Molestie, minacce e ingiurie ma non cambia casa né numero di telefono: l’effetto destabilizzante c’è e questo basta

Il delitto di atti persecutori non richiede, ai fini della propria configurazione, il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa p.o. essendo sufficiente che la condotta abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza numero 21001 del 23 maggio 2014. Il caso. Il Tribunale di Novara dichiarava un uomo colpevole del reato di stalking ai danni della sue ex. L’imputato ricorre per cassazione. Atti persecutori. Secondo il ricorrente, i Giudici di merito non avrebbero valutato l’assenza dell’elemento costitutivo degli atti persecutori idonei a costringere la persona offesa ad alterare le proprie abitudini di vita. Nel caso di specie, la donna non avrebbe avvertito il bisogno di cambiare numero telefonico, abitazione e luoghi frequentati. Il motivo è infondato il delitto di atti persecutori non richiede, ai fini della propria configurazione, il mutamento delle abitudini di vita della p.o. essendo sufficiente che la condotta abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità, con un conseguente effetto destabilizzante. Il ricorso, alla luce di ciò, deve essere respinto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 aprile – 23 maggio 2014, numero 21001 Presidente Marasca – Relatore Positano Ritenuto di fatto 1. G.G. propone ricorso per cassazione e motivi nuovi contro la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Torino il 28 marzo 2013 che aveva parzialmente riformato la decisione emessa dal Tribunale di Novara li 13 giugno 2012, che aveva dichiarato il ricorrente colpevole dei reato di cui all'articolo 612 bis, secondo comma codice penale per minacce, molestie e Ingiuria ai danni di C.E., nonché del reato di cui all'articolo 612 bis, commi 1 e 2 del codice penale nel confronti della medesima persona offesa, nonostante l'emissione, in data 12 dicembre 2011, dell'ordinanza dei Gip di Novara di divieto di avvicinarsi all'abitazione della persona offesa, con risarcimento dei danni non patrimoniali liquidati in curo 10.000, oltre interessi e spese processuali di parte civile. La Corte territoriale ha escluso dall'imputazione uno degli episodi, perché già giudicato con altra sentenza dei Tribunale di Novara passata in giudicato, riducendo la pena ad anni uno e mesi otto di reclusione, con riconoscimento delle circostanze attenuati generiche. 2. La vicenda riguarda due procedimenti riuniti in danno di C.E., cui in precedenza l'imputato era legato da una relazione affettiva, giunta ad un punto di rottura e che aveva determinato la reazione dell'imputato, manifestatasi nelle minacce, molestie, ingiuria e nelle altre condotte di stalking, analiticamente descritte nel capo di imputazione. 3. Avverso la decisione della Corte territoriale, in data 9 luglio 2013, propone ricorso per cassazione personalmente G.G. lamentando a. violazione dell'articolo 649 c.p. per essere stato processato due volte per la medesima fattispecie di reato b. violazione di legge e travisamento dei fatti c. vizio di motivazione riguardo all'assenza dell'elemento costitutivo degli atti persecutori idonei a costringere la persona offesa ad alterare le proprie abitudini di vita d. mancanza di motivazione sulle risultanze della prova testimoniale sulla presunta pregressa instabilità mentale della persona offesa e. vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena e revoca della interdizione dai pubblici uffici f. vizio di motivazione perché non sarebbe stata assicurata all'imputato la possibilità di difendersi per intero dagli addebiti. 4. Con secondo atto di impugnazione pervenuto il 18 ottobre 2013 denominato atto di presentazione di nuovi motivi di ricorso per cassazione , il ricorrente lamenta la mancata valutazione del'episodio relativo alle offese subite dalla medesima C.E. in data 6 aprile 2012. 5. Con motivi nuovi, pervenuti il 7 aprile 2014, lamenta la mancanza di motivazione riguardo al diniego della concessione della sospensione condizionale della pena, nonché il mancato espletamento di ulteriore attività istruttoria insistendo sulla rilevanza dell'episodio verificatosi il 6 aprile 2012. Infine, deduce l'illogicità della motivazione per non avere la Corte d'Appello adeguato il risarcimento del danno alle condizioni economiche dell'imputato. Considerato in diritto La sentenza impugnata non merita censura. 1. Preliminarmente va anticipato che buona parte dei motivi di ricorso sono inconferenti, in quanto relativi a fatti diversi da quelli oggetto del presente giudizio, seppure inseriti nell'ambito del medesimo contesto relazionale, inammissibili, perché riguardano la fase cautelare o poco chiari, perché si risolvono nel rinvio a principi di diritto non attinenti le questioni trattate. 2. In particolare, con il ricorso depositato in data 9 luglio 2013 G.G., deduce che in data 22 novembre 2011 era stata emessa ordinanza contenente il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e, a causa della violazione di tale divieto, in data 8 febbraio 2012 era stato tratto in arresto e poi sottoposto agli arresti domiciliari, mentre in data 22 febbraio 2012, nell'ambito dei medesimo procedimento, sarebbe stato nuovamente condotto in carcere per violazione della medesima ordinanza del 22 novembre 2011. Si tratta di censure inammissibili in questa sede, riguardando il profilo cautelare. Sulla base di tali elementi li ricorrente lamenta violazione dell'articolo 649 c.p. per essere stato processato due volte per la medesima fattispecie di reato. Il motivo è inammissibile non potendosi censurare in sede di legittimità l'ordinanza contenente il divieto di avvicinamento, che non è oggetto di impugnazione. 3. II ricorrente lamenta violazione di legge e travisamento dei fatti. In particolare la Corte non avrebbe valutato l'idoneità delle azioni poste in essere dall'imputato a determinare l'evento richiesto dalla norma. Il motivo è inammissibile poiché assolutamente generica e la censura appare poco chiara. 