Diniego di rinnovo del permesso di soggiorno e burocrazia inefficiente ...

Condannata al pagamento di 5.000 euro per le spese processuali sia la Questura di Pordenone che il Ministero dell'Interno, per aver istruito il procedimento amministrativo in violazione ai parametri e principi normativi.

Ed il conto aumenta Perché il numero delle volte che vede il Viminale ed i suoi uffici periferici soccombenti cresce di anno in anno, come pure l'ammontare delle spese riconosciute disposte dal Consiglio di Stato. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia - Sezione I, aveva respinto, con compensazione delle spese, il ricorso proposto dal cittadino bengalese avverso il diniego al rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, disposto dalla Questura di Pordenone, a causa della accertata indisponibilità dei mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno, della strumentalità del recente contratto di assunzione come domestico asseritamente solo allo scopo di evitare tale diniego, nonché dell’avvenuto trascorso del periodo previsto dalla normativa in attesa di occupazione. Ma il Consiglio di Stato sent. numero 3028/14, depositata il 13 giugno ha annullato la sentenza del giudice di primo grado, in relazione a situazioni di fatto che mal si coniugano con l'immagine di efficienza della pubblica amministrazione che il Governo vorrebbe rappresentare. Permesso negato. Sta di fatto che il cittadino bengalese ha fatto presente di essere entrato in Italia nel 2007 a seguito di richiesta nominativa tramite flussi e dedotto, con richiamo a pronunce del Consiglio, il mancato rilascio di permesso di soggiorno per i 6 mesi previsti per l’appunto per l’attesa di occupazione che avrebbe permesso più agevolmente di reperire altro lavoro dopo il licenziamento. Aveva rilevato, inoltre, come erronea la valutazione di fittizietà del contratto di assunzione come domestico. Ciò in quanto era stata effettuata senza alcuna verifica da parte della Questura. Il provvedimento della Questura di Pordenone si fondava su 2 presupposti l’uno, a giudizio del Collegio, invero irrilevante e l’altro privo di concreti elementi probatori. Non andava rilevato infatti l’inutile trascorso del periodo di attesa occupazione previsto dall’articolo 22, comma 11, d.lgs. numero 286/1998, posto che la norma consente, proprio al fine di reperire altro lavoro e salva l’esistenza di altre circostanze ostative, la permanenza legittima nel territorio nazionale con il rilascio formale di un permesso temporaneo, idoneo ad ottenere un nuovo impiego Cons. St., sez. V, numero 1692/2010 , nella fattispecie giustificato anche dal licenziamento da precedente occupazione. Ne deriva che non rilevava a tal fine il periodo di attesa occupazione trascorso in fatto tra la presentazione dell’istanza alla Questura e l’adozione del relativo provvedimento, non potendo peraltro essere poste a carico dello straniero le lungaggini dell’Autorità amministrativa, che nel caso di specie ha impiegato ben undici mesi per evadere la pratica. Un reddito di sussistenza e le presunzioni. La Sezione ha osservato ancora che i requisiti reddituali di cui all'articolo 29, comma 3, lett. b d.lgs. numero 286/1998 trovano applicazione solo una volta che sia decorso dalla perdita del posto di lavoro il termine previsto dall’ articolo 22, comma 11, d.lgs. numero 286/1998, mentre con riferimento alla asserita strumentalità dell’ultimo contratto di lavoro prodotto dall’interessato, essa è affermata dall’Amministrazione in modo assertivo ed apodittico e non è supportata da alcun probante riscontro istruttorio idoneo a smentire la effettività del rapporto instaurato. Il provvedimento questorile è stato pertanto annullato, salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti di competenza dell’Amministrazione in sede di riesame della posizione dell’interessato, già peraltro indebitamente omesso nel corso del processo, non avendo l’Amministrazione dato esecuzione alla citata ordinanza sospensiva.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 8 maggio – 13 giugno 2014, numero 3028 Presidente Cacace – Estensore Stelo Fatto e diritto 1. Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia – Sezione I, con sentenza breve numero 267 del 9 maggio 2013, ha respinto, con compensazione delle spese, il ricorso proposto dall’odierno appellante, cittadino bengalese, avverso il provvedimento in data 12 maggio 2010, con cui la Questura di Pordenone ha denegato il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, a causa della accertata indisponibilità dei mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno, della strumentalità del recente contratto di assunzione come domestico asseritamente solo allo scopo di evitare tale diniego, nonché dell’avvenuto trascorso del periodo previsto dalla normativa in attesa di occupazione. 2. L’originario ricorrente, con atto notificato l’11 novembre 2013 e depositato il 5 dicembre 2013, ha interposto appello, con domanda di sospensiva, facendo presente di essere entrato in Italia nel 2007 a seguito di richiesta nominativa tramite flussi e deducendo, con richiamo a pronunce di questo Consiglio, il mancato rilascio di permesso di soggiorno per i sei mesi previsti per l’appunto per l’attesa di occupazione che avrebbe permesso più agevolmente di reperire altro lavoro dopo il licenziamento e comunque l’erronea valutazione di fittizietà, effettuata senza alcuna verifica da parte della Questura, della stipula del contratto con connazionale ai fini dell’impiego come domestico. 3. Il Ministero dell’Interno e la Questura di Pordenone si sono costituiti con mero atto formale dell’Avvocatura generale dello Stato depositato il 16 dicembre 2013. 4. Con ordinanza numero 340 del 23 gennaio 2014 la Sezione ha accolto l’istanza cautelare sospendendo l’esecutività della sentenza impugnata. 5. All’udienza pubblica dell’8 maggio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. L’appello è fondato e la sentenza impugnata va riformata. Il provvedimento della Questura di Pordenone si fonda, come già evidenziato in sede di giudizio cautelare, su due presupposti l’uno invero irrilevante e l’altro privo di concreti elementi probatori. Non rileva infatti l’inutile trascorso del periodo di attesa occupazione previsto dall’articolo 22, comma 11, del D.Lvo numero 286/1998, posto che la norma consente, proprio al fine di reperire altro lavoro e salva l’esistenza di altre circostanze ostative, la permanenza legittima nel territorio nazionale con il rilascio formale di un permesso temporaneo, idoneo ad ottenere un nuovo impiego cfr., fra le altre, Cons. St., Sezione V, numero 1692/2010 , nella fattispecie giustificato anche dal licenziamento da precedente occupazione. Ne deriva che non rileva a tal fine il periodo di attesa occupazione trascorso in fatto tra la presentazione dell’istanza alla Questura e l’adozione del relativo provvedimento, non potendo peraltro essere poste a carico dello straniero le lungaggini dell’Autorità amministrativa, che nel caso di specie ha impiegato ben undici mesi per evadere la pratica. E’ chiaro, poi, che i requisiti reddituali di cui all'articolo 29, comma 3, lettera b del D. Lgs. numero 286/1998 trovano applicazione solo una volta che sia decorso dalla perdita del posto di lavoro il termine previsto dall’ articolo 22, comma 11, D.Lgs. numero 286/1998 . Quanto alla asserita strumentalità dell’ultimo contratto di lavoro prodotto dall’interessato, essa è affermata dall’Amministrazione in modo assertivo ed apodittico e non è supportata da alcun probante riscontro istruttorio idoneo a smentire la effettività del rapporto instaurato. Il provvedimento questorile va pertanto annullato, salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti di competenza dell’Amministrazione in sede di riesame della posizione dell’interessato, già peraltro indebitamente omesso nel corso del processo, non avendo l’Amministrazione dato esecuzione alla citata ordinanza sospensiva. 6. L’appello quindi va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso in primo grado. In considerazione del comportamento dell’Amministrazione, che si è anche costituita con mero atto formale, si ritiene di condannare la stessa al pagamento delle spese di giudizio dei due gradi, come liquidate in dispositivo. P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado. Condanna controparte costituita Ministero dell’Interno e Questura di Pordenone al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio, da liquidarsi in € 5000,00 cinquemila oltre agli accessori dovuti per legge, a favore della parte appellante. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.