Il reato di omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina è punito a titolo di colpa, per cui, per la concretizzazione della figura tipizzata, è necessario che il proprietario o la persona obbligata in sua vece siano coscienti della situazione pericolosa e per negligenza, imprudenza o imperizia non abbiano eliminato la situazione di pericolo per evitare la rovina o la situazione determinata dalla rovina stessa.
Così s è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza numero 7848, depositata il 20 febbraio 2015. Il fatto. Il Tribunale di Asti condannava alla pena dell’ammenda l’imputato del reato di cui all’articolo 677, comma 3, c.p., perché, nella qualità di amministratore unico della società proprietaria del Castello di Frineo e dei terreni circostanti, ometteva di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo creatosi per il distacco, nella viabilità interna di accesso al castello, di un fronte franoso posto al di sopra di civile abitazione, con ciò determinando pericolo per le persone. Contro tale condanna ricorre per cassazione l’imputato, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato contestato e quanto alla ricorrenza dell’elemento psicologico del reato. Requisito del concreto pericolo per le persone. Il Collegio ricorda come, secondo costante lezione ermeneutica della Corte di legittimità, l’articolo 677, comma 3, c.p. è rappresentativo di un’ipotesi di reato contravvenzionale caratterizzato dal requisito del concreto pericolo per le persone venutosi a creare per la possibile rovina di edifici o costruzioni ovvero per la omessa realizzazione delle opere necessarie ad eliminare tale pericolo quando la rovina si è verificata. Reato punito a titolo di colpa. Tale reato, continua il Collegio, è punito a titolo di colpa, per cui, per la concretizzazione della figura tipizzata, è necessario che il proprietario o la persona obbligata in sua vece siano coscienti della situazione pericolosa e per negligenza, imprudenza o imperizia non abbiano eliminato la situazione di pericolo per evitare la rovina o la situazione determinata dalla rovina stessa. Nel caso di specie, resta ferma la ricorrenza dell’elemento oggettivo del reato, dato dalla rovina dell’edificio di per sé pericolosa, anche se interessa un’area privata. L’elemento psicologico del reato. Al fine, poi, di provare la coscienza e volontà del prevenuto nella consumazione del reato, il Tribunale ha riconosciuto sia che l’amministratore ricopriva una carica priva di contenuto, sia che l’imputato nulla sapeva dell’immobile di cui si tratta. Ha, poi, riconosciuto la consapevolezza, quanto all’elemento psicologico del reato, con la considerazione che l’imputato non si è dimesso dalla carica di amministratore. Palese risulta, a parere del Collegio, la violazione delle regole di diritto di cui all’articolo 43 c.p. elemento psicologico del reato e di quelle logiche necessarie per rendere coerente una motivazione di accusa. Non ha il Tribunale dimostrato come la negligenza, l’imperizia e l’imprudenza delle mancate dimissioni dalla carica societaria possa collegarsi al fatto reato nei termini di causalità imposti dall’articolo 43 c.p Risulta al contrario provato che l’imputato non sapeva niente della vicenda di causa e che la sua carica era priva di contenuto, che alcun potere era in suo possesso per intervenire, e che le condizioni di salute ed economiche escludono la coscienza e la consapevolezza di quanto stava succedendo sul luogo della rovina. Pertanto, le omesse dimissioni non sono state poste in alcun collegamento fattuale né tanto meno psicologico con il reato contestato. Per tali ragioni, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Asti per nuovo giudizio.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 gennaio – 20 febbraio, numero 7848 Presidente Cortese – Relatore Bonito Ritenuto in fatto e Considerato in diritto 1. Il Tribunale di Asti, monocraticamente composto, con sentenza pronunciata il 25 giugno 2013 condannava alla pena di euro 800,00 di ammenda M. T., imputato del reato di cui all'articolo 677 c.p., co. 3, perché, nella qualità di amministratore unico della s.r.l. Immobiliare D., società proprietaria del Castello di Frineo e dei terreni circostanti, ometteva di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo creatosi per il distacco, nella viabilità interna di accesso al castello, di un fronte franoso di circa tre metri con rivestimento di mattoni posto al di sopra di civile abitazione, con ciò determinando pericolo per le persone in Frineo, dal 17.3.2011. A sostegno della decisione il tribunale valorizzava le testimonianze acquisite al processo e la perizia tecnica disposta nel corso del giudizio. 