4. Con ulteriore motivo evidenzia l'illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte non avrebbe valutato l'assenza dell'elemento costitutivo degli atti persecutori idonei a costringere la persona offesa ad alterare le proprie abitudini di vita. Nel caso di specie C.E. non avrebbe avvertito Il bisogno di cambiare numero telefonico, abitazione e luoghi frequentati. II motivo è infondato, poiché la Corte territoriale espressamente a pag. 10 , esaminando la specifica questione, richiama l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale il delitto di atti persecutori non richiede, ai fini della propria configurazione, il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità Cass. numero 29872 dei 19 maggio 2011 , correttamente precisando che tale stato può essere dedotto, come nel caso di specie, dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano Idonei a determinare In una persona comune tale effetto destabilizzante Cass. numero 24135 del 9 maggio 2012 . 5. Sotto altro profilo deduce mancanza di motivazione sulle risultanze della testimonianza dei dottor Pèsare Antonio, riguardo alla presunta pregressa instabilità mentale della persona offesa e in ordine alle richieste formulate per la rinnovazione del dibattimento, per la ricerca della verità, l'esistenza di disturbi di salute della persona offesa, dedotti dalla frequentazione del Centro Ascolto. La censura è infondata la motivazione non è mancante sul punto avendo la Corte territoriale espressamente preso in considerazione tali rilievi. In particolare, a pag. 10 la Corte territoriale ha evidenziato l'assoluta inconferenza e il ribaltamento di responsabilità riguardo alle problematiche mediche che, secondo il ricorrente, riguarderebbero la persona offesa, in assenza di una prova di una pregressa Instabilità mentale. D'altra parte, tale circostanza è in aperto contrasto con la lunga relazione affettiva tra l'imputato e la parte lesa, che scredita l'improvvisa comparsa di sintomi caratteriali negati, non conosciuti o non conoscibili dall'Imputato. Al contrario, appare condivisibile l'argomentazione logica della Corte secondo cui l'asserita mancanza di lucidità e di confusione va riferita alla lunga persecuzione da parte dell'imputato e sorge proprio nel momento dell'abbandono. Le richieste istruttorie appaiono chiaramente inconferenti ed esplorative. 6. Il ricorrente ritiene non espressa In termini adeguati, coerenti e proporzionati alla particolarità e alla individualità dei caso concreto, la pena in concreto applicata. Il motivo è inammissibile per assoluta genericità e perché costituisce motivo nuovo rispetto alle doglianze di appello che, con riferimento al trattamento sanzionatorio, riguardavano la mancata concessione delle attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'articolo 62 numero 2 c.p., i benefici di legge e la sospensione della esecutorietà dei capi civili. Analoghe considerazioni riguardano la richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena e la revoca dell'interdizione dai pubblici uffici. 7. Lamenta, altresì, con l'ultimo motivo, vizio di motivazione nella parte In cui la Corte non avrebbe preso in esame che nel processo di primo grado non sarebbe stata data all'imputato la possibilità di difendersi per intero dagli addebiti. Il motivo è inammissibile poiché non appare chiaro l'oggetto della doglianza, che pare riferirsi ad altro procedimento al quale l'imputato fa riferimento nelle successive memorie. 8. Con secondo atto di impugnazione pervenuto il 18 ottobre 2013 denominato atto di presentazione di nuovi motivi di ricorso per cassazione , Il ricorrente facendo riferimento al diverso procedimento NRG 792 del 2012 pendente davanti al Giudice di Pace di Novara, relativo alle offese subite dalia medesima C.E. in data 6 aprile 2012, produce i verbali relativi all'esame di testimoni e della persona offesa deducendo, senza alcun riferimento alle risultanze di quelle prove, di essere stato aggredito verbalmente dalia presunta vittima, mentre era fermo innanzi all'ufficio postale in attesa del proprio difensore. Conclude chiedendo l'annullamento della sentenza. II motivo è inammissibile trattandosi di fatti estranei all'imputazione e del tutto inconferenti. 9. Con motivi nuovi, pervenuti il 7 aprile 2014, lamenta la mancanza di motivazione riguardo ai diniego della concessione della sospensione condizionale della pena, nonché sul mancato espletamento di ulteriore attività istruttoria tesa ad acquisire, documenti, fatture, tasse e contributi della persona offesa, fatti recapitare all'imputato, nonché indagini tese a conoscere i rapporti tra la persona offesa e II precedente marito. Nei merito, ribadisce che II compendio probatorio e le testimonianze confermerebbero la radicale inattendibilità di C.E Sotto altro profilo la Corte territoriale non avrebbe valutato l'episodio verificatosi il 6 aprile 2012 nel quale Gailenti Giuseppe, sottoposto al regime degli arresti domiciliari, ma autorizzato a recarsi presso l'ufficio postale, accompagnato dai proprio difensore, aveva subito l'aggressione verbale « da parte della Cantone. La doglianza è in parte ripetitiva di questioni già sollevate con i motivi precedenti e ritenute infondate, ed in parte Inammissibile perché introduce elementi di novità richiese di attività istruttoria assolutamente inconferenti rispetto all'oggetto dei giudizio . 10. Infine, lamenta Illogicità della motivazione per non avere la Corte d'Appello adeguato il risarcimento del danno alla situazione lesioni economica dell'imputato, disoccupato cinquantenne, senza valutare la più favorevole situazione della persona offesa. Si tratta di censure che introducono elementi di novità rispetto ai motivi originari e che, comunque, appaiono manifestamente infondate, esulando del tutto, nell'ambito della valutazione equitativa del danno non patrimoniale ex articolo 2959 c.c. e 185 c.p., l'indagine relativa alle presunte compromesse condizioni economiche dell'agente. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 18/04/2014.