Il “danno non patrimoniale” non può essere liquidato in modo esiguo ed irrisorio ma la liquidazione deve essere fatta tenendo in debito conto tutti gli aspetti del caso concreto e, laddove il percorso valutativo seguito dal Giudice, anche in ordine alla motivazione dell’uso della facoltà di liquidare il danno in via equitativa, sia adeguato, la decisione non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità.
Quante vicende concrete possono nascondersi dietro l’espressione “errore diagnostico”? Moltissime, in realtà si va dalla omessa e/o ritardata esecuzione di esami diagnostici prescritti dal protocollo omesso e/o errato e/o ritardato riconoscimento dei sintomi della patologia omessa e/o errata indicazione delle procedure medico-sanitarie da far eseguire al paziente sino all’omesso e/o errata valutazione del trattamento medico o all’errata valutazione dei risultati degli esami eseguiti dal paziente. Tutte ipotesi di responsabilità medica che giustificano la richiesta di risarcimento dei danni da parte del leso. Ebbene, con riferimento al caso concreto giunto sino alla Suprema Corte, l’attrice aveva convenuto nel giudizio di primo grado tre medici nonché l'azienda USL competente per sentirli condannare, anche in solido, a titolo di responsabilità professionale, al risarcimento dei danni materiali e morali sofferti in ragione di un errore diagnostico. Nello specifico, la negligenza e/o imperizia di tali dottori le aveva fatto subire un intervento chirurgico invasivo ed assolutamente evitabile da cui erano derivati un danno biologico tra il 26-28% oltre ad un danno morale grave. Esponeva la ex paziente lesa che, in ragione di continui dolori addominali successivi ad un intervento di appendicectomia, veniva ricoverata in più occasioni presso l'ospedale, dal quale – però veniva puntualmente dimessa con la diagnosi di coliche addominali. Per il persistere della sintomatologia, la donna veniva sottoposta ad un intervento chirurgico nel corso del quale emergeva la presenza di una cisti ovarica che veniva poi rimossa. Istruita la causa documentalmente ed espletata doverosa CTU medico-legale, il Tribunale competente accoglieva parzialmente la domanda dell'attrice, condannando solo l'USL convenuta al risarcimento dei danni subìti nella misura irrisoria di circa € 2.000. Riteneva, il Tribunale, che infatti i sanitari del presidio ospedaliero avessero violato le regole di diligenza e correttezza professionale, eseguendo un inutile intervento che poteva essere evitato effettuando indagini pre-operatorie meno superficiali ed usando strumenti meno invasivi di quelli in concreto utilizzati. Il Giudice di prime cure, però, rigettava la domanda nei confronti dei singoli tre medici in virtù di «esclusione di loro responsabilità» motivando che le autonome erronee diagnosi, sulla presenza dell'appendicite, non si potevano configurare come antecedenti necessari, causali ed imprescindibili dell'evento dannoso per cui vi era causa. Impugnata in appello la pronuncia di primo grado, la Corte territorialmente competente riteneva, innanzitutto, formatosi il giudicato riguardo all’an debeatur perché l'azienda non aveva impugnato la dichiarazione relativa alla responsabilità dei medici dipendenti dell'ospedale ed accoglieva, parzialmente, il gravame, condannando la appellata al risarcimento sia del danno morale che del danno estetico, riconosciuti in primo grado in modo esiguo, per un ammontare di circa € 10.000. Il “danno non patrimoniale” non può essere liquidato in modo esiguo ed irrisorio. Ricorreva in Cassazione l’Ente con tre motivi che, però, vengono totalmente disattesi dalla Suprema Corte per i seguenti motivi. Secondo gli Ermellini la Corte territoriale, con logica e congrua motivazione, scevra da qualsivoglia vizio logico e/o giuridico, aveva ben indicato il percorso motivazionale seguito, partendo dal principio, confermato dalla stessa Suprema Corte, che il “danno non patrimoniale” non può essere liquidato in modo esiguo ed irrisorio, come aveva fatto il Giudice di primo grado, ma la liquidazione deve essere fatta tenendo conto nel caso di specie dei notevoli e stressanti patemi d'animo subìti dalla vittima nel corso della lunga vicenda sanitaria. Anche in relazione al danno estetico, conferma la Cassazione, la corte territoriale aveva ben motivato sulla lunghezza della cicatrice e sulla sua collocazione in rapporto anche all'età della danneggiata e da qui aveva, secondo diritto, ben giustificato l’adeguamento della quantificazione del risarcimento riconosciuto al danno effettivamente subìto dalla donna. Inoltre, giustamente il giudice nella esplicazione del proprio potere discrezionale aveva determinato la misura del risarcimento del danno in via equitativa facoltà, tra l’altro, affermato anche di recente anche dalle pronunce numero 24070/2017 e numero 23425/2014 della Suprema Corte. Secondo quanto disposto da tali sentenze, si ribadisce che l'esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione sia adeguatamente precisa in ordine all'uso di tale facoltà -come nel caso di specie e ben motivato il percorso valutativo seguito per la liquidazione del danno morale ed estetico.