I genitori sanno che la figlia minorenne convive con un adulto: scatta il concorso

Consentire la convivenza della propria figlia non è certo reato, anzi. Ma se si tratta di una ragazzina di 13 anni che viene “incoraggiata” a convivere con un adulto, in tal modo permettendo ed agevolando i costanti rapporti sessuali tra la minore e l’uomo, allora i due genitori sono punibili per il reato di violenza sessuale articolo 110 e 609 quater c.p. .

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 33562/2012, depositata il 31 agosto scorso. Il caso. La Corte di appello di Roma confermava parzialmente la sentenza emessa nei confronti dei genitori della tredicenne e dell’uomo convivente, rideterminando la pena in 3 anni, 4 mesi e 15 giorni di reclusione ciascuno. Il ricorso per cassazione viene presentato dai difensori dei 3 imputati. La convivenza tra i due era di dominio pubblico nel quartiere. A tal proposito, la S.C. ribadisce che il divieto di testimonianza sulle voci correnti nel pubblico articolo 194, comma 3, c.p.p. , non è applicabile nell’ipotesi di «notizie circoscritte ad una cerchia ben determinata ed individuabile di persone». In particolare, nel caso di specie, si trattava di persone dello stesso condominio. Corretta la decisione dei giudici di primo grado i genitori rispondono del reato a titolo di concorso. In conclusione, gli Ermellini precisano che i due genitori non rispondono del reato di violenza sessuale configuratosi per la condotta omissiva dei due articolo 40, comma 2, c.p. , «per non avere impedito l’evento che avevano l’obbligo giuridico di impedire nella loro qualità di genitori della persona offesa», ma, in realtà, ne rispondono a titolo di concorso articolo 110 c.p. .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 28 giugno – 31 agosto 2012, numero 33562 Presidente Petti –Relatore Lombardi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha confermato parzialmente la sentenza del Tribunale di Roma in data 15/12/2008, con la quale M.L. e L.A. erano stato dichiarati colpevoli del reato B di cui agli articolo 110 e 609 quater c.p., loro ascritto perché, quali genitori esercenti la potestà sulla figlia minore M.S. di anni 13, in concorso tra loro e con P.S. , ne consentivano ed anzi incoraggiavano la stabile convivenza con il P. , in tal modo permettendo ed agevolando i costanti rapporti sessuali tra la minore ed il predetto imputato del reato corrispondente. Per quanto riguarda fa posizione degli attuati ricorrenti, la Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali gli appellanti avevano contestato che vi fossero prove della conoscenza da parte loro della stabile relazione tra il P. e la figlia e dei consequenziali rapporti sessuali dedotto, pertanto, l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, nonché del rapporto di causalità di natura omissiva chiesto, in subordine, l’attenuante della lieve entità del fatto. La Corte ha, però, ridotto la pena inflitta agli imputati, rideterminandola in quella di anni tre, mesi quattro e giorni quindici di reclusione ciascuno. 2. Avverso la sentenza ha proposto distinti ricorsi il difensore degli imputati, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione con mezzi di annullamento sostanzialmente identici 2.1. Violazione dell’articolo 194, comma 3, c.p.p La teste D.L. ha riferito che la circostanza della convivenza tra la minore ed il P. era di dominio pubblico nel quartiere . Tale elemento di prova era inutilizzabile ai fini dell’affermazione di colpevolezza degli imputati, stante il divieto di testimonianza sulle voci correnti nel pubblico ai sensi della disposizione citata. La dichiarazione della teste costituisce anche espressione di un mero apprezzamento personale ed è stata particolarmente valorizzata dalla sentenza di primo grado, la cui motivazione integra quella di appello per l’espresso richiamo in essa contenuto. Anche la dichiarazione della teste C. in ordine all’atteggiamento che avrebbe palesato la madre della minore, secondo la quale pare incentivare nella figlia il legame con il P. , una sorte di sistemazione per S. , costituisce espressione di un mero apprezzamento personale, non utilizzabile ai fini del giudizio. 