In materia di procura alle liti non opera il principio generale per cui gli atti posti in essere da un soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva.
Così la Corte di Cassazione con ordinanza numero 336/18, depositata il 10 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello di Roma accoglieva l’impugnazione alla sentenza del Tribunale di Roma proposta dall’INPS, con cui l’ente veniva condannato alla corresponsione di interessi e rivalutazione sulle somme erogate ad una lavoratrice. La Corte distrettuale rilevava infatti la nullità della procura alle liti conferita all’estero, essendo la stessa priva della legalizzazione della firma da parte di un notaio o di altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge dello Stato estero. Avverso la sentenza del Giudice d’Appello la lavoratrice propone ricorso per cassazione denunciando la mancata applicazione della sanatoria ex articolo 182 c.p.c. Difetto di rappresentanza o di autorizzazione , nonché il superamento della presunzione di rilascio della procura nel territorio nazionale. La sanatoria del potere di rappresentanza. Il Supremo Collegio ribadisce che il principio, espresso dalle Sezioni Unite, per cui «gli atti posti in essere da un soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva salvi i diritti dei terzi non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dall’articolo 125 c.p.c.». L’onere della prova. La Suprema Corte rileva che non può presumersi che il rilascio della procura alle liti fosse avvenuto in Italia, posto che la ricorrente non aveva fornito prova né in merito alla procura né in merito al suo contenuto, sottraendosi, in aggiunta, all’interrogatorio formale deferitole. La Corte dunque rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 20 settembre 2017 – 10 gennaio 2018, numero 336 Presidente D’Antonio – Relatore Calafiore Rilevato in fatto Che la Corte d’appello di Roma con la sentenza impugnata ha accolto l’appello proposto dall’Inps nei confronti di R.A.D. avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 19.9.2007 che aveva accolto il ricorso promosso dalla predetta nei confronti dell’INPS per interessi e rivalutazione su ratei di prestazione liquidati in ritardo che la Corte territoriale ha accolto il motivo d’appello con il quale era stata riproposta l’eccezione di nullità della procura alle liti conferita all’estero, come doveva ritenersi nel caso di specie, essendo tale procura priva della legalizzazione della firma da parte di notaio o di altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge dello Stato estero che avverso tale sentenza R.A.D. ricorre per cassazione con due motivi Che l’I.N.P.S. resiste con controricorso. Considerato in diritto che la Corte reputa che il ricorso debba essere rigettato che, in particolare, con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’articolo 182 cod. proc. civ. e dell’articolo 112 cod. proc. civ., dovendosi ritenere vigente ma non applicato dalla Corte territoriale il principio della sanabilità del difetto di procura alle liti affermato da Cass. SS.UU. numero 9217/2010 che la tesi della ricorrente tendente ad affermare l’erroneità della sentenza impugnata per la mancata applicazione del disposto dell’articolo 182 cod. proc. civ., con l’effetto di sanare la carenza accertata dai giudici di merito, non è fondata posto che le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente ribadito che il principio secondo cui gli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva salvi i diritti dei terzi non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dall’articolo 125 cod. proc. civ., Cass., S.U., numero 13431 del 2014 Cass. numero 9464 del 2012 che si è precisato che tale regola mantiene valore anche dopo la modifica degli articolo 83 e 182 cod. proc. civ., introdotta dalla L. numero 69 del 2009 che con il secondo motivo di ricorso si sostiene, inoltre, che la Corte territoriale, violando gli articolo 434, 115,116, 83 e 232 cod. proc. civ., abbia errato nel ritenere superata la presunzione di rilascio in Italia della procura ed abbia posto a carico della parte ricorrente l’onere di provare tale circostanza attraverso l’ordine di esibizione del passaporto e l’ordine di presentazione all’udienza per rendere l’interrogatorio formale che tale motivo è infondato poiché la Corte territoriale ha posto a base del ritenuto superamento della presunzione di rilascio della procura in Italia una serie di elementi, quali l’assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica stabile residenza della ricorrente in OMISSIS , la mancanza di dimostrazione di un suo ingresso in Italia, attraverso l’esibizione del passaporto o di documenti di viaggio, nonché il suo comportamento processuale e, in particolare, la mancata comparizione in udienza per rispondere all’interrogatorio formale deferitole che, come emerge dalla sentenza impugnata, l’interrogatorio formale era stato deferito sulla circostanza relativa al luogo in cui la procura a margine del ricorso era stata sottoscritta la mancata risposta rappresenta pertanto un fatto qualificato riconducibile al più ampio ambito del comportamento della parte nel processo cui il giudice può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti e così di prova, secondo la sua prudente valutazione Cass. 13 novembre 1997, numero 11233 Cass. 12 dicembre 2005, numero 27320 Che la parte non trascrive il contenuto della procura cui la sentenza si riferisce, non deposita l’atto contestualmente al ricorso per cassazione, né fornisce indicazioni per un facile reperimento dell’atto stesso nel presente giudizio, allo stesso modo non indica e non specifica con quale atto ed in quali termini avrebbe fatto rilevare al giudice d’appello le circostanze idonee a giustificare la mancata comparizione della parte a rendere l’interrogatorio formale, per contrastare le conseguenze di ordine probatorio che il giudice ne ha tratto a norma dell’articolo 232 c.p.c., cfr. Cass., 8 febbraio 1963, numero 222 , per cui il motivo difetta di specificità che in definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo in difetto di idonea dichiarazione di esonero sottoscritta dalla parte ai sensi dell’articolo 152 disp. att. c.p.c P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del contro ricorrente, che liquida in complessivi Euro 2000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie.