La circostanza negativa di non poter escludere che i fuggitivi fossero armati non legittima l’uso delle armi in quanto, diversamente opinando, si dovrebbe giungere alla conclusione, del tutto inaccettabile, che in ogni circostanza, non potendosi mai escludere che delle persone sospettate siano armate, l’uso delle armi sia legittimo.
E’ quanto emerge dalla sentenza numero 36883/2015 della Cassazione, depositata l’11 settembre. Il caso. La Corte di Appello di Catania confermava la sentenza con cui il Tribunale di Giarre aveva affermato la penale responsabilità di P.G. per il delitto di cui all’articolo 589 c.p In particolare, secondo la prospettazione accusatoria interamente accolta dai Giudici di merito, l’imputato, ufficiale di polizia giudiziaria, durante l’inseguimento di due rapinatori, impugnando la pistola d’ordinanza col il colpo in canna, per imprudenza e negligenza – consistita nell’omettere di rispettare le regole comuni di diligenza ed esperienza per la custodia e l’uso dell’arma in dotazione e omettendo di azionarne il dispositivo di sicurezza – faceva esplodere accidentalmente un colpo che attingeva uno dei rapinatori nella parte bassa della regione occipitale, cagionandone la morte. Avverso la sentenza di condanna P.G. ricorreva per Cassazione, deducendo tre differenti motivi di gravame in primis, violazione di legge in ordine agli articolo 51, 52 e 53 c.p. in relazione all’uso legittimo delle armi, alla legittima difesa ed all’adempimento del dovere in secundis, violazione di legge con riferimento all’articolo 59, comma 4, c.p., per non essere stata applicata, in via subordinata, la disposizione di tale norma che prevede l’erronea sussistenza della scriminante infine, violazione di legge relativamente all’articolo 45 c.p. ravvisandosi, in ulteriore ipotesi, la scriminante del caso fortuito. La Quarta Sezione Penale della Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi di gravame ed ha confermato la sentenza impugnata. I limiti del sindacato di legittimità. I Supremi Giudici rilevano come con il primo motivo, pur denunciandosi una violazione di legge, si propone in realtà una nuova ricostruzione dei fatti, diversa rispetto a quella contenuta in sentenza, al fine di avvalorare la tesi difensiva dell’uso legittimo delle armi da parte dell’imputato. In altri termini, la violazione di legge è stata solo enunciata. Ora, è principio pacifico quello secondo cui il Giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti, ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice di merito. Il ricorrente, laddove intenda fornire una versione alternativa del fatto, sarà onerato di indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato da una supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta, dovendo questa essere evincibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo, purché specificamente indicati nei motivi di gravame. Oppure, dovrà eccepire il travisamento della prova, laddove il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova diverso da quello reale, oppure abbia omesso ingiustificatamente di valutare altri elementi di prova. Tuttavia, nel caso de quo, l’imputato non ha contestato un vizio motivazionale – ne in termini di manifesta illogicità ne di travisamento della prova – ma si è limitato a sollecitare alla Corte una inammissibile diversa lettura dei dati processuali. L’uso legittimo delle armi. Il secondo motivo di ricorso è infondato in quanto, atteso che la evidente percezione della inesistenza di un pericolo per la pubblica incolumità, nel momento in cui l’inseguimento è continuato a piedi, esclude l’errore – ex articolo 59, comma 4, c.p. – del ricorrente nel supporre la esistenza della scriminante dell’uso legittimo delle armi, in quanto i fuggitivi non erano armati ed in nessun momento gli agenti operanti hanno avuto ragione alcuna per poter pensare che lo fossero. In altre parole, non è certamente la circostanza negativa di “non poter escludere che i fuggitivi fossero armati” a legittimare l’uso delle armi diversamente opinando, si dovrebbe giungere alla conclusione, del tutto inaccettabile, che in ogni circostanza – non potendosi mai escludere che delle persone sospettate siano armate – l’uso delle armi sarebbe legittimo in quanto in tal senso scriminato. Il caso fortuito. L’accadimento fortuito, per produrre il suo effetto di escludere la punibilità dell’agente – sul cui comportamento viene ad incidere – deve risultare totalmente svincolato sia dalla condotta del soggetto agente sia dalla sua colpa. Ne consegue che in tutti i casi in cui l’agente abbia dato materialmente causa al fenomeno – solo, dunque, apparentemente fortuito – ovvero nei casi in cui, comunque, è possibile rinvenire un qualche legame di tipo psicologico tra il fortuito e il soggetto agente, non è possibile parlare propriamente di fortuito in senso giuridico. Donde, nel caso di specie, è da escludersi il caso fortuito, sussistendo la condotta colposa del ricorrente.