2.2 Inosservanza dell’articolo 500, comma 2, c.p.p I giudici di merito hanno desunto dalla divergenza tra le dichiarazioni rese da S M. in sede di indagini e quelle rese in dibattimento, in punto di conoscenza da parte dei genitori della sua relazione con il P. , il convincimento della inattendibilità delle seconde senza un congruo argomentato giudizio complessivo delle predette dichiarazioni. Il giudice di primo grado inoltre ha mostrato di avere tratto il proprio convincimento anche dalle dichiarazioni utilizzate ai fini delle contestazioni. La sentenza di appello è incorsa nel vizio di mancanza di motivazione con riferimento alle puntuali deduzioni difensive dell’appellante su detta questione. 2.3 Carenza assoluta di motivazione anche in relazione all’articolo 121 c.p.p Sia la sentenza di primo grado che quella di appello hanno totalmente ignorato le deposizioni favorevoli agli imputati, costituite per entrambi da quelle di M.L. , fratello della persona offesa, il quale aveva riferito che la relazione tra P.S. e S. era rimasta nascosta, tanto che lui ne era venuto a conoscenza solo successivamente all’inizio delle indagini che i due avevano fatto tutta una cosa in segreto costituita inoltre per la L. dalle dichiarazioni dei teste Pa.Re. , all’epoca dei fatti convivente con l’imputata, il quale aveva riferito che entrambi ignoravano la relazione tra S. e S P. e che la L. , dopo la cessazione della loro convivenza, nel omissis , fece ritorno a per un brevissimo periodo per poi trasferirsi subito in presso la casa materna. Sono state inoltre esaminate solo parzialmente le dichiarazioni della teste C. , secondo la quale i genitori, quando furono informati dell’accaduto, rimasero sconvolti. Le sentenza di merito sono incorse non solo nel vizio di motivazione su tali punti, ma sono anche affette da nullità per l’omesso esame delle deduzioni difensive in ondine agli stessi. 2.4 Violazione ed errata applicazione dell’articolo 40, comma 2, c.p.p Entrambi gli imputati rispondono del reato loro ascritto per non avere impedito l’evento che avevano l’obbligo giuridico di impedire nella loro qualità di genitori della persona offesa. L’elemento soggettivo del reato nella forma omissiva prevista dall’articolo 40, comma secondo, c.p., non può essere, però, il dolo eventuale, che è stato posto a fondamento dell’affermazione di colpevolezza degli imputati. La responsabilità penale ex articolo 40, comma secondo, c.p., postula la effettiva rappresentazione dell’evento da parte del soggetto obbligato ad impedirne l’accadimento e tale effettiva conoscenza deve essere desunta da elementi certi. Inoltre il nesso di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato sulla base di un giudizio di alla probabilità logica, sicché possa ritenersi, con un elevato grado di certezza, che, ipotizzando come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa, l’evento non si sarebbe verificato. La sentenza è carente di motivazione in ordine a tale verifica. Sul punto si sarebbe dovuto tener conto della infatuazione della minore per il P. , che l’aveva indotta anche in seguito al ricovero presso una casa famiglia a fuggire ripetutamente per recarsi da lui. Alla luce di tale dato di fatto doveva ritenersi dubbia l’efficacia impeditiva dell’evento di un eventuale intervento degli imputati. 5.5 Violazione degli articolo 530, comma secondo e articolo 533, comma primo, c.p.p L’esistenza di prove divergenti determina inevitabilmente la contraddittorietà del quadro istruttorio complessivo al fini dell’affermazione della colpevolezza di ciascuno degli imputati e non consente di configurare un’ipotesi di accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio. 5.6 Mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento dell’attenuante speciale di cui all’articolo 409 quater, comma 4, c.p Con un motivo aggiunto di ricorso depositato l’11/06/2012 la difesa dei ricorrenti ha denunciato la violazione dell’articolo 192, comma 2, c.p.p., in ordine alla valutazione della prova indiziaria. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono infondati. 