Il valore attribuito alla pretesa risarcitoria rappresenta, in caso di rigetto della domanda, il parametro di riferimento per la liquidazione delle spese di lite

In caso di rigetto della domanda di risarcimento dei danni, il valore della causa si determina sulla base dell’importo richiesto con l’atto introduttivo criterio del disputatum .

La VI sez. Civile della Cassazione, con l'ordinanza numero 3574/16, depositata il 24 febbraio, ha preso posizione su due questioni in particolare la prima, di tipo processuale, avente ad oggetto l'inammissibilità del ricorso la seconda, avente ad oggetto l’errata determinazione delle spese di lite dovute dalla parte soccombente da parte del giudice di merito in caso di domanda risarcitoria rigettata. Il caso. Un soggetto interessato all'acquisto di un bene immobile aveva affidato l'incarico ad un notaio di verificare anzitutto l'eventuale sussistenza di iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli. Il bene nuda proprietà veniva quindi acquistato ma l'acquirente, dopo aver preso possesso dell’immobile, lo aveva dovuto riconsegnare ad un soggetto terzo, risultato pieno proprietario dell'immobile stesso per averlo acquistato con atto di ben due anni precedente rispetto alla compravendita poco fa menzionata. Su queste basi l'acquirente chiedeva la condanna del notaio al risarcimento dei danni, parametrati sull'importo della somma corrisposta al venditore a titolo di prezzo e alle spese notarili sostenute. In primo grado la domanda risarcitoria veniva accolta con condanna del notaio al pagamento di un importo peraltro decisamente inferiore rispetto alla pretesa iniziale. Tuttavia, in appello, detta domanda veniva rigettata, con condanna dell’attore-appellato al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio. Seguiva il ricorso per cassazione in occasione del quale il notaio proponeva ricorso incidentale per contestare la liquidazione delle spese di lite avvenuta, a suo dire, in misura inferiore a quanto in effetti dovuto per legge. Il ricorso principale dichiarato inammissibile. Il ricorso della parte proponente la richiesta di risarcimento dei danni è stato dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte perché formulato in modo tale da non permettere ai giudici una precisa ed immediata analisi dello stesso. Più precisamente, secondo la Cassazione, il ricorso non soddisfa i requisiti di ammissibilità perché non contiene nella rubrica l'individuazione delle norme che si assume essere state violate, non inquadra le violazioni denunciate in una delle ipotesi tassative previste dall’articolo 360 c.p.c., non contiene la chiara enunciazione della proposizione di una pluralità di questioni. La rubrica denuncia esclusivamente la violazione e falsa applicazione di norme di diritto relativamente alla configurazione della carenza di danno in capo al ricorrente. Il giudizio di cassazione è a critica vincolata una critica generica è quindi inammissibile. Viene così ribadito il principio per cui il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall'articolo 360 c.p.c., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito. Va tutelato anche il principio dispositivo. Peraltro, l'esatta individuazione delle questioni da sottoporre all'attenzione della Corte, e la sussunzione delle stesse all'interno di una o dell'altra ipotesi tassative di vizio legittimante il ricorso, non è richiesta solo ai fini di fornire alla Corte gli strumenti per il corretto sviluppo di un giudizio tecnico sulla sentenza impugnata, ma è garanzia del rispetto del principio dispositivo. Infatti non spetta alla Corte sostituirsi alla parte per individuare quale delle varie possibili censure essa abbia inteso proporre. Il ricorso incidentale accolto l’errata liquidazione delle spese di lite sotto i minimi tariffari il criterio del disputatum . La Suprema Corte ha accolto il ricorso incidentale presentato dal notaio con il quale è stata denunciata la violazione delle norme che stabiliscono i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettati ad avvocati e procuratori legali per le prestazioni giudiziali e stragiudiziali fissati dalle disposizioni pro-tempore vigenti nel caso di specie trovava applicazione il Decreto Ministeriale 8 aprile 2004, numero 127 . Ebbene, secondo la Cassazione, in caso di rigetto della domanda di risarcimento dei danni, il valore della causa si determina sulla base dell’importo richiesto con l’atto introduttivo. Più precisamente, a norma dell'articolo 6, d.m. 8 aprile 2004 numero 127, in caso di rigetto della domanda per accoglimento dell'eccezione di prescrizione, nei giudizi per pagamento di somme o risarcimento di danni, il valore della controversia, ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato a carico dell'attore soccombente, è quello corrispondente alla somma da quest'ultimo domandata, dovendosi seguire soltanto il criterio del disputatum , senza che trovi applicazione il correttivo del decisum .