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 luglio – 11 settembre 2015, numero 36883 Presidente Brusco – Relatore D’Isa Ritenuto in fatto P.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d'appello di Catania che ha confermato, quanto alla responsabilità penale in ordine al delitto di cui all'articolo 589 cod. penumero , la sentenza del locale Tribunale - sezione distaccata di Giarre - del 18.01.2012, ed ha escluso il Ministero degli interni nella sua qualità di responsabile civile. Il fatto è ben descritto nella imputazione il P. , quale ufficiale di PG, mentre si trovava in servizio a bordo dell'autovettura di istituto condotta da altro agente M. , nel corso dell'inseguimento di G.G. , che fuggiva a bordo di uno scooter condotto da D.G.A. , scendendo dall'auto di servizio per bloccare il primo, dopo che lo stesso era caduto dal mezzo per la brusca ed involontaria frenata del conducente, impugnando la pistola d'ordinanza con il colpo in canna, per imprudenza e negligenza, consistita nell'omettere, avendone la possibilità, di rispettare le regole comuni di diligenza ed esperienza per la custodia e l'uso dell'arma in dotazione, omettendo di azionarne il dispositivo di sicurezza e deporla nella fondina, faceva esplodere accidentalmente un colpo che attingeva il G.G. nella parte bassa della regione occipitale, cagionandone la morte. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in ordine agli articolo 51 e 53 cod. penumero circa l'uso legittimo delle armi da parte delle FF.OO., in particolare si mette in evidenza un dato di fatto non considerato dai giudici del merito la fuga dei due sospettati non è cessata, dagli atti non emerge alcuna circostanza contraria. Non vi è desistenza, non vi è consegna spontanea alle Autorità di polizia da parte dei due giovani. Gli inseguitori sono costretti a continuare la loro azione, mettendo a repentaglio la loro vita per salvaguardare quella degli altri. La resistenza a pubblico ufficiale era ancora in atto. Inoltre, non si poteva affatto escludere che i giovani si trovassero in possesso di un'arma che non lo fossero lo diranno successivamente le indagini, ma il P. ritenendoli dei rapinatori aveva ragioni plausibili per pensare che fossero armati. Gli stessi erano a bordo di un ciclomotore con targa illeggibile e contraffatta. Segue una disamina interpretativa circa l'inquadramento dell'uso legittimo delle armi dove si affianca alla legittima difesa articolo 51 l'adempimento del dovere articolo 52 , con la conseguenza del carattere sussidiario e residuale dell'articolo 53 cod. penumero . Con il secondo motivo si denuncia altra violazione di legge, nella specie dell'articolo 59, comma 4 cod. penumero , per non essere stata applicata, in via subordinata, la disposizione di tale norma che prevede l'erronea sussistenza della scriminante. Con il terzo motivo oggetto della violazione di legge è l'articolo 45 cod. pen ravvisandosi, in ulteriore ipotesi la scriminante del caso fortuito. Considerato in diritto I motivi esposti, di cui certamente il primo non consentito in sede di giudizio di legittimità, sono, comunque, infondati sicché determinano il rigetto del ricorso. Con il primo motivo, pur denunciandosi una violazione di legge V. parte narrativa , si propone la questione concernente la ricostruzione del fatto, nuovamente riproposta con l'odierno ricorso. Ritiene, quindi, il Collegio che la violazione di legge è stata solo enunciata in effetti la censura ha ad oggetto un vizio di motivazione deducendosi la mancata considerazione di un dato di fatto la fuga dei due inseguiti non era cessata sino al momento dell'esplosione del colpo di pistola, non emergendo dagli atti alcuna circostanza contraria in tal senso. Con la conseguenza che gli agenti operanti sono stati costretti a continuare nella loro azione di polizia facendo uso legittimo dell'arma per contrastare la condotta di resistenza dei sospettati. Il Collegio dissente da tale assunto in fatto, atteso che la Corte d'appello, pur concordando con la motivazione del Tribunale circa la sussistenza della contestata condotta colposa addebitata al ricorrente, non ha condiviso, preliminarmente, quanto affermato dal giudice di I grado in ordine all'insussistenza in atti di prove del fatto che, anche una volta appiedati, i due soggetti stessero continuando a fuggire. Così come non si è