - la prosecuzione dell'attività della cedente da parte della Englass S.r.l. nella stessa sede e nel medesimo capannone industriale, risultando la cessionaria solo formale acquirente di beni strumentali e materie prime in giacenza, mentre i debiti pregressi avevano continuato a gravare sulla Vetreria Englass poi Ilexvetro , senza alcuna possibilità di estinzione avendo cessato qualsiasi attività d'impresa - la messa in liquidazione della Ilexvetro, poi dichiarata fallita il omissis - l'accertata inattendibilità delle scritture contabili della società fallita, inidonee fra l'altro a ricostruire la dinamica di presunti finanziamenti da parte dei soci annotati sul libro giornale ed apparentemente rimborsati - la costituzione nel 1986 della E.B. Italia S.p.a., che aveva visto il D.F. titolare di circa metà delle azioni, nonché amministratore unico o componente del consiglio di amministrazione fino alla data del fallimento, dichiarato nei confronti della Realtà Aziendale Banca Dati Centrale S.p.a., in forma contratta Enibank S.p.a., nuova denominazione assunta nell'ottobre 1996 - il deliberato trasferimento di sede della società, sempre nell'ottobre 1996 l'identico periodo in cui si dovevano collocare le presunte condotte distrattive rilevanti per il fallimento Ilexvetro , a seguito dell'accumulo di consistenti debiti verso banche e fornitori, sino a determinare un passivo fallimentare pari ad oltre 3 miliardi di lire - l'assunzione di tali debiti, in larga parte, proprio allo scopo di finanziare altre società riconducibili al D.F. , tra le quali la stessa Vetreria Englass, ovvero per trasferire beni ed attività da società del gruppo già in stato di decozione verso altre appena costituite e quindi in bonis, lasciando le prime gravate da soli pesi e debiti fra l'altro, due delle poste debitorie della Enibank verso distinti istituti di credito erano costituite da cambiali della Vetreria Englass, scontate e rimaste insolute - l'intervenuta alienazione di due immobili della Enibank - uno in omissis e l'altro in xxxxxxx - alla ELC S.r.l., riconducibile al D.F. e alla di lui coniuge, rispettivamente per 930 e 570 milioni di lire, in date vicine alla dichiarazione di fallimento e senza che risultassero versati gli importi dovuti quali pagamento dei relativi prezzi - la cessione dell'azienda, avente valore - come da bozza di bilancio per il 1999 - pari a circa 1.500.000.000 di lire, ad una società avente sede nelle omissis e per il corrispettivo, parimenti non pagato, di soli 10 milioni di lire, con il contestuale trasferimento di gran parte della documentazione contabile. 1.2 In ordine ai motivi di appello avanzati nell'interesse del D.F. , la Corte territoriale riteneva innanzi tutto infondata l'eccezione di genericità sollevata con riguardo alle contestazioni di reato, e dunque di nullità del decreto ex articolo 429 cod. proc. penumero e degli atti conseguenti le imputazioni, al contrario, venivano ritenute chiare, per quanto concise, e tali da denotare con certezza gli addebiti da cui l'imputato era chiamato a difendersi. In particolare, erano evidenziate sia le condotte di tenuta della contabilità, con modalità tali da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari delle due società, sia le distrazioni conseguenti a cessioni di beni senza corrispettivo, addebiti dai quali il D.F. era stato posto in condizione di spiegare le proprie difese e lo aveva fatto in concreto, anche con puntualità . 1.3 La Corte di appello disattendeva altresì il motivo di appello concernente la configurabilità - quanto alle condotte di presunta restituzione al D.F. od a suoi familiari di somme prelevate dalle casse sociali - del reato di bancarotta preferenziale, piuttosto che di bancarotta per distrazione ad avviso dei giudici di secondo grado, non risultava infatti contestato che i denari provento delle cessioni senza corrispettivo fossero stati indebitamente restituiti all'imputato, ma soltanto che non erano affatto entrati nella disponibilità delle società fallite. Ne derivava la necessità di considerare semplicemente suggestiva la deduzione del difensore secondo cui quelle somme avrebbero dovuto intendersi oggetto di una restituzione preferenziale al D.F. o ad altri, in quanto creditori della Ilexvetro e/o della Enibank. Inoltre, laddove era stato indicato che alcuni denari erano effettivamente entrati nel patrimonio di una delle società fallite, come nel caso della vendita delle attrezzature e delle materie prime alla appena costituita Englass S.r.l., per essere poi restituite all'imputato e alla di lui moglie, era doveroso ritenere, a monte, che un pagamento non vi fosse stato affatto, e che pertanto fosse fittizia anche la presunta restituzione. 