2.1 È stato già reiteratamente precisato da questa Corte, in relazione al primo motivo di gravame, che il divieto di testimonianza sulle voci correnti nei pubblico, previsto dall’articolo 194, comma terzo, c.p.p., non è applicabile nell’ipotesi di notizie circoscritte ad una cerchia ben determinata ed individuabile di persone, cfr. sez. 6, Sentenza numero 31721 del 10/06/2008, Rv. 240985 sez. 2, Sentenza numero 47404 del 30/11/2011, Rv. 251608 sez. 2, nnumero 47405, 47406, 47407, 47408 e 47409/11, non massimale . Orbene, secondo le sentenze di entrambi i gradi del giudizio la teste D.L. non ha riferito voci correnti nel pubblico a proposito del rapporto di stabile convivenza tra il P. e M.T. , bensì fatti noti agli abitanti dello stesso palazzo in cui vivevano sia il P. , in un appartamento con la persona offesa, sia i genitori di quest’ultima in un altro appartamento. Peraltro, la stessa teste D.L. abitava nello stesso palazzo di fronte alla casa del P. , mentre i genitori della ragazza abitavano al piano inferiore. Le cose che riferisce pertanto sono precipuamente quelle da lei stessa osservate, che hanno formato oggetto dell’apprezzamento di merito. La sentenza, poi, ha puntualmente rilevato che anche le dichiarazioni della C. non corrispondono a mere impressioni, ma a quanto dalla medesima osservato direttamente. Un ulteriore riscontro della consapevolezza da parte dei genitori della ragazza del rapporto di convivenza tra costei ed il P. , infine, è stato desunto dalla testimonianza degli organi di polizia giudiziaria che intervennero in casa del P. , il quale risultava pregiudicato, in ordine alle reazioni del padre della ragazza alla notizia della convivenza accertata in quella sede. 2.2 I giudici di merito hanno correttamente utilizzato le dichiarazioni rese dalla M. agli organi di polizia giudiziaria per le contestazioni al fine di valutarne la attendibilità, ai sensi dell’articolo 500, comma 2, c.p.p., mentre l’affermazione di colpevolezza degli imputati non risulta affatto fondata sulle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari dalla persona offesa, che peraltro ha ammesso in dibattimento di avere dichiarato agli operanti di P.G. che era la convivente del P. . Pertanto, la valutazione in ordine alla inattendibilità delle dichiarazioni rese in dibattimento da S M. e anche quelle del fratello L M. , al fine di scagionare i genitori, ha formato oggetto di adeguata motivazione. 2.3 La sentenza ha puntualmente esaminato le dichiarazioni del Pa., ritenute inidonee ad escludere la colpevolezza della L. sulla base di puntuali rilievi argomentativi, così come quelle di tutti gli altri testi che hanno formato sempre oggetto di apprezzamento di merito. 2.4 Gli imputati non rispondono del reato di cui all’articolo 609 quater c.p. ai sensi dell’articolo 40, comma secondo, c.p., bensì a titolo di concorso ex articolo 110 c.p. con il P. per avere favorito ed agevolato i rapporti sessuali tra il predetto e la figlia minore degli anni quattordici. In ogni caso, la sentenza di primo grado risulta esaustivamente motivata anche in ordine alla violazione da parte degli imputati dell’obbligo di impedire, ai sensi dell’articolo 40, comma 2, c.p., che la figlia, minore di quattordici anni, avesse abitualmente rapporti sessuali con il P. . Sul punto la tesi dei ricorrenti, secondo la quale non avrebbero potuto impedire l’evento, si palesa, oltre che di merito, meramente assertiva. 2.5 I rilievi che precedono sono assorbenti rispetto alle deduzioni dei ricorrenti in ordine alla violazione dell’articolo 192, comma 2, c.p.p., in punto di valutazione della prova indiziaria, e degli articolo 530, comma 2 e articolo 533, comma 1, c.p.p., per la mancata assoluzione degli imputati. 2.6 Le sentenze di entrambi i gradi del giudizio, infine, hanno escluso che il fatto, nella sua obiettività, potesse considerarsi di minore gravità ai sensi dell’articolo 609, quater, comma 1 quarto, c.p., mentre la censura dei ricorrenti sul punto è del tutto generica. 3. I ricorsi, pertanto, devono essere rigettati con le conseguenze di legge. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.