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 20 gennaio – 24 febbraio 2016, numero 3574 Presidente Armano – Relatore Rubino I fatti e le ragioni della decisione È stata depositata in cancelleria la seguente relazione - nel 2002 C.C. evocava in giudizio il notaio R.P. , assumendo di aver acquistato nel 1999, a rogito del notaio R. , preliminarmente incaricato anche di verificare l'inesistenza di iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, la nuda proprietà di un immobile da tale F.G. nativo di OMISSIS , di aver preso possesso dell'immobile successivamente alla morte della nuda proprietaria e di averlo però dovuto riconsegnare a tale D.S.G. , risultato pieno proprietario dell'immobile per averlo acquistato con atto del 1997 - chiedeva la condanna del notaio R. al risarcimento dei danni, nella misura di Euro 309.000,00 circa, comprensivi della somma corrisposta al venditore e delle spese notarili sostenute - la domanda del C. veniva accolta dal giudice di primo grado, che condannava il notaio al pagamento del più limitato importo di L. 10.000.000, ma respinta in appello, con condanna del C. al pagamento di entrambi i gradi del giudizio - contro la sentenza numero 513/2014, depositata dalla Corte d'Appello di Messina in data 26 giugno 2014, notificata il 14.11.2014, propone ricorso per cassazione il C. , che formula un unico, articolato motivo di ricorso - resiste con controricorso tempestivo il R. , formulando un motivo di ricorso incidentale. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., in quanto il ricorso principale appare destinato ad essere dichiarato inammissibile, il ricorso incidentale ad essere accolto. Il ricorrente veicola tutte le sue doglianze avverso la sentenza di appello, che nonostante il negligente operato del notaio R. , che non si avvide dell'esistenza di una trascrizione di atto di vendita precedente, relativa allo stesso immobile acquistato in preliminare dal C. nel 1999, ha rigettato la sua domanda di risarcimento danni in un unico motivo di ricorso per cassazione, che si ritiene debba essere dichiarato inammissibile. Esso non soddisfa i requisiti di ammissibilità richiesti per il ricorso per cassazione non contiene nella rubrica l'individuazione delle norme che si assume essere state violate, non inquadra le violazioni denunciate in una delle ipotesi tassative previste dall'articolo 360 c.p.c., non contiene la chiara enunciazione della proposizione di una pluralità di questioni. La rubrica denuncia esclusivamente la violazione e falsa applicazione di norme di diritto relativamente alla configurazione della carenza di danno in capo al ricorrente . La lacunosità della rubrica, e la trattazione all'interno di uno stesso motivo di molteplici questioni sono profili di irregolarità astrattamente superabili qualora la trattazione del ricorso enunci con chiarezza e poi tratti paratamente le distinte questioni, consentendo in tal modo alla Corte di coglierle senza dover interpretare l'atto di parte per poter evincere quale, tra le tante questioni possibili, la parte abbia scelto di sottoporre al suo esame. Il giudizio di cassazione è infatti un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall'articolo 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito da ultimo, Cass. numero 19959 del 2014 . Vale sottolineare poi che l'esatta individuazione delle questioni da sottoporre all'attenzione della Corte, e la sussunzione delle stesse all'interno di una o dell'altra ipotesi tassative di vizio legittimante il ricorso per trattazione non è richiesta solo ai fini di fornire alla Corte gli strumenti per il corretto sviluppo di un giudizio tecnico sulla sentenza impugnata, ma è garanzia del rispetto del principio dispositivo non spetta alla Corte sostituirsi alla parte per individuare quale, delle varie possibili censure, essa abbia inteso proporre. Nel caso di specie, invece, le condizioni minime di ammissibilità del ricorso non sono state rispettate nella trattazione dell'unico motivo vi è prima un riferimento alla negligenza del notaio, poi il riferimento ad una truffa della quale sarebbe partecipe lo stesso notaio, la cui ricostruzione si troverebbe in una sentenza penale del Tribunale di Messina non prodotta né riprodotta in violazione anche del principio di autosufficienza e del principio di cui all'articolo 366, primo comma numero 6 c.p.c. , emessa a quanto è dato comprendere all'esito del procedimento penale a carico del venditore, quindi si passa a criticare la sentenza laddove ha ritenuto applicabile al caso di specie la disciplina della vendita di cosa altrui, sempre facendo riferimento ad una truffa contrattuale che non è stata accertata dalla sentenza impugnata né da alcun altra sentenza