1.4 La Corte di appello di Firenze, in ordine all'addebito di bancarotta fraudolenta documentale concernente la Enibank S.p.a., considerava quindi irrilevante la deduzione difensiva sulla circostanza che non avrebbe potuto intendersi realizzata una soppressione delle scritture contabili solo a causa del trasferimento delle stesse presso una società off shore obiettava in proposito trattarsi di un reato a condotta libera, da ritenere consumato anche nel caso di specie visto che era stato comunque conseguito il proposito di impedire l'ostensibilità ai creditori delle attività dell'impresa. 1.5 In punto di bancarotta per distrazione, anche con riferimento alle vicende della Enibank riteneva la Corte territoriale incontrovertibile che i prezzi delle cessioni non fossero mai stati versati alla società fallita, per cui il motivo di appello fondato sulla presunta congruità dei prezzi medesimi appariva inconferente né poteva assumere rilievo il dato della astratta revocabilità di quegli atti. 1.6 Doveva infine considerarsi correttamente riconosciuta l'aggravante del danno di rilevante gravità, per quanto non formalmente enunciata attraverso il richiamo della norma di cui all'articolo 219, comma primo, legge fall., essendone evidente la contestazione in fatto - e la concreta sussistenza - mediante l'indicazione in rubrica dell'entità del danno, quantificato in circa 800.000,00 Euro e dunque in non meno di 1.500.000.000 di lire. 2. Propone ricorso per cassazione il difensore / procuratore speciale dell'imputato, articolato in quattro motivi. 2.1 Con il primo motivo il ricorrente rinnova l'eccezione di nullità del decreto che dispone il giudizio, deducendo comunque mancanza di motivazione sul punto, in ragione della genericità dei capi d'imputazione contestati al D.F. . A riguardo, la difesa segnala che l'argomento utilizzato dalla Corte di appello, secondo cui l'imputato sarebbe stato concretamente in grado di difendersi sino dalla fase delle indagini preliminari, era da un lato erronea prescindendo i profili di nullità da considerazioni empiriche e dall'altro meramente apparente non potendo comunque i giudici dell'appello disporre degli atti d'indagine e formulare valutazioni in proposito . Poneva quindi l'accento sulla circostanza evidente secondo cui in rubrica non risultavano indicate né le scritture contabili che sarebbero state oggetto di tenuta irregolare, né le singole condotte di distrazione da ciò deriva, ad avviso del ricorrente, la violazione del precetto della norma processuale che impone una contestazione del fatto-reato in forma chiara e precisa, onere che non può ritenersi assolto attraverso il semplice richiamo del dato normativo, in difetto di indicazioni di sorta sulle modalità concrete delle condotte ascritte al D.F. . Condotte che, potendosi realizzare in una vasta gamma di effettive evenienze sia con riguardo alle presunte distrazioni che alla tenuta dei vari libri contabili , sarebbe comunque impossibile poter ricondurre ad unità, si da richiedere una puntuale specificazione. Quanto, in particolare, alle ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, la difesa richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui non sarebbe necessario indicare le specifiche scritture oggetto di tenuta irregolare solo nelle ipotesi di cui agli articolo 217 o 224 legge fall., visto che nei casi di bancarotta semplice l'ambito di rilevanza penale deve intendersi circoscritto alle sole scritture obbligatorie non altrettanto, dunque, sarebbe a dirsi per i più gravi casi ex articolo 216 e 223 legge fall., potendo