L’offerta di difesa per un procedimento inviata da un avvocato ad un Comune, già provvisto di un legale, può configurare la violazione del divieto di accaparramento di clientela previsto dal codice deontologico forense, a seconda del suo contenuto.
Così il Consiglio Nazionale Forense con sentenza numero 139/17, depositata il 10 ottobre. Il caso. In seguito all’invio di una lettera ad un Comune con la quale un avvocato comunicava la sua disponibilità ad assumere la difesa dell’Ente ai minimi tariffari, qualora questo avesse deciso di costituirsi parte civile in un procedimento penale, il Comune stesso segnalava al COA di Venezia il fatto che il professionista non avrebbe dovuto aver conoscenza degli atti processuali su cui la sua proposta di difesa si fondava. Il COA di Venezia apriva un procedimento disciplinare e, dopo aver riconosciuto la sussistenza della violazione del «dovere di decoro nell’esercizio della professione forense e del divieto di accaparramento di clientela», applicava la sanzione della censura ex articolo 37 c.d.f., non rilevando invece la violazione del dovere di segretezza e riservatezza ex articolo 9 c.d.f Avverso la pronuncia del COA di Venezia l’avvocato propone ricorso innanzi al medesimo Consiglio, affermando l’irrilevanza deontologica dei fatti, non avendo egli agito nell’intenzione di acquisire il Comune come nuovo cliente, e dolendosi della sanzione applicatagli censura . L’accaparramento di clientela. Il COA di Venezia rileva che la comunicazione inviata dal ricorrente al Comune – ed inviata altresì con intento persuasivo alla Provincia – costituisce a tutti gli effetti «un’offerta di prestazione professionale indirizzata al Comune, al fine di acquisire un nuovo rapporto di clientela, con modalità non conformi alla correttezza e decoro professionale, comportamento questo disciplinarmente rilevante in riferimento agli articolo 5 e 19 del previgente codice deontologico». Difatti, l’avvocato, per indurre l’Ente ad accettare la proposta, non solo offriva volontariamente e consciamente la propria prestazione personale ai minimi tariffari, ma dichiarava in aggiunta di essere un avvocato penalista «qualificato in materia», allegando, a sostegno della propria dichiarazione, un elenco di altri Comuni difesi nel corso della propria carriera. Pertanto il Consiglio conferma la violazione del divieto di accaparramento di clientela, nonché l’applicazione della sanzione della censura. Il COA di Venezia dunque rigetta il ricorso.
Consiglio Nazionale Forense, sentenza 10 ottobre 2017, numero 139 Presidente Logrieco – Relatore Masi Fatto Con ricorso depositato il 01/02/2013 nella segreteria del Consiglio dell’Ordine di Venezia, l’avv. ricorrente impugnava la decisione pronunziata nel procedimento disciplinare numero 47/2011 il 16/7/2012, depositata il 10/12/2012, notificata il 17/01/2013, che lo aveva ritenuto responsabile limitatamente all’illecito disciplinare contestatogli nel primo capoverso del capo di incolpazione ed applicato la sanzione della censura, prosciogliendolo invece in relazione alla condotta descritta nel secondo capoverso dello stesso capo di incolpazione. Il procedimento disciplinare prende le mosse da un esposto pervenuto al Consiglio territoriale di Venezia dal Sindaco del Comune di omissis . In particolare, in data 01.07.2010, l’avvocato ricorrente inoltrava a mezzo fax una comunicazione al Comune di omissis con la quale si dichiarava disponibile ad assumere la difesa dell’Ente qualora avesse deliberato di costituirsi parte civile nel procedimento penale per disastro ambientale aggravato ex articolo 487, comma 2, c.p. attivato dalla Procura della Repubblica di Venezia, a carico delle società omissis srl e omissis snc. L’avv. ricorrente nella missiva anzidetta rappresentava, altresì, di essere un avvocato penalista “qualificato in materia”, elencando in nota alcuni procedimenti penale nei quali difendeva altri Comuni, e con riferimento agli onorari si dichiarava “disponibile ad applicare i minimi tariffari”. Vista la missiva, il Sindaco del Comune di omissis , nel riscontrarla, inviava in data 15.07.2010 all’avvocato ricorrente , e per conoscenza al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia, una lettera nella quale precisava che il Comune era già assistito da altro professionista e che trattandosi di atti processuali “non dovrebbero essere nella