ritenuto corretto affermare che il M. avesse bloccato uno dei due fuggitivi mentre era ancora a terra. Al contrario, proprio dalle dichiarazioni del M. , è emerso che egli ha dovuto rincorrere il conducente del ciclomotore. Infatti - in base a quanto da lui dichiarato - il D.G. , una volta caduto, si rialzava e ricominciava a correre, tanto da costringere il M. ad inseguirlo e a bloccarlo con uno sgambetto. Il teste precisava altresì di averlo bloccato lontano dalla macchina . Ciò precisato, la Corte Catanese ha ritenuto che effettivamente, dal momento in cui ha avuto inizio l'inseguimento a quando i due giovani sono stati bloccati, vi sia stata una successione temporale che difficilmente consente di distinguere due vere e proprie fasi, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale. Tuttavia, ciò non ha inciso sul fatto che il P. abbia violato le regole di comune esperienza e diligenza per la custodia e l'uso dell'arma in dotazione, ritenendo infondati sul punto i motivi posti a base del gravame di merito. Dunque, il ricorrente propone una presunta diversa ricostruzione dei fatti che in effetti coincide con quella contenuta nell'impugnata sentenza, ciò al fine di avvalorare la tesi difensiva dell'uso legittimo delle armi da parte di un tutore delle FF.OO., non considerando che la Corte catanese, ha, comunque, evidenziato profili di colpa generica nell'uso e nella custodia delle armi in capo all'imputato, anche considerando che la fuga della vittima dall'inizio dell'inseguimento sino all'esplosione del colpo di pistola non si sia mai interrotta. Sul punto la motivazione va pienamente condivisa in quanto supportata da una argomentazione logica non scalfita dai rilievi difensivi, come riportati nella parte narrativa se, infatti, è proprio l'aver condotto il ciclomotore in modo spericolato, urtando numerosi veicoli e mettendo così in pericolo l'incolumità pubblica che ha legittimato l'uso delle armi numero d.r. il P. durante l'inseguimento dall'interno dell'autovettura di servizio aveva esploso in aria alcuni colpi di pistola a scopo intimidatorio per bloccare la fuga dei due giovani , è da ritenere conseguenza logica che, nel momento in cui i due seppur non volontariamente, abbandonano il ciclomotore per continuare la fuga a piedi, la situazione di pericolo per l'incolumità pubblica è da considerarsi cessata la mera fuga in sé non costituisce legittimazione all'uso delle armi . Altrettanto ineccepibile, in punto di logica, è la considerazione che, prima di scendere dall'auto, per inseguire a piedi il G. , il ricorrente avrebbe dovuto riporre la pistola nella fondina o, quanto meno, metterla in sicurezza. Invece, si è trovato ad inseguire il giovane con la pistola in mano e, quasi certamente, con il dito ancora sul grilletto, in quanto si è fondatamente ritenuto poco verosimile che egli abbia posto il dito sul grilletto solo al momento della caduta del fuggitivo. Conferente sul punto, nel contrastare le osservazioni difensive, è il richiamo ai risultati della perizia balistica il consulente tecnico del PM è stato chiaro nell'affermare che la pistola in questione è un'arma che si caratterizza per il fatto che è praticamente impossibile che esploda un colpo accidentalmente, se non perché si ha un dito sul grilletto. Il ricorrente dimentica che il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti, ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa, limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta. Il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve essere evincibile dal testo del provvedimento impugnato. Com'è stato rilevato nella pronuncia 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica rispetto a sé stessa , cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da altri atti del processo , purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In altri termini, vi sarà stato travisamento della prova qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste ad esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell'imputato . Oppure dovrà essere valutato se c'erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma - occorrerà ancora ribadirlo - non spetta comunque a questa Corte Suprema rivalutare il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice,di merito, attraverso la verifica del travisamento della prova. Per poter ravvisare il travisamento della prova occorre che sia stata inserita nel processo un'informazione rilevante che invece non esiste nel processo, oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia. In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l'atto che contiene la prova travisata o omessa. Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto, sconfinerebbe nel merito. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano chiaramente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Catania alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva. Il ricorrente non contesta il travisamento di una specifica prova, ma sollecita a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali non consentito in questa sede di legittimità. Quanto agli altri due motivi il secondo è infondato per le ragioni già esposte con riferimento alla prima censura, atteso che la evidente percezione della inesistenza di un pericolo per la pubblica incolumità, nel momento in cui l'inseguimento è continuato a piedi, esclude l'errore articolo 59, 4 co. cod.penumero del ricorrente nel supporre la esistenza della scriminante dell'uso legittimo delle armi. In particolare la Corte d'appello evidenzia che i fuggitivi non erano armati, né in nessun momento gli agenti opranti hanno avuto ragione alcuna per poter pensare che lo fossero. E correttamente considera che non è certamente la circostanza negativa di non poter escludere che i fuggitivi fossero armati a legittimare le Forze dell'Ordine all'uso delle armi. Condivisibile, sul piano di diritto, è la considerazione della Corte territoriale laddove ha sostenuto che, se così fosse, si dovrebbe giungere alla conclusione, del tutto inaccettabile, che ogni circostanza - non potendosi escludere che delle persone sospette siano armate - l'uso delle armi sarebbe legittimo. Da ultimo terzo motivo quanto all'invocato caso fortuito, nel condividere l'impostazione in diritto dei giudici dell'appello, si ricorda che la rilevanza giuridica del caso fortuito è inesorabilmente legata ad un'azione umana, come riconosce la dottrina assolutamente prevalente, e come è rilevato dalla stessa formulazione dell'articolo 45 cod. penumero che, adoperando l'espressione “commettere”, suppone la presenza di un comportamento umano, attivo o negativo. Dall'incrocio di questo con l'avvenimento casuale deriva la produzione dell'evento, nel senso che questo, secondo il principio della equivalenza delle cause, è eziologicamente riconducibile alla condotta dell'uomo, il quale tuttavia non ne risponde per l'intervento del fattore causale imprevedibile. Dunque, il caso fortuito presuppone l'integrità del rapporto di causalità materiale tra la condotta e l'evento, collocandosi come causa soggettiva di esclusione della punibilità. Questa concezione è contrastata da quella, oggettiva, secondo la quale il fortuito escluderebbe il rapporto materiale. In linea di principio, questa Corte ritiene che la concezione soggettiva risponda compiutamente alla logica del sistema normativo, sia perché l'articolo 45, pur non definendo il fortuito, si riferisce a questo come ad un evento imprevedibile che si inserisce nel corso di un'azione umana, sia perché la tesi che esclude il rapporto di causalità determinerebbe il carattere pleonastico dell'articolo 45, che sarebbe un duplicato dell'articolo 41 cpv c.p. il che sembra inammissibile, per la presunzione di coordinata razionalità che deve pur assistere la redazione di un testo normativo improntato a sistematicità. D'altro canto, questa medesima teoria finisce per ammettere che il caso fortuito esclude la colpevolezza, sia pure come conseguenza riflessa del venir meno del rapporto di causalità materiale Sez. 4, Sentenza numero 10823 del 25/02/2010 Ud. Rv. 246506, Sez. 4, Sentenza numero 44548 del 17/09/2009 Ud., Rv. 245469 Cass. SU 14 giugno 1980, Felloni conformi Cass. Ili 18.12.1997, Rosati, RV 209868, CP 1999, 988 Cass. IV 30.10.1990, Lo Nigro, RV 186075 . Dunque, l'accadimento fortuito, per produrre il suo effetto di escludere la punibilità dell'agente - sul comportamento del quale viene ad incidere - deve risultare totalmente svincolato sia dalla condotta del soggetto agente, sia dalla sua colpa. Ne consegue che in tutti i casi in cui l'agente abbia dato materialmente causa al fenomeno - solo, dunque, apparentemente fortuito - ovvero nei casi in cui, comunque, è possibile rinvenire un qualche legame di tipo psicologico tra il fortuito e il soggetto agente, nel senso che l'accadimento, pure eccezionale, poteva in concreto essere previsto ed evitato se l'agente non fosse stato imprudentemente negligente o imperito non è possibile parlare propriamente di fortuito in senso giuridico. Cass. IV 9 dicembre 1988, Savelli, RV 180850 . Orbene, per il caso sottoposto al nostro esame per quanto ampiamente argomentato è decisamente da escludersi il fortuito sussistendo la condotta colposa, come delineata, del ricorrente. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.