in tali fattispecie assumere rilievo anche le scritture non obbligatorie ma richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa, ai sensi dell'articolo 2214, comma secondo, cod. civ. 2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta inosservanza dell'articolo 597 cod. proc. penumero , e falsa applicazione degli articolo 216 e 223 legge fall., a proposito della errata qualificazione giuridica delle presunte condotte distratti ve addebitate all'imputato. Era stato infatti il Tribunale di Livorno, all'esito delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, a ritenere che nella vicenda vi fossero stati dei rimborsi disposti dall'amministratore D.F. a fronte di suoi pregressi finanziamenti, con ciò negando spessore alla tesi difensiva secondo cui le somme ricavate dalle vendite dei beni sociali erano state utilizzate per estinguere alcuni debiti della Ilexvetro S.r.l. il Giudice di prime cure, sottolineando che gli unici debiti effettivamente estinti erano però quelli dei soci D.F. e T. , ne aveva arguito la sussistenza delle anzidette restituzioni. L'impugnazione era stata quindi proposta avverso tale ricostruzione, diversa e incompatibile con quella fatta propria invece dalla Corte di appello, in violazione dei limiti del devolutum. Sarebbe stato al contrario doveroso prendere atto che, per recente giurisprudenza di legittimità Cass., Sez. 5, numero 14908 del 07/03/2008, Frigerio , una condotta di rimborso di finanziamento dei soci, avvenuta contestualmente al dissesto, integra una ipotesi di bancarotta preferenziale e non già di bancarotta fraudolenta per distrazione. 2.3 Con il terzo motivo, la difesa si duole di erronea applicazione degli articolo 216 legge fall, e 43 cod. penumero , nonché di manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova, in ordine alla presunta bancarotta fraudolenta documentale avvenuta nell'ambito del fallimento Ilexvetro. In proposito, il ricorrente rappresenta che l'unica documentazione risultata carente all'esito dell'istruttoria dibattimentale, e la cui mancanza avrebbe impedito la ricostruzione delle attività della società fallita, si esaurisce in quella bancaria, certamente non rientrante nelle previsioni di cui all'articolo 2214 cod. civ. del resto, per chiara ammissione del curatore fallimentare nel corso della testimonianza da lui resa, le varie posizioni creditorie azionate e che avevano portato alle insinuazioni al passivo risultavano riscontrabili nella documentazione che gli organi della procedura avevano potuto esaminare, così smentendo gli stessi presupposti della contestazione. Gli unici elementi rimasti non accertati, in definitiva, riguardano le modalità concrete con cui si svolsero le operazioni di vendita dei beni strumentali ed i successivi rimborsi ai soci, ma il tutto si risolve nella mera difficoltà di riscontrare sul piano bancario l'effettività di quelle transazioni, avvenute comunque a prezzi da ritenere congrui. Difficoltà che in ogni caso la curatela fallimentare avrebbe potuto agevolmente superare facendo apposite richieste agli istituti di credito per l'acquisizione dei documenti ivi rimasti giacenti, sulla cui tenuta o conservazione il D.F. non era stato certamente in grado di incidere. Ne consegue che la semplice carenza di documentazione bancaria rimane irrilevante ai fini penali, non potendosi tale sola circostanza intendersi equivalente alla prova della falsità o della incompletezza delle scritture contabili. Inoltre, anche ammettendo la fondatezza dell'assunto accusatorio, rileva la difesa la mancanza di compiuta motivazione sul perché l'omessa conservazione di quei documenti da parte del D.F. non potrebbe considerarsi dovuta a mera colpa, trattandosi al più di parziale inadempimento degli obblighi dettati dal citato articolo 2214 cod. civ. ciò a fronte, da un lato, della evidente inidoneità di quella condotta a determinare una situazione di impossibilità di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari della società, e dall'altro della necessità di ravvisare in capo all'imputato un dolo connotato dal requisito della intenzionalità. Dovendosi dunque escludere l'addebito appena ricordato, deduce il ricorrente l'impossibilità di ritenere configurabile l'aggravante di cui all'articolo 219, comma secondo, numero 1, legge fall., residuando al massimo l'ipotesi di bancarotta preferenziale, per le ragioni esposte al punto precedente. 2.4 Con il quarto ed ultimo motivo la difesa deduce nullità della sentenza impugnata ai sensi degli articolo 522, comma 2, e 521, comma 2, cod. proc. penumero ciò con riguardo alla ritenuta sussistenza delle fattispecie contestate all'imputato quanto al fallimento della società Enibank. Il ricorrente segnala che il D.F. era stato accusato di avere tenuto la contabilità della società appena ricordata in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, ma la condanna era poi intervenuta addebitando all'imputato di avere trasferito tutta la documentazione alla società Daxter Inc., sottraendola così alla curatela. Sottolinea peraltro che, in caso di ritenuta sottrazione delle scritture, piuttosto che di semplice tenuta irregolare, occorre dimostrare la sussistenza del dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare danno ai creditori. Con riguardo alle cessioni avvenute in favore della società ELC, il ricorrente evidenzia infine che l'immobile sito in XXXXXXX era in realtà già pignorato - per un valore superiore a quello di realizzo del bene - ed era perciò impossibile che la vendita procurasse effetti distrattivi concreti. Non a caso, il curatore aveva dichiarato di non aver ritenuto percorribile la strada per un'azione revocatoria. Considerato in diritto 1. Il ricorso non può trovare accoglimento. 1.1 A proposito della eccezione di nullità del decreto ex articolo 429 cod. proc. penumero , va osservato che le contestazioni di reato apparivano - contrariamente alle deduzioni del ricorrente - chiare e idonee a consentire un effettivo esercizio delle facoltà difensive. Gli addebiti di bancarotta documentale, per quanto esposti in termini generali con riguardo all'oggetto materiale dei reati ad essere stata tenuta in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita sarebbe stata la contabilità , non palesano alcuna oscurità in difetto di indicazioni specifiche, deve ritenersi che la rubrica facesse riferimento alle scritture contabili nella loro totalità, da intendersi ragionevolmente nel senso di tutte le scritture obbligatorie. Da un lato, l'eventuale accertamento che solo alcune di tali scritture fossero state in realtà presenti e regolarmente tenute non avrebbe poi inficiato la portata della contestazione solo per rigore formalistico, avrebbe potuto determinare una parziale assoluzione dall'altro, per fornire risposta alla peculiare censura mossa dal ricorrente, è evidente che il capo d'imputazione non intendesse fare richiamo a scritture contabili diverse da quelle obbligazione, giacché in quel caso sarebbe stata certamente necessaria una indicazione ad hoc. A proposito delle condotte distrattive, la doglianza difensiva è da disattendere con evidenza ancora maggiore vero è che nei capi d'imputazione sub b e d si parla di beni residui , rispettivamente per le società Ilexvetro ed Enibank, ma in entrambi i casi la dicitura reca specificazioni non controvertibili. Nel capo b si precisa che quei beni residui, apparentemente non identificati, vennero ceduti senza corrispettivo alla Englass S.r.l., mentre nel capo d si tratta di beni di valore pari a circa 800.000,00 Euro, ceduti senza corrispettivo ergo, per ambedue le contestazioni non vi è possibilità di equivoco, giacché per i beni della Ilexvetro ci si intende riferire a quelli che furono oggetto di cessione alla Englass, e per i beni della Enibank il riferimento è chiaramente all'intero complesso aziendale, stimato pari nel 1999 ad un importo in lire pressoché corrispondente agli 800.000,00 Euro menzionati in rubrica complesso che secondo gli accertamenti svolti sarebbe stato ceduto per soli 10 milioni di lire ad una società estera che non pagò neppure tale irrisorio corrispettivo . 