libera disponibilità di terzi estranei al processo”. Il COA di Venezia, ricevuta la comunicazione del Sindaco, richiedeva chiarimenti dall’avvocato ricorrente , ottenuti i quali riteneva che la vicenda fosse meritevole di approfondimento dibattimentale, per cui con delibera del 24.11.2011 apriva il procedimento disciplinare numero 47/2011, formulando il seguente capo di incolpazione “violazione degli articoli 5, 9, 19 e 60 del Codice Deontologico Forense approvato dal Consiglio Nazionale Forense in data 17.04.1997 e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia in data 02.06.1997 e successive modificazioni ed integrazioni, in relazione all’articolo 38 R.D.L. 27/11/1933 numero 1578, convertito con modificazioni nella legge 22.10.1934, perché - di propria iniziativa si proponeva con lettera 01/07/2010 come difensore del Comune di omissis , con il quale non aveva in precedenza intrattenuto alcun rapporto professionale, per la costituzione di parte civile in un processo pendente avanti la Procura 2 della Repubblica di Venezia numero 7434/2007 RGNR, rappresentando tale attività processuale come doverosa e, nel contempo, poco dispendiosa, per l’effetto dell’applicazione dei soli minimi tariffari - allegava alla lettera, senza cautela alcuna per assicurarne la riservatezza, il testo integrale della richiesta di rinvio a giudizio ancora prima della sottoscrizione del Sostituto Procuratore e, quindi, apparentemente proveniente da canali non istituzionali o, quanto meno, violando l’obbligo di segretezza, nell’ipotesi che il documento fosse provenuto dalla Provincia di Venezia. In Venezia 01.07.2010.” In esito alla fase dibattimentale disciplinare, il COA procedente con la impugnata decisione proscioglieva l’avvocato ricorrente dall’addebito di cui all’articolo 9 del Codice Deontologico Forense, descritto nel secondo capoverso del capo di incolpazione, ritenendo, al contrario, provati i fatti violativi delle disposizioni deontologiche di cui agli articolo 5, 19 e 60 descritti nel primo capoverso del capo di incolpazione, e per l’effetto applicava la sanzione della censura. In particolare, il COA di Venezia riteneva che l’istruttoria dibattimentale avesse consentito di - escludere che l’avvocato ricorrente si fosse reso responsabile della violazione della disposizione deontologica di cui all’articolo 9, avendo allegato alla lettera inviata al Comune di omissis il testo integrale della richiesta di rinvio a giudizio ancora prima della sottoscrizione del Sostituto Procuratore, essendo ciò stato smentito come da prove documentali acquisite al fascicolo disciplinare - appurare che l’avvocato ricorrente , per sua stessa ammissione per altro, si era proposto quale difensore al Comune di omissis con ciò violando il dovere di decoro nell’esercizio della professione forense e il divieto di accaparramento di clientela. Con il suindicato ricorso depositato il 01/02/2013 l’avv. ricorrente dopo essersi soffermato sullo svolgimento del procedimento davanti al Consiglio territoriale, ed esaminato sinteticamente la decisione impugnata, la censurava deducendo la insussistenza della rilevanza deontologica dei fatti, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, non avendo lui inteso perseguire assolutamente l’intento di acquisire il Comune di omissis come nuovo cliente, e dovendosi escludere la volontarietà della condotta addebitata. All’odierna udienza, constatata la regolarità e la tempestività delle notifiche, il ricorrente concludeva come da separato verbale. Il Procuratore generale concludeva chiedendo l’accoglimento parziale dell’impugnazione limitatamente all’attenuazione della sanzione applicata in quella dell’avvertimento. Diritto 3 Il ricorso non è fondato, per cui deve essere respinto. Con l’unica censura posta a fondamento del ricorso, l’avv. ricorrente , in relazione all’articolo 5 del Codice deontologico Forense, deduceva la insussistenza della violazione dei doveri di dignità, probità e decoro per avere lui proposto al Comune di omissis di assumerne la difesa penale nel processo per disastro ambientale aggravato pendente davanti al GUP del Tribunale di Venezia, dimostrando al contrario tale comportamento uno specifico interesse etico, prima ancora che giuridico, di tutelare il bene giuridico dell’ambiente, senza aver inteso ledere la reputazione della classe forense né l’immagine della