sottoposta all'esame della Corte è certo che il ricorrente sia rimasto insoddisfatto dall'esito del giudizio, ma non è assolutamente chiaro né quali né quante questioni abbia inteso sottoporre alla valutazione di questa corte di legittimità. Con il ricorso incidentale, il notaio R. deduce la violazione delle norme che stabiliscono i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti ad avvocati e procuratori legali per la prestazioni giudiziali e stragiudiziali fissati dalle disposizioni pro tempore vigenti, articolo 24 della legge numero 794 del 1942 e D.M. numero 585 del 1994 e 127 del 2004, nonché la motivazione inesistente su un aspetto decisivo del giudizio e la conseguente violazione degli articolo 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. in relazione all'articolo 360, primo comma, numero 3 e 4 c.p.c. violazione. In particolare denuncia la violazione da parte della sentenza di appello dei minimi tariffali inderogabili prò tempore vigenti laddove ha liquidato le spese legali del primo grado di giudizio in favore del R. , vincitore in appello, nella misura di complessivi Euro 2.400,00 di cui 800,00 per competenze i e 1.600,00 per onorari, inadeguate per difetto rispetto al valore della causa come individuato sulla base della domanda formulata dal C. in primo grado 309.874,14 Euro , ed utilizzando una determinazione unitaria dei diritti e degli onorari che non ne consentiva la verificabilità, senza sostanzialmente indicare il criterio di liquidazione adottato e senza liquidare il contributo per le spese generali che la corte d'appello ha liquidato limitatamente al grado di appello . La domanda appare meritevole di accoglimento. In caso di rigetto della domanda di risarcimento danni, il valore della causa si determina — come indicato dal ricorrente incidentale - sulla base dell'importo richiesto con l'atto introduttivo v. Cass. numero 25553 del 2011 A. norma dell'articolo 6, d.m. 8 aprile 2004, numero 127, in caso di rigetto della domanda per accoglimento dell'eccezione di prescrizione, nei giudici per pagamento di somme o risarcimento di danni, il valore della controversia, ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato a carico dell'attore soccombente, è quello corrispondente alla somma da quest'ultimo domandata, dovendosi seguire soltanto il criterio del disputatum, senza che trovi applicazione il correttivo del decisum . Tenuto conto del valore della causa così determinato, e del fatto che il giudice di appello non ha in alcun modo esplicitato di voler compensare le spese di giudizio, né ha indicato di far uso dei poteri previsti dalla disposizione di cui all'articolo 60, r.d.l. numero 1578 del 1933, che espressamente consente al giudice di ridurre, con decisione motivata, il diritto del difensore all'onorario al di sotto dei minimi tariffali quando la causa risulti di facile trattazione , nonché della necessità di liquidare competenze ed onorari sulla base delle tariffe professionali vigenti, in particolare sulla base del D.M. numero 585 del 1994 per le attività compiute fino al 1.6.2004 e del D.M. numero 127 del 2004 per le attività successive, la determinazione delle competenze e degli onorari dovuti per il giudizio di primo grado contenuta in sentenza, considerata l'attività svolta dal difensore del R. sviluppata in ricorso e riscontrabile dal fascicolo di parte prodotto, si colloca in effetti al di sotto dei limiti tariffali ed in violazione delle norme che disciplinano la liquidazione delle spese legali. Non rileva invece l’omessa previsione della liquidazione in favore vincitore del contributo alle spese generali in quanto, sulla base del principio fissato da Cass. numero 23053 del 2009, il rimborso delle spese generali spetta all'avvocato in via automatica e con determinazione ex lege , dovendosi, pertanto, ritenere compreso nella liquidazione degli onorali e diritti di procuratore nella misura del 10%, anche senza espressa menzione nel dispositivo della sentenza. Si propone pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale . A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio, esaminata anche la memoria depositata da parte del ricorrente, ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione stessa. Il ricorso principale proposto va pertanto dichiarato inammissibile, mentre va accolto il ricorso incidentale. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di Appello di Messina che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Infine, il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 18, pertanto deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, accoglie l'incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Messina in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi dell'articolo 13 co. 1 quater del d.p.r. numero 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.