1.2 Con riguardo alla lamentata erronea applicazione degli articolo 216 e 223 legge fall., a proposito della qualificazione giuridica come condotte distrattive di quelle che in realtà sarebbero state mere restituzioni, deve considerarsi che in effetti il Tribunale di Livorno aveva si affermato la sussistenza di dette restituzioni, aggiungendo però che - essendo stati estinti solo i presunti debiti della società verso lo stesso D.F. e la di lui coniuge - tale condotta, “realizzata quando la società versava in evidente stato di decozione, costituisce pacificamente fatto di distrazione e non di bancarotta preferenziale, considerata altresì l'identità della persona fisica amministratore e titolare della società, insieme alla moglie”. Tesi che appare in effetti condivisibile e aderente a quanto emerso nella fattispecie concreta, rispetto a quanto affermato nella successiva giurisprudenza richiamata dal ricorrente nella sentenza di questa Sezione numero 14908 del 07/03/2008, Frigerio, pur affermandosi la configurabilità del delitto di bancarotta preferenziale in caso di restituzioni ai soci di finanziamenti da questi concessi in precedenza, veniva peraltro sottolineata la necessità di tenere conto della “connotazione soggettiva specifica del dolo che assiste questi pagamenti”, in uno con la prova del “volontario e specifico perseguimento dell'interesse del creditore privilegiato, a danno della restante massa creditoria”. Ed appare evidente che, nel caso in cui il creditore si identifichi nello stesso soggetto che assume le vesti di amministratore della società, contestualmente responsabile del depauperamento della decozione e delle risorse della stessa, un atto di disposizione patrimoniale che, in costanza dello stato di insolvenza, sia diretto in suo stesso favore assume significato ben diverso e più grave rispetto alla mera volontà di privilegiare un creditore in posizione paritaria rispetto a tutti gli altri. 1.3 In ordine alla presunta carenza della sola documentazione bancaria a supporto della contestazione di bancarotta fraudolenta documentale quanto al capo a della rubrica, deve rilevarsi che le sentenze di merito affermano concordemente una situazione di completo “occultamento contabile della situazione debitoria della società”, come recita la sentenza di primo grado, evidenziando come venne messa a disposizione degli organi della procedura solo una documentazione del tutto parziale e inattendibile. In termini sostanzialmente analoghi si esprime la pronuncia di secondo grado. In tale contesto, sostenere invece che l'istruttoria dibattimentale avrebbe fatto emergere la prova che a mancare fu solo la documentazione bancaria comporta rappresentare una ricostruzione alternativa del fatto, non ammissibile in sede di legittimità senza contare che il mero riferimento alla dichiarazione del curatore del fallimento Ilexvetro, secondo cui dei nominativi dei creditori poi insinuati nella procedura concorsuale vi era traccia nella documentazione da lui esaminata, non vale ad affermare che quelle scritture vi fossero e fossero state tenute a norma, se non risulta al contempo che gli importi dei relativi crediti vi fossero stati riportati con esattezza. L'addebito rimane dunque configurabile, ed appare altresì rituale ravvisare l'aggravante che la difesa reputa non correttamente contestata, che risulta comunque dalla descrizione in fatto. 1.4 Quanto infine alla presunta violazione degli articolo 521 e 522 cod. proc. penumero , vertendosi comunque in un caso di bancarotta fraudolenta documentale e non già di bancarotta semplice, non vi sarebbe alcuna immutazione del fatto nel ritenere un imputato responsabile di avere occultato la contabilità, anche laddove la rubrica faccia riferimento ad una tenuta non regolare delle scritture entrambe le condotte debbono infatti considerarsi animate dal dolo specifico volto all'impedimento della ricostruzione del movimento degli affari, in pregiudizio dei creditori. Appare dunque corretta la ricostruzione fatta propria dalla Corte di appello di Firenze, in punto di descrizione dell'addebito de quo come reato a forma libera. 2. Il rigetto del ricorso impone la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali del presente grado di legittimità. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.