stessa. L’avv. ricorrente , in relazione all’articolo 19 del previgente Codice deontologico, deduceva la insussistenza della violazione del divieto di accaparramento di clientela, e ciò in ragione del significato complessivo della disposizione deontologica che, in qualche modo, si pone a baluardo del raggiungimento di fini di stretto utilitarismo individuale, ciò che non si riscontrava nel caso di specie, avendo lui inviato la comunicazione al Comune di omissis solo ed esclusivamente per scongiurare che l’anzidetto Ente perdesse la possibilità, quale parte offesa, di costituirsi parte civile in un processo di così rilevante interesse sociale. Il ricorrente deduceva, infine l’assenza di volontarietà della commissione dell’illecito disciplinare. La censura non appare meritevole di accoglimento in ogni sua articolazione, in quanto i fatti oggetto del capo di incolpazione risultano pienamente provati sulla base delle risultanze dibattimentali, di cui viene dato conto nella decisione impugnata in modo congruo e coerente. Ed invero la lettera datata 1/7/2010 a firma dell’avv. ricorrente perseguiva sicuramente la finalità di offrire la prestazione professionale al Comune di omissis in vista della probabile costituzione di parte civile dello stesso Ente nel procedimento penale pendente davanti al GUP del Tribunale di Venezia, udienza del 13/10/2010, nei confronti dei soci e/o coamministratori di alcune società ritenute responsabili di un grave disastro ambientale. In tale direzione conduce il contenuto della suddetta lettera, laddove il ricorrente dopo avere informato l’Ente locale della pendenza del procedimento penale numero 7434/07 r.g.numero r. Procura della Repubblica di Venezia della particolare gravità del reato ambientale contestato agli imputati, a causa dello sversamento di una notevole quantità di cromo e nichel sul suolo e nella falda acquifera e della possibilità di formalizzare la costituzione di parte civile nei confronti degli imputati anche ai fini della citazione delle Società come responsabili civili si dichiarava “Avvocato Penalista qualificato in materia”, indicando nella nota in calce alla lettera un elenco di incarichi professionali affidatigli da altri Enti per 4 questioni più o meno analoghe, ed offriva la propria prestazione professionale al Comune, dichiarandosi disponibile ad applicare i minimi tariffari. Insomma, la lettera datata 1/7/2010 costituisce chiaramente un’offerta di prestazione professionale indirizzata al Comune di omissis , al fine di acquisire un nuovo rapporto di clientela, con modalità non conformi alla correttezza e decoro professionale, comportamento questo disciplinarmente rilevante in riferimento agli articolo 5 e 19 del previgente codice deontologico. In verità l’affidamento dell’incarico nel suindicato procedimento penale era stato sollecitato dall’avv. ricorrente anche alla Provincia di omissis , come si evince dalla email datata 23/6/2010, allegata alla memoria difensiva depositata il 6/7/2012 nel procedimento disciplinare numero 47/2011. L’incolpato, infatti, dopo avere informato il dirigente dell’ufficio legale della Provincia di omissis della pendenza del ridetto procedimento penale e della fissazione dell’udienza preliminare, concludeva testualmente “Anche questa vicenda si configura come uno straordinario attentato all’ambiente e ritengo quindi che la Provincia debba intervenire. Fammi sapere se sei d’accordo e posso occuparmene secondo i soliti accordi ”. Tale documento ancorchè non esaminato dal COA veneziano, dimostra ulteriormente che l’obiettivo perseguito dall’avv. ricorrente era di acquisire l’incarico defensionale, sia dalla Provincia di omissis , che era già suo cliente, sia dal Comune di omissis , con ciò acquisendo anche un nuovo rapporto di clientela. In conclusione, l’attività istruttoria espletata dal Consiglio territoriale appare correttamente e congruamente motivata, in quanto la valutazione disciplinare è avvenuta non già solo ed esclusivamente sulla base delle dichiarazioni dell’esponente cfr. lettera del Sindaco di omissis , ma altresì dell’analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti del procedimento, individuando e motivando la rilevanza deontologica del comportamento dello ricorrente in riferimento al previgente articolo 19, canoni II, III, IV cfr. CNF 12/3/2015 numero 27 CNF 24/11/2014 numero 162 . Anche per