2. Ricorre per cassazione avverso detta condanna l'imputato, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa un unico motivo di impugnazione, con il quale denuncia violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato contestato e quanto alla ricorrenza dell'elemento psicologico del reato, in particolare osservando nella vicenda per cui è causa non si è mai verificato un pericolo concreto per le persone la struttura rovinata infatti ha interessato parti interne alla proprietà del castello, disabitato, prive di funzioni statiche lo stesso perito del tribunale evidenzia che, senza interventi di restauro, si potrebbero determinare pericoli di crollo sulle abitazioni e sulla pubblica via, con ciò dimostrandosi la mancanza di pericoli imminenti ed attuali non ricorrono pertanto, nella fattispecie, gli elementi costitutivi del reato contestato anche in ordine all'elemento soggettivo del reato è lo stesso tribunale che riconosce le condizioni di salute assai precarie dell'imputato, nominato a sua insaputa amministratore della società proprietaria del castello di Frinco, testa di legno per usare la espressione utilizzata in sentenza di P.A.M. e M. A. D., reali possessori dell'immobile la s.r.l. proprietaria è inoltre fallita sent. del 29.6.2012 l'imputato pertanto nulla sapeva né poteva sapere delle vicende di causa e dopo il fallimento neppure avrebbe avuto possibilità di intervento il tribunale argomenta la sua colpevolezza a titolo di colpa con il rimprovero che l'imputato non si sarebbe dimesso dalla carica di amministratore della società non sussiste nella fattispecie, pertanto, la prova che in capo all'imputato vi fossero coscienza e volontà idonei ad integrare l'elemento psicologico del reato per cui è causa. 3. Il ricorso è fondato nei limiti che si passa ad esporre. L'articolo 677 c.p., co. 3°, secondo costante lezione ermeneutica di questa Corte di legittimità, è rappresentativo di una ipotesi di reato contravvenzionale caratterizzato dal requisito del concreto pericolo per le persone venutosi a creare per la possibile rovina di edifici o costruzioni ovvero per la omessa realizzazione delle opere necessarie ad eliminare tale pericolo quando la rovina si è verificata Cass., Sez. I, Sent., 17/01/2008, numero 6596 . Il reato è punito a titolo di colpa, di guisa che, per la concretizzazione della figura tipizzata, è necessario che il proprietario o la persona obbligata in sua vece siano coscienti della situazione pericolosa e per negligenza, imprudenza o imperizia non abbiano eliminato la situazione di pericolo per evitare la rovina ovvero la situazione determinata dalla rovina stessa. Nel caso in esame, ferma, restando la sicura ricorrenza dell'elemento oggettivo del reato, dato dalla rovina del rivestimento di mattoni di un fronte franoso cospicuo, di per sè pericolosa anche se interessata una area privata sul punto di nessun pregio appaiono le considerazioni contrarie della difesa e la lettura da essa data delle conclusioni peritali , l'imputato è stato inquisito e giudicato nella sua qualità di amministratore unico della società proprietaria. Orbene, al fine di provare la coscienza e volontà del prevenuto nella consumazione del reato, il tribunale riconosce sia che l'amministratore era nulla più che una testa di paglia collocata in quella posizione societaria allo scopo di evitare conseguenze negative sui reali possessori dell'immobile, individuati dal tribunale con nomi e cognomi, sia che l'imputato, persona indigente in precarie condizioni di salute, nulla sapeva dell'immobile stesso. Cionondimeno il tribunale ne riconosce la colpevolezza, quanto all'elemento psicologico del reato, con la considerazione che il prevenuto non si sarebbe dimesso dalla carica di amministratore. Palese, ad avviso del collegio, la violazione delle regole di diritto di cui all'articolo 43 c.p. e di quelle logiche necessarie per rendere coerente una motivazione di accusa. Ed invero, non ha il tribunale dimostrato come, la negligenza, l'imperizia e l'imprudenza delle mancate dimissioni dalla carica societaria possa collegarsi al fatto reato nei termini di causalità imposti dall'articolo 43 c.p Risulta viceversa ampiamente provato, secondo lo stesso assunto in fatto posto dal tribunale a fondamento della decisione, che l'imputato nulla sapeva della vicenda di causa, che la sua carica era sostanzialmente priva di contenuto, che alcun potere era in suo possesso per intervenire, che le condizioni di salute ed economiche escludono la coscienza e la consapevolezza di quanto in corso sul luogo della rovina per cui è causa. In conclusione, ed in sintesi, le omesse dimissioni non sono state poste in alcun collegamento fattuale nè tanto meno psicologico con il reato contestato. 4. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio al giudice territoriale per nuovo giudizio attento alle risultanze processuali alla luce dei rilievi innanzi illustrati. P.Q.M. La Corte, annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Asti.