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 24 gennaio – 27 marzo 2018, numero 7531 Presidente Travaglino – Relatore Pellecchia Fatto e diritto Rilevato che 1. Nell’ottobre 2001 M.B. conveniva in giudizio i dottori D.S. , P.U. e D.P.F. , nonché l’azienda USI, di Frosinone per sentirli condannare, anche in solido, a titolo di responsabilità professionale, al risarcimento dei danni materiali e morali sofferti in ragione di un errore diagnostico, che le aveva fatto subire un intervento chirurgico, di laparatomia, invasivo ed evitabile, eseguito il omissis presso l’ospedale omissis da cui le erano derivati un danno biologico pari al 26-28% ed un danno morale grave. Espose che in ragione di continui dolori addominali, successivi ad un intervento di appendicectomia, M.B. veniva ricoverata in più occasioni presso l’Ospedale di , dal quale veniva puntualmente dimessa con la diagnosi di coliche addominali. Per il persistere della sintomatologia, la M. si sottoponeva ad intervento chirurgico, nel corso del quale emergeva la presenza di una cisti ovarica, che veniva poi rimossa. Si costituivano con distinte difese i tre predetti medici, nonché l’azienda USL, chiedendo, ciascuno a vario titolo e per quanto di rispettiva ragione il rigetto nel merito delle domande risarcitorie proposte dall’attrice e chiedevano anche di chiamare in causa ai fini della manleva le proprie assicurazioni. Istruita la causa documentalmente e mediante c.t.u. medico legale, integrata da successivi chiarimenti con sentenza numero 47/2009, il Tribunale di accolse parzialmente la domanda dell’attrice, condannando la USL convenuta al risarcimento dei danni subiti dalla M. , nella misura di Euro 1.945,79, ritenendo che i sanitari del presidio ospedaliero avessero violato le regole di diligenza e correttezza professionale eseguendo un inutile intervento che poteva essere evitato effettuando indagini preoperatorie meno superficiali, usando strumenti meno invasivi di quelli in concreto utilizzati rigettò la domanda nei confronti dei medici, restando assorbite le domande di manleva, escludendo la loro responsabilità atteso che le autonome erronee diagnosi circa la presenza della appendicite non si potevano configurare come necessario antecedente, causale ed imprescindibile dell’evento dannoso de quo, nel senso che qualora non ci fossero state l’intervento non sarebbe stato posto in essere. 2. La Corte d’Appello di Roma con sentenza numero 7002, del 14 novembre 2014, ha ritenuto innanzitutto formatosi il giudicato interno sull’an debeatur in quanto l’azienda non aveva impugnato la dichiarazione relativa alla responsabilità dei medici dipendenti dell’ospedale di . Accoglieva, quindi, parzialmente il gravame, condannando l’appellata al risarcimento del danno morale e del danno estetico liquidandolo in Euro 10.000. 3. Avverso tale sentenza, la USL di omissis propone ricorso per cassazione per tre motivi illustrati da memoria. 3. M.B. e la UnipolSai Ass.ni Spa resistono con autonomi controricorsi. Considerato che 4. Con il primo motivo l’azienda ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 2043 e 2059 c.c. in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3 cpc, per avere la Corte d’Appello liquidato il danno non patrimoniale in modo automatico, arbitrariamente, senza illustrare i criteri adottati. 4.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 cc, in relazione all’articolo 360, numero 3 cpc. La Corte d’Appello avrebbe errato perché ha liquidato il danno morale ed estetico nonostante che la M. non abbia allegato i fatti posti a fondamento della sua pretesa. I motivi congiuntamente esaminati sono inammissibili. In disparte i non marginali profili di inammissibilità, perché il motivo sembra porsi al di fuori dei confini individuati Cass. S.U. numero 7161/2010 e Cass. S.U. numero 28547/2008, in ogni caso, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, la Corte di Appello ha motivato circa i criteri di liquidazione adottati. Difatti, la Corte territoriale/con congrua e logica motivazione scevra da qualsivoglia vizio logico-giuridico, indica il percorso motivazionale seguito, partendo dal principio, affermato da questa Corte, che il danno non patrimoniale non può essere liquidato in modo esiguo ed irrisorio, come invece è stato fatto dal giudice di primo grado, ma la liquidazione deve essere fatta tenendo conto dei notevoli e stressanti patemi d’animo subiti dalla M. nel corso dell’annosa vicenda sanitaria . Anche in relazione al danno estetico la Corte ha motivato sulla lunghezza della cicatrice e della sua collocazione in rapporto anche alla età della danneggiata. Il giudice ha ritenuto, inoltre, nell’esplicazione del suo potere discrezionale determinarsi la misura del risarcimento del danno in via equitativa, come recentemente affermato anche da Cass. 24070/2017 e Cass. 23425/2014 che ha ribadito che l’esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà. Come appunto nel caso di specie dove emerge il percorso valutativo seguito per la liquidazione del danno morale ed estetico. 4.3. Con il terzo motivo si duole della violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 cpc, in riferimento all’articolo 360, comma 1, numero 3 cpc. La Azienda ricorrente eccepisce l’ingiustizia e l’illegittimità della condanna al pagamento. A parte che trattasi di un non motivo e comunque anch’esso inammissibile perché il giudice ha deciso secondo il principio della soccombenza. 5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. 6. Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17 della 1. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato articolo 13.