quanto riguarda l’ulteriore profilo della censura concernente la mancanza di volontarietà della condotta, la decisione impugnata non appare meritevole di riforma. Il COA, infatti, ha ravvisato la “volontarietà della condotta” nella circostanza che l’avv. ricorrente avesse consapevolmente redatto la lettera datata 1/7/2010 per offrire al Comune di omissis la prestazione professionale nel ridetto procedimento penale, tanto è vero, ha sottolineato il Consiglio territoriale, “che nei successivi scritti l’ha difesa nel contenuto. In questo quadro non appaiono sussistenti i presupposti per invocare un istituto, quale quello della putatività, che non è comunque applicabile all’elemento volitivo”. Occorre aggiungere soltanto che al fine di integrare l’illecito disciplinare sotto il profilo soggettivo è sufficiente l’elemento psicologico della suità della condotta inteso come volontà 5 consapevole dell’atto che si compie, giacché ai fini dell’imputabilità dell’infrazione disciplinare non è necessaria la consapevolezza dell’illegittimità dell’azione, dolo generico e specifico, essendo sufficiente la volontarietà con la quale l’atto deontologicamente scorretto è stato compiuto CNF, sentenza 6/6/2017 numero 77 Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, occorre subito precisare che ai sensi dell’articolo 3, co. 3 della legge numero 247/2012, il nuovo Codice Deontologico, approvato dal C.N.F. il 31 gennaio 2014, pubblicato il 16.10.2014 sulla G.U. numero 241 ed entrato in vigore il 16.12.2014, avrebbe dovuto per quanto possibile “individuare tra le norme in esso contenute quelle che, rispondendo alla tipologia di un interesse pubblico al corretto esercizio della professione hanno rilevanza disciplinare. Tali norme, per quanto possibile, devono essere caratterizzate dall’osservanza del principio della tipizzazione della condotta e contenere l’espressa indicazione della sanzione applicabile”. Il Codice Deontologico vigente è stato quindi strutturato attribuendo ad ogni singola previsione una rilevanza disciplinare con l’indicazione della relativa sanzione, pur nella consapevolezza di non potere arrivare ad una completa tipizzazione per la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti costituenti illecito disciplinare legati allo status anche privato dell'avvocato. Nel caso di specie vengono in rilievo l'articolo 9 “Doveri di lealtà e correttezza verso i colleghi e le istituzioni forensi”e l’articolo 19 “Doveri di probità, dignità, decoro ed indipendenza” del Codice deontologico forense che contengono il riferimento ai doveri di probità, dignità e decoro già previsti dall’articolo 5 del codice previgente , e l’articolo 37, commi 1-3- 4-5 “Divieto di accaparramento della clientela” che prescrive il divieto di qualsiasi comportamento finalizzato all’acquisizione di rapporti di clientela con modi non conformi alla correttezza ed al decoro, divieto già prescritto dall’articolo 19 del previgente codice che prevede come sanzione edittale base la censura. L’articolo 65, comma 5, della Legge numero 247/2012 prevede a sua volta che le norme del nuovo Codice Deontologico, nelle more entrato in vigore, si applicano ai procedimenti disciplinari in corso se più favorevoli per l’incolpato. Ne consegue la necessità di valutare la condotta costituente illecito disciplinare prima alla luce delle norme deontologiche così come previste dal Codice in vigore al tempo del compimento dell’illecito successivamente, di valutare la medesima condotta alla luce del Nuovo Codice attualmente vigente, per poi applicare la norma che, in concreto, risulta più favorevole all’incolpato C.N.F. 29/7/2016 numero 287, CNF 29/7/2916 numero 274, Cass. SS.UU. 29/7/2016 numero 15819 . La determinazione della sanzione deve avvenire, quindi, alla luce della disciplina sopravvenuta cfr. Cass. Sez. Unite 16 febbraio 2015, numero 3023 . 6 Tutto ciò premesso, valutati gli elementi tutti acquisiti al procedimento, questo Consiglio ritiene equo confermare la sanzione della censura applicata dal COA di Venezia, che corrisponde alla sanzione base prevista dal vigente articolo 37 ncdf. P.Q.M. visti gli articolo 50 e 54 del RDL 27/11/1933, numero 1578 e gli articolo 59 e segg. del RD 22/1/1934, numero 37, Il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso proposto dall’avv. ricorrente . Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.